Valutazione della pericolosità sociale nella personalità di Cluster B

Valutazione della pericolosità sociale
Giacomo Piperno

* A cura di Cecilia Berenato

La pericolosità sociale in autori di reato con vizio totale o parziale di mente è un costrutto complesso da valutare, che richiede all’esperto in scienze psicologiche un’attenta lettura dei codici legislativi ed una capacità clinica notevole, date le implicazioni del suo giudizio sulla vita e sulla libertà dei periziati. Ancora più delicata è la decisione di imputabilità ed il parere prognostico di pericolosità sociale in individui autori di reato affetti da Disturbo della Personalità, dato il carattere multidimensionale, stabile ed allo stesso tempo dinamico che tali disturbi manifestano.

L’evoluzione dell’idea di pericolosità sociale nel pensiero criminologico

Nel corso della storia umana i concetti di “crimine” e “criminale” hanno subito notevoli cambiamenti, rendendo evidente che il delitto non è un fatto naturale ma sociale, definito convenzionalmente in diversi tempi e culture.

Dall’Illuminismo alla Scuola Classica

Tra il ‘600 e gli inizi del ‘700, la struttura sociale e politica dell’Ancient Règime era fortemente polarizzata, con un monarca assoluto detentore di tutti i poteri legislativi ed esecutivi insieme alle caste privilegiate aristocratiche ed ecclesiastiche da un lato, ed i sudditi, con pochi diritti e nessun ruolo attivo nella gestione politica, dall’altro. La prospettiva del pensiero giusnaturalista vedeva il delitto come una contravvenzione ad un’etica universale, fedele a precetti religiosi, ed il reo come un peccatore. Il diritto pubblico e quello penale consistevano in una serie di norme frequentemente non scritte, che in difesa della “morale universale” proteggeva le caste privilegiate, le quali trovandosi quindi raramente coinvolte in processi e sanzionamenti, alimentavano l’idea che i comportamenti illeciti e violenti fossero prerogativa delle classi più povere.

Il pensiero criminologico moderno nasce nel ‘700 con l’Illuminismo, ma è nell’ ‘800 che i principi liberali dell’Illuminismo trovano espressione in Italia con la Scuola Classica del diritto penale, alla quale aderirono importanti giuristi dell’epoca come Giovanni Carmignani, Pellegrino Rossi, Enrico Pessina e Francesco Carrara. Fondamento del pensiero penalistico della Scuola, oltre al libero arbitrio, la concezione eticoretributiva della pena. Ogni uomo sceglie liberamente di agire, sulla base di una volontà personale, in un senso lecito o illecito, al di fuori di altri condizionamenti esterni eccetto il proprio utile. E’ con l’indirizzo Classico del pensiero penalistico che si afferma l’idea, ancora oggi valida, della presunzione d’innocenza: nessuno è colpevole fino a prova contraria, ed il banco di prova è il processo (“principio garantistico”).

Da Lombroso alle variabili sociali nella condotta criminale

La prima riflessione sulle caratteristiche individuali del criminale, seppure esclusivamente quelle di natura biologica, risale all’indirizzo antropologico fondato da Cesare Lombroso. Da un punto di vista penalistico, la posizione determinista dell’approccio lombrosiano finiva col deresponsabilizzare il reo, in quanto patologico ed impossibilitato per sua natura a sottrarsi al comportamento criminoso.

Diversamente dai princìpi della Scuola Classica e dall’idea dell’assoluto libero arbitrio umano, l’indirizzo antropologico iniziava ad introdurre l’idea che le azioni non sempre sono deliberate ed alcune circostanze possono impedire all’uomo di autodeterminarsi, agendo o astenendosi dall’agire per volontà propria. Alla metà dell‘800, le prime statistiche sulla criminalità ad opera di Quetelet e Guerry studiavano la correlazione tra condotta delittuosa e variabili personali e sociali come l’età, il sesso, la presenza di disturbi mentali, il livello di istruzione, l’ambiente di vita e le condizioni economiche.

Cercando delle leggi costanti si auspicava poter rendere prevedibile la criminalità e di poter intervenire in modo preventivo. Contrariamente al libero arbitrio della Scuola Classica, la teoria delle classi pericolose ed il determinismo biologico di Lombroso, i risultati statistici suggerivano che le variabili sociali più che le caratteristiche individuali influivano sulla condotta criminale, in una sorta di “determinismo sociale”. Dalla lettura delle correlazioni risultava essere predittiva di un comportamento illecito, la “deprivazione relativa”, ossia la percezione di una distribuzione non equa delle risorse, e del divario tra la propria povertà e l’agio dei ceti facoltosi. Il delitto inizia ad essere inteso come “fatto sociale”, così lo definisce Durkheim, costituente naturale di ogni società umana ed effetto di fattori criminogenetici analizzabili e comprensibili a livello politico.

La Criminologia incentrata sull’individuo

Il lavoro dell’antropologia criminale di Lombroso, aveva introdotto l’idea che alcune caratteristiche fisiognomiche e mediche determinassero una condotta deviante al di fuori della capacità di autodeterminazione dell’individuo.

Le Teorie Psicologiche Della Persona Pericolosa

A seguito delle importanti vicende economiche e sociali che hanno investito le società del XX secolo, le teorie sociologiche e strutturalfunzionaliste si sono maggiormente interessate alla correlazione tra le variabili sociali e la condotta criminale, tralasciando l’analisi delle caratteristiche individuali dell’autore di reato. Se le teorie attuali considerano l’interazionismo tra biologia e ambiente la risposta al perché dei comportamenti umani, solamente uno studio sul singolo criminale può in effetti spiegare alcune variabili del comportamento individuale dinanzi ad analoghi fattori socioambientali.

Nel considerare le caratteristiche individuali, l’attività psichica occupa una posizione centrale, intendendo con tale attività i vari aspetti della persona: la sua sfera cognitiva, quella affettiva e volitiva ed i relativi disadattamenti di queste. L’attenzione, la percezione, la memoria, l’apprendimento, la conoscenza ed il suo utilizzo, appartengono alla sfera della cognizione. Le risposte emotive, le coloriture affettive e l’umore appartengono alla sfera affettiva, mentre la sfera volitiva è rappresentata dalla preparazione a compiere azioni finalizzate al raggiungimento di uno scopo desiderato. Nella letteratura scientifica lo studio dell’attività psichica e del comportamento dell’individuo criminale si realizza in uno studio della sua personalità, che è un “insieme di pattern relativamente stabili di pensare, sentire, comportarsi e mettersi in relazione con gli altri” (PDM Task Force, 2006). Quello di personalità è un costrutto multidimensionale, e sebbene sia una parte relativamente stabile della psicologia e del comportamento individuale, è una struttura dinamica risultante da componenti innate e biologiche, insieme agli elementi sociali del contesto di vita.

I genetisti 12 ricercano da tempo una componente biologica del temperamento, dato che il modo della risposta agli stimoli esterni ed interni è già visibile nei neonati, e anticipa con un discreto successo il temperamento adulto. In particolare, si ritiene che un gene localizzato sul cromosoma X, il MAOAL (“warrior gene”) sia responsabile di una risposta eccessivamente reattiva agli stimoli, in particolare di attacco, agendo sui circuiti serotoninergici e dopaminergici soprattutto negli individui di sesso maschile.

La Nascita Della Criminologia Clinica

Fino alla metà del XX secolo, nessuna ipotesi criminologica si era ancora sistematicamente strutturata sull’analisi clinica di un individuo violento. Sebbene un primo indirizzo individualistico di questo tipo può essere fatto risalire all’antropologia criminale lombrosiana, nella quale lo studio fisiognomico era alla base della teoria del delinquente nato e dell’atavismo, la vera criminologia 16 clinica intesa come scienza medica applicata alla mente criminale nasce alla metà degli anni ‘50 con Benigno di Tullio.

Tale disciplina si occupava di studiare, applicando i metodi della ricerca medica e psicologica, la personalità del delinquente e le sue possibilità di gestione e reinserimento sociale, in un’ottica di diagnosi, prognosi e cura, senza tuttavia tralasciare la lettura del suo contesto di vita. Lo psichiatra italiano proponeva quindi il concetto di “disposizione delinquenziale” o “criminale costituzionale”, definendo pericoloso quell’individuo che con maggiore probabilità può commettere azioni antisociali, data la sua psicologia immatura o infermità di mente.

Causa la sua provenienza medica, Di Tullio abbracciava una visione biologico-determinista del comportamento criminale, considerando la presenza di alcuni indici clinici come alterazioni psichiche, psicopatie, epilessia, crisi distimiche e patologie ipotalamiche predittiva di comportamenti aberranti.

Valutazione in chiave psicologica, clinica e giuridica

La valutazione della pericolosità sociale di un autore di reato richiede allo psicologo in qualità di perito conoscenza, tanto delle scienze psicologiche quanto del contesto giuridico, e grande attenzione, data la complessità del costrutto sul quale è chiamato ad esprimersi e gli effetti importanti che tale responso ha sulla vita del periziando.

Valutazione pericolosità sociale

Pericolosità sociale

La pericolosità sociale fa ingresso nel sistema giuridico in tempi recenti, quando con il Codice Rocco del 1930 il Legislatore definisce il pericoloso ed i criteri per la sua valutazione. E’ definito pericoloso colui che, imputabile o meno, a seguito della commissione di un reato è probabile che si coinvolga nuovamente in azioni antigiuridiche (Art. 203 c.p.).

Seppure modi e strumenti sono lasciati alla discrezione del perito, a patto che siano scientifici, attinenti e rispettosi dei codici, l’art. 133 indica alcuni criteri utili a desumere la qualità di persona pericolosa: la tipologia di reato commesso e la gravità dei suoi effetti, la condotta dell’individuo precedente e contestuale al “lì e allora” della commissione del reato e quella del “qui ed ora” del momento della valutazione, il motivo del reato, i precedenti penali e l’ambiente sociale di appartenenza nonché le risorse assistenziali disponibili. Sebbene questo ultimo ambito di vita sia stato escluso dai criteri di valutazione per la pericolosità sociale (da una modifica all’articolo relativo), risulta un elemento di rilievo al fine di comprendere le possibili ricadute in assenza di un sostegno sociale adeguato e per la prescrizione del migliore trattamento.

Analisi clinica

La testistica clinica è utile alla valutazione prognostica di recidiva per i disturbi di personalità, come i test cognitivi (WAIS- IV-R ; Bender Visual Motor Gestalt) allo scopo di indagare le componenti cognitive associate alla gestione degli impulsi nervosi e del comportamento finalizzato, i test di personalità strutturato o semistrutturati come l’MMPI-2, la SWAP-200, il Disegno della Figura Umana ed il Rorshach, utili per l’indagine su tratti esternalizzanti, ansiosi e di blocco affettivo, di impulsività e scarsa gestione emotiva. Alcuni test più specifici, come la PCL-R e l’HCR-20 permettono lo studio di tratti psicopatici della personalità con tendenze alla devianza e all’impulsività. Se l’accertamento di pericolosità sociale richiede quindi un attento studio in tutti i casi, ancor più delicata risulta essere la valutazione di tale costrutto in un autore di reato con disturbo della personalità. Per legge, l’esperto in materia psicologica e psichiatrica è tenuto a rispondere al quesito di pericolosità sociale solamente nel caso in cui ravvisi un vizio di mente parziale o totale, e si astiene dal rispondere in caso di imputabilità (“divieto di perizia”; Art. 220 c.p.). I disturbi di personalità entrano a far parte delle cause possibili di esclusione di responsabilità penale a seguito della Sentenza Raso, su un caso di aggressione, nel 2005. In modo particolare, i disturbi definiti nel Cluster B del DSM-V, sia nell’Asse II del core nosografico del manuale, che nella sezione III che ne dà una lettura dimensionale, caratterizzati da una particolare condizione di instabilità affettiva ed emotiva, condotta antisociale e tendenza all’azione possono frequentemente coinvolgersi in esiti antigiuridici, con necessità di valutazione prognostica del loro essere pericolosi.

Sistema penale attuale

La valutazione di pericolosità, che può essere richiesta dal giudice in fase istruttoria del procedimento penale con conseguente disposizione di misure di sicurezza cautelare, oppure a seguito di condanna qualora i giudici collegiali del Tribunale di Sorveglianza richiedessero una valutazione sul reo al fine di modificarne il regime detentivo, si traduce nell’esecuzione di diverse misure di sicurezza psichiatrica (Art. 206 c.p.). In presenza di infermità totale e nessuna pericolosità sociale, l’autore di reato viene prosciolto ed il caso archiviato (Art. 530 c.p.).

Se l’autore di reato non è imputabile ma a pericolosità elevata, accede alle REMS (Legge 81, 2014), residenze di alta sicurezza, strutturate rispettando il principio penale introdotto dal Doppio Binario, ovvero la necessità di isolamento momentaneo dalla società ed insieme del trattamento ai fini riabilitativi (Art. 27). Tali strutture, sotto la tutela del SSN ed affidate nella gestione ai Dipartimenti di Salute Mentale delle regioni, non ospitano personale penitenziario ed è previsto un continuo riesame dello stato di pericolosità dei ricoverati, al fine di interrompere le misure di alta sicurezza qualora non se ne ravvisi più necessità.

Se alla totale infermità si associa pericolosità attenuata, è prevista una misura di sicurezza personale non detentiva, con libertà vigilata, approvata dagli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna (UEPE). Con il vizio parziale di mente, il reo non è prosciolto ma sconta un terzo della pena, al termine del quale sarà introdotto in una REMS se valutata alta la sua pericolosità, o otterrà libertà vigilata se a pericolosità ridotta.

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