Tossicodipendenza e genitorialità

“Tossicodipendenza e Genitorialità”
Giacomo Piperno

*A cura di Giorgia Di Ridolfo

In materia di tossicodipendenza, sono moltissime le problematiche fisiologiche e psicologiche che negli ultimi decenni hanno interessato i ricercatori, ridefinendo il concetto stesso di tossicodipendenza. Il lavoro è particolarmente centrato sui particolari legami di attaccamento che si sviluppano tra la diade genitoriale e il figlio, spiegando in breve la teoria dell’attaccamento e le varie classificazioni del tipo di legame che sono state proposte durante gli anni, sia studiando il pattern di attaccamento che il bambino mostra nell’infanzia, sia osservando come questo legame viene percepito nell’età adulta. Questo impianto teorico sarà alla base di tutto il lavoro e potrebbe aiutare a capire l’importanza fondamentale dei rapporti affettivi precoci tra genitori e bambino per lo sviluppo di una personalità sana ed equilibrata nell’età adulta. La tesi descrive le conseguenze della dipendenza genitoriale sul legame di attaccamento, offrendo riflessioni su quelli che sono i fattori di rischio a cui un bambino viene esposto in una famiglia con problemi di dipendenza.

Cos’è la tossicodipendenza?

Il termine tossicodipendenza individua un comportamento polideterminato e costituito dall’assunzione di sostanze non necessarie alla vita, ma capaci di provocare modificazioni a breve o lungo termine dello psichismo individuale. Con il termine di tossicodipendenza l’OMS definisce una malattia ad andamento cronicorecidivante che spinge l’individuo, in maniera più o meno coatta, ad assumere sostanze (droghe) a dosi crescenti o costanti per avere temporanei effetti benefici soggettivi, la cui persistenza è indissolubilmente legata alla continua assunzione della sostanza. G. Jervis (1975) distingue tra tossicodipendenza, che si verifica quando il soggetto introduce stabilmente nelle proprie abitudini la sostanza tossica perché ne è psicologicamente condizionato fino a non riuscire, se non con difficoltà, a svolgere senza di essa le proprie attività quotidiane, dall’assuefazione che si riferisce alla dipendenza fisica dell’organismo che ne ha bisogno per il proprio metabolismo, fino al punto di richiederne dosi sempre maggiori per evitare i sintomi di astinenza che accompagnano chi se ne priva improvvisamente.

Sebbene i fattori che contribuiscono all’instaurarsi della tossicodipendenza siano molteplici e di varia natura, è ormai chiaro che questa condizione è primariamente legata alle specifiche proprietà farmacologiche delle droghe, ed in seguito favorita da specifici meccanismi motivazionali e di gratificazione che diventano fondamentali per il tossicodipendente e che ne guidano il comportamento (Di Chiara, 2004). Il fatto che esistano non pochi tossicodipendenti che fanno uso di piccole dosi autoregolandosi (i cosiddetti weekend chippers) senza lamentare o comunque sopportando eventuali sintomi di astinenza, sta a dimostrare quanto intervenga il fattore motivazionale psicologico nel processo della tossicodipendenza.

Cos’è la tossicodipendenza?

I soggetti dipendenti

Il punto fondamentale nell’esperienza della dipendenza è rappresentato dalle problematiche innescate dalla separazione e dal distacco, le quali sono causa di profonda preoccupazione e di tendenze e comportamenti regressivi. Il dramma che si osserva in questi soggetti è rappresentato dall’incombente pericolo di cedimento psichico che si riferisce ad una tensione particolare ed intollerabile dalla quale scaturisce la complessità dei meccanismi di difesa attivati come controllo rispetto al terrore della vulnerabilità. Affinché la dipendenza si instauri nella vita di una persona è necessaria la presenza di una vulnerabilità di base, che conduce ad una modalità di comportamento utilizzata nel momento in cui il soggetto si trova sotto stress.

Nei soggetti dipendenti si presentano delle emozioni gravose, quali la frustrazione, la delusione, la rabbia, la gelosia, la rivalità, l’invidia e la competizione, che non riescono ad essere mentalizzate nell’esperienza interiore. Diviene fondamentale la capacità di rappresentazione di un pensiero o di un affetto, affinché i soggetti dipendenti riescano a raggiungere il controllo di quelle emozioni che potrebbero sopraffare e annientare la loro identità. Lo scopo del soggetto dipendente è quello di ricercare un piacere, il quale provoca uno stato di trance autoindotto, che permette di costruire una realtà psicosensoriale differente da quella esperita nella realtà ordinaria; tale realtà parallela permette di ritirarsi da ogni contatto, di dissociare le sensazioni, le emozioni e le immagini conflittuali, che non sono rappresentabili sul piano cosciente. Il soggetto dipendente attraverso i suoi comportamenti paradossali esprime una richiesta di aiuto, a volte quasi consapevolmente, a causa della sua incapacità a tollerare il dolore, rinuncia all’uso del pensiero e della riflessività, ricercando una scarica emozionale. Il DSM V divide i disturbi correlati a sostanze in due gruppi: disturbo da uso di sostanze e disturbi indotti da sostanze.

Attaccamento e tossicodipendenza

Originariamente proposta da John Bowlby, 1969, sulla base della sua ricerca con i delinquenti minorili, e successivamente elaborata sia da Bowlby (1969, 1973, 1980) che da Mary Ainsworth (1978), la teoria dell’attaccamento offre un quadro per comprendere i modi in cui le relazioni interpersonali possono modellare il funzionamento psicologico sia normale che patologico.

La teoria dell’attaccamento propone che lo sviluppo della devianza e di altre forme di psicopatologia nell’adolescenza e nella giovane età adulta potrebbero essere attribuibili, almeno in parte, a disfunzioni nelle relazioni intime precedenti. Gli esseri umani sono biologicamente predisposti a formare stretti legami affettivi con altri che possono fornire loro supporto, cura e protezione (Bowlby, 1969). La relazione di attaccamento prototipo è quella tra un bambino e il suo caregiver primario. Il bambino tramite l’attaccamento utilizza il caregiver primario come base sicura che gli permette di esplorare il mondo circostante in serenità e, quando necessario, di ricevere conforto. L’aver fatto esperienza di relazioni primarie connotabili in termini di relativa sicurezza diviene il prerequisito indispensabile per lo sviluppo armonico di tutte le altre competenze (Ruberti, 1996).

Attraverso l’esame della sicurezza dell’attaccamento, i ricercatori hanno appreso, ad esempio, che le persone che sono relativamente sicure nei loro attaccamenti hanno maggiori probabilità di gestire efficacemente i conflitti; fornire un supporto più costruttivo ai propri figli; e avere relazioni più soddisfacenti e gratificanti con i coetanei, la famiglia e con i colleghi. La relazione di attaccamento si forma nel corso dell’interazione con i caregivers, tramite cui i bambini accumulano informazioni rispetto alla disponibilità, alla qualità e alla affidabilità delle risposte degli altri e, circa alla fine del primo anno di vita, si formano delle specifiche rappresentazioni sui caregivers, su se stessi e sulla natura di queste relazioni. Secondo questa teoria, nel corso del tempo, tra le interazioni con le persone che accudiscono il bambino vengono estrapolate quelle più frequenti che, riprodotte più volte e ricordate, diventano relazioni. Le relazioni costituiscono quindi una sorta di modello mentale, una struttura schematica di conoscenza, che ognuno di noi possiede e che può evocare e “ripetere”.

“La trascuratezza genitoriale”

Il termine genitorialità è entrato nell’uso del linguaggio psicologico per indicare le interiorizzazioni che accompagnano la funzione biologica dell’essere genitori. Essa non rappresenta un semplice ruolo, bensì una ‘funzione‘, che non coincide necessariamente con la maternità e la paternità biologiche, ma si riferisce alla capacità del ‘prendersi cura’. La genitorialità è una fase dello sviluppo adulto ed indica la capacità di creare, proteggere, nutrire, amare, rispettare e provare piacere per qualcosa o qualcuno oltre sé stessi e non comporta necessariamente generare o allevare bambini. Per buona genitorialità si intende un atteggiamento genitoriale che presuppone una comprensione da parte dell’adulto, e conseguentemente, anche una risposta adeguata relativamente ai bisogni del bambino.

L’incapacità di svolgere in modo adeguato la funzione genitoriale non è quindi semplicemente la mancata capacità di rispondere in modo adatto ai bisogni dei figli, ma coinvolge delle dinamiche psicologiche più profonde, legate all’identità personale e alla qualità delle relazioni che hanno segnato il proprio percorso di crescita (Ghezzi & Vadilonga, 1996). Sappiamo che la situazione di tossicodipendenza può comportare una condizione esistenziale totalizzante, tale da escludere ogni altra motivazione, interesse, relazionalità, che non sia connessa alla sostanza, e che può togliere la possibilità e la capacità di dono di sé all’altro.

I genitori tossicodipendenti manifestano quella che potrebbe essere definita “trascuratezza genitoriale”, da intendersi come la manifestazione del non essere riusciti a proiettare ed utilizzare la propria emotività nella relazione con il figlio. Cirillo (1996) sostiene che la trascuratezza genitoriale dei tossicodipendenti non è semplicemente un effetto diretto dell’assunzione di droga, ma rappresenta invece il drammatico segnale di un blocco evolutivo.

“La trascuratezza genitoriale”

I genitori tossicodipendenti

I genitori tossicodipendenti, in generale, sembrano essere più predisposti nell’esibire aggressività verbale e fisica verso i loro figli e hanno punteggi più alti nelle misurazioni del potenziale rischio di commettere un abuso sui figli, rispetto ai genitori non tossicodipendenti (Ammerman, 1999). Le madri con dipendenza sembrano essere vulnerabili alla disregolazione emozionale nel loro ruolo di genitore, questo le porta quindi ad avere una scarsa capacità di auto-mentalizzazione e le rende incapaci nel dare senso alle loro emozioni negative. Queste donne hanno una scarsa abilità genitoriale che impedisce loro di mostrare emozioni positive durante le interazioni con i figli e di evitare comportamenti troppo duri, o punitivi, con loro (Boffo, 2011). A livello di coppia possiamo osservare che la coppia tossicomanica, per contrastare elevati livelli di angoscia, mantiene spesso rapporti fusionali o di tipo infermieristico, con possibili difficoltà per l’inserimento emotivo e relazionale del neonato; non è preparata ad affrontare tutti i compiti necessari a fornire un ambiente idoneo all’allevamento del bambino.

Tutte queste riflessioni ci aiutano quindi a capire che la trascuratezza dei tossicodipendenti adulti nei confronti dei figli rappresenta la conseguenza inevitabile di un pesante retaggio di carenze di attenzione subite nell’infanzia, in genere non riconosciute, che ne limitano le competenze genitoriali. Secondo Zeanah (1996), i figli dei tossicodipendenti, spesso trascurati, tendono a sviluppare stili di attaccamento di tipo evitante, caratterizzati dall’inversione di ruoli, assumendosi quindi responsabilità normalmente affidate ai genitori. Secondo Crittenden (1994) questi bambini tendono ad essere passivi, insensibili agli stimoli ambientali, chiusi verso i coetanei, disorganizzati e a volte aggressivi, oscillando tra il polo della depressione a quello dell’iperattività.

Interventi di supporto e aiuto

I Servizi negli ultimi anni hanno capito che è necessario rapportarsi ai tossicodipendenti genitori sviluppando attenzione, sostegno e modalità di ascolto che permettano di intervenire opportunamente nei momenti di crisi. I genitori che si trovano ad affrontare problemi legati all’uso di sostanze stupefacenti subiscono l’azione di molti fattori che influenzano le loro abilità genitoriali, quali la mancanza di sicurezza, di fiducia e di calore nelle relazioni genitori-figli, l’assenza di una vita familiare strutturata, di una disciplina adeguata, possono esporre i figli ad una condizione di rischio per lo sviluppo di problemi comportamentali, di tossicodipendenza e di disturbi mentali successivi. I programmi di formazione sulle abilità familiari si sono dimostrati efficaci nel prevenire molti di questi comportamenti a rischio, compreso l’uso di sostanze stupefacenti.

Gli studi confermano che la formazione sulle abilità di caregiving produce risultati migliori rispetto ai programmi che forniscono ai genitori soltanto semplici informazioni sulle sostanze stupefacenti. Ancora meglio, i programmi che includono la formazione riguardo le abilità genitoriali, i figli e famiglie stesse, possono essere adottati a partire dall’infanzia e per l’intera durata dell’adolescenza, e si sono rivelati efficaci nel modificare il funzionamento familiare e le pratiche genitoriali in modo durevole.

Tutto ciò permette di sviluppare ambienti più sani e supportivi per la crescita e lo sviluppo dei figli. È dimostrato inoltre che i programmi integrati rivolti alle donne (trattamento farmacologico, supporto psicologico e assistenza alla genitorialità) sono più efficaci rispetto al solo trattamento farmacologico nello spezzare il ciclo intergenerazionale della dipendenza e migliorare le capacità genitoriali delle madri tossicodipendenti.

La tutela del minore

Genitorialità e tutela del minore, richiamano a due principi fondamentali per i servizi: il diritto del minore ad essere educato nell’ambito della propria famiglia e la preminenza dell’interesse del minore in tutte le decisioni di competenza delle istituzioni pubbliche e private. La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia è stata approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 a New York in coincidenza con l’anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo (1789) e la Dichiarazione dei Diritti del Bambino (1959)

La tutela del minore si basa sul riconoscimento dei diritti che sono garantiti dalla legge e che si fondano sulla considerazione di ogni bambino e ragazzo come individuo e come figlio, distinto dal nucleo familiare ma contemporaneamente inscindibilmente legato ad esso, con un credito di affezione, tutela ed educazione (Ghezzi & Vadilonga, 1996). Il Codice Civile prevede (articolo 330) che il giudice possa far decadere la responsabilità genitoriale quando il genitore viola o comunque trascura i suoi doveri o quando abusa dei poteri arrecando un pregiudizio al figlio. In tal caso il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare.

Pertanto se il minore è privo (temporaneamente o stabilmente) di un ambiente familiare idoneo può venire affidato (temporaneamente) o adottato (definitivamente), passando eventualmente attraverso la condizione di affidamento preadottivo.

Per affidamento si intende un provvedimento circoscritto nel tempo e revocabile che vicaria l’assenza o la non disponibilità temporanea di un ambiente familiare idoneo a realizzare il diritto del minore a essere educato nella propria famiglia. Per adozione invece si intende un provvedimento finalizzato a dare al minore una famiglia che sostituisca a tutti gli effetti quella originaria andata perduta o mai esistita o rappresentata da genitori incapaci di fornire adeguata assistenza materiale e morale.

In conclusione, aiutare una persona tossicodipendente a sconfiggere la propria patologia non significa solo somministrargli la dose quotidiana di farmaci, ma deve presupporre tutta una serie di interventi coordinati tra loro, che lo portino a rivalutare le proprie scelte, a capire i propri trascorsi e magari a modificare comportamenti e pensieri in modo positivo e costruttivo per il futuro, con un occhio puntato verso il benessere del proprio figlio.

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