Valutazione della compatibilità con il regime carcerario


- Posted by Giacomo Piperno
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*A cura di Emanuela Salmè
Indagine clinico psicodiagnostica – Le problematiche penitenziarie che spesso richiedono l’intervento dello Psichiatra Forense attengono alla valutazione della compatibilità o meno delle condizioni di salute del soggetto detenuto o in attesa di giudizio, con lo stato carcerario. Il giudizio tecnico si deve fondare sulla gravità della malattia e sull’eventuale incidenza negativa esercitata su questa o sulla sua evoluzione dalla detenzione, con particolare riguardo alla salute mentale.
Salute e carcere
La salute è uno dei beni primari dell’uomo, la condizione indispensabile ed imprescindibile affinché ogni individuo possa esprimere liberamente la propria personalità. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale, sociale e non consiste soltanto nell’assenza di malattie o infermità. Il possesso del migliore stato di sanità che si possa raggiungere costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun essere umano, qualunque sia la sua razza, la sua religione, le sue opinioni politiche, la sua condizione economica e sociale. I Governi hanno la responsabilità della sanità dei loro popoli: essi per farvi parte devono prendere le misure sanitarie e sociali appropriate”.
La Costituzione Italiana pone la salute come “fondamentale diritto dell’individuo” e giudica che tendere ad essa è “interesse della collettività”, evidenziando in tal modo l’importanza rilevante che riveste nella vita di tutti gli individui. Il diritto alla salute è pertanto un valore costituzionale supremo, e si ricollega intrinsecamente all’integrità psico-fisica della persona. Essendo un diritto di tutta la popolazione nella sua interezza, non possono ovviamente essere escluse categorie di persone, quali i detenuti, che si trovano in posizione di più difficile accessibilità ai servizi rispetto ai liberi. La detenzione è una restrizione della naturale condizione di libertà dell’uomo; è noto che scopo fondamentale della detenzione e della pena comminata dal magistrato è il recupero, la risocializzazione ed il reintegro del reo – a fine pena – in un contesto sociale il più possibile sano e produttivo.
Conseguenze a lungo termine
La privazione a lungo termine dei contatti interpersonali e la grave limitazione delle informazioni e del contatto con l’esterno sono ovviamente importanti fattori patoplastici che favoriscono l’insorgenza di psicopatologie. Secondo uno studio dell’Osservatorio Permanente delle morti in carcere, il suicidio fra i detenuti al 41–bis è di 3,5 volte superiore rispetto alla popolazione carceraria “normale”. Ma riguardo l’insorgenza di patologie nel 41–bis occorre ancora osservare che il regime di proroga che viene spesso applicato a lungo termine a criminali di elevata pericolosità sociale, determina di fatto un innalzamento dell’età della popolazione carceraria e di conseguenza una più elevata probabilità di sviluppo di malattie croniche dell’età involutiva. Non è infrequente pertanto, osservare in detenuti in 41–bis, oltre che le tradizionali patologie tipiche della detenzione, anche malattie croniche e degenerative, quali stati dementigeni, tumori, gravi cardiopatie.
L’OMS ha più volte segnalato come la salute nelle carceri sia troppo spesso trascurata, sebbene sia un tema di assoluta priorità in quanto si coniuga con uno dei fondamentali diritti della persona.
Compatibilità con la detenzione
La normativa vigente prevede nel caso in cui sussistano condizioni tali da non rendere compatibile il diritto della persona alla salute con il regime detentivo, possano essere – previo esame medico – disposte misure alternative alla detenzione, di carattere transitorio (ricovero ospedaliero) o più protratto (detenzione domiciliare e altro). Il problema valutativo si pone in due alternative:
1. Per i soggetti già condannati in modo definitivo, che quindi si trovano in condizione di esecuzione della pena;
2. I soggetti sottoposti a misure cautelari, ovvero “in attesa di giudizio”, cioè sottoposti a indagini o interessati da processo, quindi non ancora condannati.
I soggetti in esecuzione della pena per condanna definitiva possono avere la pena sospesa obbligatoriamente (art. 146 c.p.) quando sia presente AIDS conclamato “ovvero altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le condizioni di salute risultano incompatibili con uno stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase di malattia così avanzata da non rispondere secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno ai trattamenti disponibili e alle terapie curative”, oppure facoltativamente (art.147 c.p.) “quando sussista una condizione di grave infermità fisica”, escludendo perciò le infermità mentali, che sono regolate invece, dall’art. 148 c.p. “infermità psichica sopravvenuta al condannato”. La norma di cui all’art.148 si applica ai detenuti nei quali si sviluppi una grave malattia psichiatrica dopo una condanna definitiva. Se la pena è inferiore ai tre anni il magistrato può disporre che il differimento sia effettuato in un ospedale psichiatrico, ovvero ad oggi, in una struttura del Dipartimento di Salute Mentale; se la pena è superiore è previsto l’internamento in Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Con l’approvazione della legge 81/2018, questi ultimi sono stati “superati” con l’istituzione delle REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza). Il Tribunale di Sorveglianza con l’art. 684 c.p.p. può anche disporre differimento della pena se la protrazione della pena sia tale da produrre un grave pregiudizio nel condannato.
Secondo l’art.73 c.p.p. “quando lo stato di mente dell’imputato appare tale da rendere necessaria la cura nell’ambito del Servizio Psichiatrico”, il giudice informa l’autorità sanitaria, e può disporre anche d’ufficio il ricovero presso idonea struttura del servizio medico ospedaliero. Il provvedimento può essere adottato anche nei confronti di persona libera – ancorché sottoposta a procedimento penale – ed ha come finalità la tutela della salute dell’indagato o imputato. E’ spesso oggetto di valutazione peritale la situazione a cui fa riferimento l’art. 275, 4 comma bis, c.p.p. e 275, 4 comma quinquies. In questi casi il giudice non ha molte possibilità di scelta: di fronte a una certificazione di parte che afferma l’incompatibilità del detenuto con il regime carcerario deve disporre perizia, se non accogliere direttamente l’istanza di revoca della misura detentiva.
Esecuzione penale e incompatibilità con il regime carcerario
La legge 12 luglio 1999, n.231 (Disposizioni in materia di esecuzione della pena, di misure di sicurezza e di misure cautelari nei confronti dei soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente grave) e la legge 8 marzo 2001, n. 40 (Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori), e le relative conseguenze sul piano della compatibilità carceraria hanno seguito due percorsi differenti: da un lato si è realizzata la possibilità di un rinvio facoltativo in relazione allo stato di gravidanza e alle necessità dei condannati affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria in situazione di incompatibilità con lo stato detentivo; dall’altro, la riforma ha modificato la disciplina del rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena (art.147 c.p.) che può essere disposto quando la pena deve essere eseguita nei confronti di chi si trova in condizioni di grave infermità fisica ovvero nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni. L’istituto del differimento dell’esecuzione della pena detentiva nelle ipotesi previste dagli artt. 146 e 147 c.p., risponde all’esigenza di tutela della salute del detenuto nonché all’esigenza di garantire il diritto di assistenza da parte dei propri congiunti durante la malattia.
Il profilo di incompatibilità di maggior rilievo medico-legale, per la problematicità della relativa valutazione, attiene propriamente all’ipotesi del rinvio facoltativo dettato dalle “condizioni di grave infermità”. Giurisprudenza e dottrina appaiono concordi in merito alla necessità di valutare l’utilizzo del criterio del livello di efficienza della struttura sanitaria penitenziaria tenendo presente la possibilità offerta dall’art. 11 c. II O.P., di curare all’esterno il detenuto: l’infermità grave deve essere valutata alla luce di considerazioni “relative alla qualità dell’assistenza fornita dall’istituto penitenziario di assegnazione, alle individuate scelte terapeutiche, ai rimedi indicati dai clinici e alle possibilità di giovamento che il richiedente può trarre in concreto dalla sospensione”; considerazioni che “non possono prescindere poi dal raffronto con il complesso degli strumenti che la legislazione pone al servizio del cittadino-detenuto al fine di garantire l’effettività del suo diritto alla salute”
Applicazione delle norme per casi gravi
La sospensione della pena per motivi di salute ha sempre rappresentato un problema spinoso, allorquando si tratta di applicare la norma nei casi di più gravi 11 reati e di condannati socialmente pericolosi. Da un punto di vista tecnico, appare utile distinguere le patologie ad andamento acuto da quelle ad andamento cronico. La natura di provvedimento temporaneo cui tende il differimento per le prime, infatti, risulta certamente soddisfatta poiché la durata della pena detentiva non sarà intaccata dalla sua essenza. In questi casi la concessione del beneficio potrà essere motivata, oltre che da ragioni squisitamente umanitarie, dalla inattuabilità della necessaria terapia in ambiente carcerario. Nel caso, al contrario, di patologia divenuta cronica ci si è chiesti se si possa applicare tale istituto considerando che, in questo modo, il rinvio dell’esecuzione della pena si sostanzierebbe in una mancata esecuzione della pena stessa. Per il vero, oggi, nel caso di situazioni insanabili, vi è la possibilità di optare per la detenzione domiciliare in luogo del differimento, ai sensi dell’art. 47 ter, c. I ter O.P.

Detenzione domiciliare
La detenzione domiciliare è “una misura alternativa ispirata alla prospettiva della piena decarcerizzazione quale modalità di esecuzione extraistituzionale della pena detentiva”. La detenzione domiciliare, disciplinata dall’art. 47 ter O.P., introdotto dall’art. 13 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, consiste nell’obbligo di risiedere “nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza”.
Salute Mentale ed assistenza psichiatrica in carcere
La Presidenza del Consiglio dei Ministri, attraverso il Comitato Nazionale per la Bioetica, nel marzo 2019 ha pubblicato un documento, con relative raccomandazioni riguardanti l’assistenza psichiatrica in carcere. La salute mentale è stata individuata come una delle aree critiche cui prestare particolare attenzione: l’equiparazione del diritto alla salute tra cittadini “fuori e dentro le mura” – il principio che ha guidato il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale – richiede un impegno più complesso nel campo della salute mentale.
Problematiche psichiche e compatibilità carceraria
L’area psichiatrica rappresenta la vera emergenza degli istituti penitenziari italiani, in quanto sono il principale contenitore del dilagante disagio mentale e la cartina tornasole di una marginalità sociale costituita da tossicodipendenti, prostitute, nomadi, vagabondi alcolisti, barboni ed extracomunitari. Si ritrovano soggetti affetti da parafilie di vario genere come transessuali, travestiti, omosessuali, pedofili che, spesso, non vengono seguiti dai servizi territoriali. Il carcere diventa così l’ambiente rivelatore del disagio e spesso il primo momento “ufficiale” di incontro di questi soggetti con le istituzioni. La necessità di una valutazione esterna di tipo peritale, si può ravvisare per soggetti già portatori di patologie psichiatriche, coinvolti in vicende giudiziarie, destinatari di misure cautelari ordinarie perché non è stato rilevato alcun vizio di mente, né parziale, né totale a cui dovrebbero essere applicate misure cautelari ordinarie. Potrebbe trattarsi di ex-pazienti o di persone che al momento dei fatti per cui sono indagati siano in fase di remissione e dunque imputabili.
Il CTP può svolgere un’importante funzione di broker del progetto terapeutico, identificando nel caso idonee soluzioni di trattamento o inserimento psichiatrico al di fuori del carcere, valutando direttamente le caratteristiche delle stesse e quindi proponendo al perito del giudice non una generica richiesta, ma una specifica proposta di cura, già concretizzabile. Da un punto di vista sintomatologico, il primo trauma che un detenuto subisce è rappresentato sicuramente dall’ingresso in carcere.
“Sindrome da ingresso in carcere”
La “Sindrome da ingresso in carcere” compare tanto più frequentemente e manifestatamente, quanto più elevato è il grado di educazione, di sensibilità, di cultura dei soggetti detenuti. Spesso consiste in una serie di disturbi non solo psichici, ma psicosomatici, riguardanti diversi organi ed è generalmente rappresentata da: disturbi dispeptici (inappetenza, senso di peso gastrico, rallentamento della digestione ecc), morboso disgusto per tutti i cibi con conseguente impossibilità ad alimentarsi (Sindrome di Gull), violenti e persistenti spasmi esofagei. Possono essere presenti manifestazioni respiratorie con sensazioni gravi di soffocamento, angoscia respiratoria, fame d’aria, e manifestazioni cardiovascolari con tachicardia, vertigini, svenimenti; inoltre si possono riscontrare sintomi psichici come lo stupore isterico, agitazione psicomotoria, crisi confusionali, anedonia, rannicchiamento fetale, furore pantoclastico, disorientamento spazio-temporale. Il trauma da ingresso in carcere può diventare tanto più forte quanto maggiore è il divario fra il tenore di vita condotto in libertà e quello fruibile in carcere. E’ certo comunque che per molti soggetti, in particolare alla prima detenzione, anche se per ciascuno in modo diverso, l’impatto con la struttura carceraria costituirà uno dei momenti più drammatici dell’esistenza.