Violenza e Molestie nei luoghi di lavoro: danno alla persona


- Posted by Giacomo Piperno
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A cura di Raffaella La Torre
Il cambiamento in atto nel mondo del lavoro che sta caratterizzando i modelli organizzativi, così come i contenuti del lavoro e la composizione sociale dei luoghi di lavoro (sempre più eterogenea), riporta all’attualità un tema particolarmente delicato e complesso quale quello della violenza e delle molestie nei luoghi di lavoro. Un contesto di fondo in cui, oltre a rincorrersi modelli organizzativi che mutano all’insegna della modularizzazione e dispersione dei processi produttivi e che ricompongono spazi e tempi di lavori e di vita, in una stratificazione di globale e di locale e di centralizzazione dei meccanismi di controllo e decentramento dei meccanismi operativi, emerge una nuova composizione sociale della popolazione lavorativa che diventa via via sempre più eterogenea, complessa, terreno favorevole anche di nuove forme di conflittualità orizzontale, che esprimono interessi contrapposti non facilmente ricomponibili nei luoghi di lavoro.
In questa prospettiva, si possono delineare nuove simmetrie che si innescano sulle vecchie, tradizionali e asimmetrie legate alle nuove forme contrattuali e/o al ridisegno dei processi organizzativi, che possono condurre a creare ambiti lavorativi più protetti e altri meno. In un tempo in cui il mondo del lavoro è sottoposto a significativi cambiamenti il tema della violenza e delle molestie nei luoghi di lavoro assume, quindi, particolare interesse e rilevanza.
Riferimenti Normativi
La tutela della salute del lavoratore e della sicurezza nei luoghi di lavoro poggia su precisi fondamenti costituzionali “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.” (art. 32 Cost.ne) ed ancora “La salute è un bene primario che assurge a diritto fondamentale della persona ed impone piena ed esaustiva tutela, tale da operare sia in ambito pubblicistico che nei rapporti di diritto privato.”11 Il bene della salute – definito dall’OMS nel 1948 come “Uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale, e non soltanto l’assenza di malattia o di infermità. In promozione della salute, la salute viene considerata non tanto una condizione astratta, quanto un mezzo finalizzato ad un obiettivo che, in termini operativi, si può considerare una risorsa che permette alle persone di condurre una vita produttiva sul piano individuale, sociale ed economico. La salute è una risorsa per la vita quotidiana e non lo scopo dell’esistenza. Si tratta di un concetto positivo che valorizza le risorse sociali e personali, oltre alle capacità fisiche”- è tutelato dall’art. 32 della Costituzione ed è concepito ed esteso alla salute del lavoratore nell’ambiente e nei luoghi di lavoro.
Il 12 giugno 1989 il Consiglio delle Comunità Europee, con la Direttiva 89/391/CEE, ha emanato una normativa sulla sicurezza sul lavoro tra i cui obblighi vi era quello, a carico del datore di lavoro, di “assicurare la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti legati al lavoro” (art. 5, c.1), che è stata nel tempo recepita ed attuata compiutamente in Italia con il d.lgs. 81/08 nel quale, in particolare l’art.28, rende esplicito l’obbligo del datore di lavoro a provvedere alla valutazione dei rischi: tale valutazione “deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004”. In riferimento ai luoghi di lavoro, quindi, emergono sia la tutela del diritto alla salute (art. 32 Costituzione) e la tutela della sicurezza del lavoratore (art. 35 e art. 4 Costituzione) e sia che l’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla liberta`, alla dignità umana” (art. 41 co.2 Costituzione). “Ed invero, non sono soltanto le norme costituzionali (artt. 32 e 41) ad imporre ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori; numerose altre disposizioni, assumono in proposito una valenza decisiva” .
Particolarmente importanti sono, infatti, la normativa europea, la normativa nazionale ivi compresi l’art. 2087 c.c. e il TU sulla sicurezza dei luoghi di lavoro (D. Lgs 81/2008).
Tutela personale e rischi psicosociali nei luoghi di lavoro
Nei luoghi di lavoro le condotte vessatorie contro il lavoratore o la lavoratrice possono concretizzare diverse fattispecie quali ad esempio, il mobbing, lo straining, le violenze, le molestie; tali fattispecie sono regolamentate da differenti plessi normativi che riguardano i profili giuslavoristici, previdenziali, civili e penali. L’organizzazione del lavoro e tutte le scelte datoriali devono essere funzionali al rispetto della dignità e della salute del lavoratore; infatti l’obbligo datoriale di tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore impone la sua protezione da tutte le disfunzioni organizzative o dai comportamenti dannosi e pericolosi nei luoghi di lavoro ed in ambito lavorativo.

L’obbligo datoriale di “tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” di cui all’art. 2087 c.c. include l’obbligo della adozione di misure di sicurezza al fine di prevenire ogni possibile evento dannoso, ivi comprese le aggressioni conseguenti all’attività criminosa di terzi.
L’obbligo di prevenzione dei rischi implica “l’obbligo del datore di lavoro di astenersi da iniziative, scelte o comportamenti che possano ledere, già di per sé, la personalità morale del lavoratore, come l’adozione di condizioni di lavoro stressogene o non rispettose dei principi ergonomici, oltre ovviamente a comportamenti più gravi come mobbing, straining, burn out, molestie, stalking e così via, alcuni anche di possibile rilevanza penale (sulla scorta di quanto affermato anche dalla Corte Costituzionale, vedi per tutte: Cort. Cost. Sentenza n. 359 del 2003 e Cass. 5 Novembre 2012 n. 18927).
Azioni che, peraltro, ove si rilevino produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull’art. 2087 c.c., norma di cui da tempo è stata fornita una interpretazione estensiva costituzionalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignità umana e i diritti inviolabili della persona, tutelati dagli artt. 32, 41 e 2 COST. (v. Cass. 4 Novembre 2016, n. 3291 e Cass. 19 Febbraio 2018, n. 3977)”.
Il giudice accerta la responsabilità datoriale ed il danno in capo al lavoratore derivante dall’evento e risarcisce integralmente il danno secondo i parametri civilistici e non meramente indennitari ed assicurativi del sistema previdenziale. Nell’accertamento giudiziale civile – anche circa il danno differenziale o complementare – al lavoratore danneggiato si applicano i principi generali della responsabilità civile.
Sicurezza Benessere e Qualità Lavorativa
La qualità del lavoro e, in generale, le condizioni di vita all’interno delle organizzazioni sono correlate ai modelli sociali che faticano a modificarsi con la stessa velocità dei cambiamenti tecnici ed organizzativi. Il numero degli infortuni, soprattutto in certi settori produttivi, la persistente diffusione di malattie professionali classiche, di effetti patologici di inquinamento o intossicazione e di sindromi più recenti come le malattie muscolo-scheletriche e lo stress organizzativo, la presenza di prevaricazioni, aggressività e violenza denunciate con crescenti e preoccupanti proporzioni stanno ad indicare, come la punta di un iceberg, che la qualità della vita lavorativa sia ancora un obiettivo da perseguire.
Cambiamento in contesto lavorativo
Ripensare la qualità della vita lavorativa interna all’organizzazione di fronte a cambiamenti evidenti delle caratteristiche sociali e psicologiche dei lavoratori e delle lavoratrici, delle esigenze del lavoro e dei contesti ove si lavora comporta per le organizzazioni una rimodulazione sulle regole, le credenze e i valori che sono alla base della loro costituzione.
I cambiamenti ai contesti organizzativi ai quali si è accennato, prevedono, di fatto, cambiamenti nella cultura delle organizzazioni ovvero negli assunti di base, nelle credenze condivise e nei valori di riferimento sui quali si è costruito lo spazio psicosociale entro cui operano le persone. In proposito, non a caso, nel linguaggio manageriale la descrizione di questi cambiamenti si avvale di termini valoriali (ridefinizione della mission dell’organizzazione, costruzione di una vision condivisa, identificazione, valori di riferimento ecc.) che riguardano i sistemi di credenze personali e sociali e che segnalano l’importanza dei processi sociopsicologici in gioco come, ad esempio, la percezione sociale, le rappresentazioni sociali, i processi di socializzazione, l’apprendimento, la motivazione, l’identità sociale.

Un ambito particolarmente delicato e complesso è quello relativo alla crescente diversificazione delle risorse umane per genere, età, orientamento sessuale, cultura (lingua, religione) e funzione (anzianità di servizio, forme contrattuali) e alla relativa integrazione e coordinamento al fine di ridurre le iniquità valorizzando le differenze.
Diversity management
Al fine di indagare i processi che, nei contesti lavorativi, generano conflitti sulla base della percezione della reciproca diversità fra le persone, di intervenire per modificare gli effetti indesiderati di tali processi sulla produttività, sul clima di gruppo e sul benessere lavorativo, di potenziare i comportamenti creativi ed innovativi dei gruppi diversificati, che generano profitto e benessere, si è andato sviluppando un approccio teorico-pratico definito diversity management (DM). In relazione a ciò, il diversity management vuole essere altro rispetto alle politiche di pari ed eque opportunità o antidiscriminatorie ambendo ad essere una nuova via nelle politiche di riduzione della discriminazione: infatti, non mira soltanto ad introdurre programmi che fungano da rimedio alle iniquità sociali, ma è anche attento alle necessità di business e al riconoscimento del valore della diversità.
Il diversity management intende favorire la comprensione delle differenze per rendere possibile la costruzione di nuovi significati condivisi dovendo ricordare che la diversità, di cui si occupa, non si riferisce alle differenze antropologiche che rendono gli individui speciali per la loro unicità, ma concerne l’essere suscettibili di subire un trattamento diverso e di avere opportunità differenti come conseguenza dell’appartenere – o non appartenere – a determinate categorie sociali. Nel complesso, in considerazione della cornice di riferimento del diversity management è implicita la potenzialità ma anche la complessità che comporta gestire risorse umane diversificate.
Il Danno alla Persona: Definizione e Cenni di Metodologia Valutativa
Da tempo è ormai acquisito il dato che ogni evento che colpisce la nostra esperienza provoca risposte cognitive, emotive e comportamentali positive, negative o indifferenti, in base alle caratteristiche dell’evento, della personalità e del contesto relazionale e sociale. La personalità è espressione peculiare dell’individuo ed è il risultato della naturale interazione di molteplici e multiformi fattori. Essa generalmente viene definita come “un’organizzazione di modi di essere, di conoscere e di agire, che assicura unità, coerenza, continuità, stabilità e progettualità alle relazioni dell’individuo con il mondo” .
Valutazione del danno
Tutti gli avvenimenti fuori dal comune che vengono vissuti come una minaccia grave e immediata alla propria incolumità o alla incolumità di persone care possono essere considerati come generatori di un trauma psichico dotato di lesività ed efficacia, anche se lo stesso evento può produrre nelle persone coinvolte effetti differenti: ogni evento ha un diverso valore psicolesivo anche in base al significato psicolesivo che gli attribuisce il danneggiato e da ciò deriva il carattere relativo e comparativo che caratterizza la valutazione in questo ambito.
Nella valutazione del danno alla persona gli illeciti e i reati si configurano come eventi psicosociali stressanti che possono generare un trauma di natura psichica. Freud (1895) scriveva che “qualsiasi esperienza che susciti una situazione penosa – quale la paura, l’ansia, la vergogna o il dolore fisico – può agire da trauma“, e definì i traumi: “eventi in grado di provocare una eccitazione psichica tale da superare la capacità del soggetto di sostenerla o elaborarla”. Il trauma, dunque, è “un’esperienza che nei limiti di un breve lasso di tempo apporta alla vita psichica un incremento di stimoli talmente forte che la sua liquidazione o elaborazione nel modo usuale non riesce, donde è giocoforza che ne discendano disturbi permanenti nell’economia energetica della psiche”.
In questo particolare tipo di valutazione l’esperto è chiamato ad esprimersi circa le cause che entrano in gioco nella genesi degli eventuali disturbi accertati e sul nesso di causalità tra evento lesivo e conseguenze psicopatologiche; tuttavia, partendo dal presupposto che l’evento psicolesivo ingiusto deve essere dimostrato, non si può ignorare il fatto che in ambito psicologico-psichiatrico il nesso di causalità è sempre un nesso di concausalità “Il nesso di causalità così come è applicato dalla medicina legale è destituito di fondamento quando lo applichiamo alle scienze psicologiche, trattandosi sempre di con-cause, aventi al massimo un effetto patoplastico e non patogenetico” . Il legame causale, però, anche declinato in un insieme di concause non può desumersi dal mero legame temporale ma necessità di essere riportato ad un quadro teorico che, a livello generale, leghi quel tipo di sintomi a quel quadro causale.
Ne deriva l’importanza, oltre che di esplicitare il modello teorico di riferimento, di operare una ricostruzione chiara e dettagliata della dinamica concreta di cause e concause, cercando di farne emergere il peso relativo; ulteriore attenzione deve essere posta alla valutazione del cambiamento: la situazione attuale ha rilevanza ai fini del risarcimento solo se rappresenta un mutamento rispetto a quella precedente l’evento lesivo.