Stile di Attaccamento e Comportamenti Devianti in Adolescenza

Attaccamento adolescenza
Giacomo Piperno

*A cura di Simona de Filippis

Konrad Lorenz scoprì, attraverso i suoi rivoluzionari studi sulle oche e sulle anatre, l’esistenza negli animali di un particolare periodo, detto periodo critico o di sensibilità, in cui gli animali sono biologicamente predisposti ad apprendere e fissare in memoria le caratteristiche del proprio caregiver, cioè di chi è deputato a prendersi cura di loro. Lorenz scoprì che i piccoli di oca e di anatra, durante il periodo che va dalla schiusa delle uova a circa 48 ore dopo, iniziavano a seguire la prima cosa, persona o stimolo che vedevano muoversi, cioè qualsiasi cosa avesse avuto la caratteristica essenziale propria di un volatile madre: essere in movimento.

Gli Studi Etologici alla base della Teoria dell’Attaccamento

Imprinting filiale consiste nella formazione di un attaccamento e di una preferenza da parte di un cucciolo di animale per un genitore, un altro individuo o un particolare stimolo al quale esso sia stato esposto sin dalla nascita. L’imprinting filiale è stato osservato in diverse altre specie: pesci, cavie, pecore, cervi, bufali; dimostrando come i piccoli, appena in grado di muoversi, hanno la tendenza ad avvicinarsi e a seguire gli oggetti in movimento. Questo tipo di imprinting ha un importante significato adattivo: aumenta la possibilità effettiva che i piccoli sopravvivano, garantendo la vicinanza al proprio genitore, che a sua volta garantisce al piccolo riparo, protezione e cibo.

Secondo le ipotesi di Bowlby per cui l’attaccamento in sé è da considerarsi come un bisogno innato di ricercare per tutta la vita la vicinanza protettiva di figure di riferimento in momenti di difficoltà. Bowlby contestò fortemente la teoria pulsionale freudiana secondo la quale il legame che unisce il bambino alla madre è la libido. Per Freud il bambino appena nato vive in uno stato solipsistico di “narcisismo primario” e sperimenta una crescita di tensione in relazione al bisogno di nutrimento. La madre che fornisce, tramite il seno, il veicolo per la scarica di questa libido, diventa oggetto di amore del bambino per la sua capacità di attenuare, la tensione che altrimenti crescerebbe fino a diventare un vero e proprio stato di angoscia. Bowlby, al contrario, riteneva che il legame che univa il bambino alla madre non fosse una conseguenza del soddisfacimento del bisogno di nutrizione, bensì era di per sé un bisogno primario, geneticamente determinato, la cui funzione era garantire la crescita e la sopravvivenza biologica e psicologica del bambino. Non è più in primo piano la gratificazione orale ricevuta dal bambino, quanto piuttosto la qualità dell’accudimento, ovvero la disponibilità e la capacità di risposta materna.

Le Reazioni alla Separazione: il Contributo dei Robertson

I coniugi Robertson, coinvolti in un progetto di ricerca sugli effetti della separazione dalla madre avviato da Bowlby, riescono, attraverso il celebre ‟A two-year-old goes to hospital” (1952), a dare evidenza empirica ad alcune delle intuizioni di Bowlby che diventeranno centrali nella formulazione della teoria dell’attaccamento. Il documentario mostra l’impatto della separazione e la sofferenza sperimentata da una bambina di due anni allontanata dai suoi genitori e rivela il susseguirsi di reazioni alla separazione di una figura affettiva, che costituiscono un pattern universale, cross-età, cross-sesso, cross-specie. Infatti, le reazioni dei piccoli Rhesus, studiati da Hinde, apparivano chiaramente simili a quelle osservate dai Robertson nei bambini lasciati in ospedale e alle reazioni che Bowlby andava registrando, nella pratica clinica, tutte le volte che qualcuno si ritrovava ad affrontare una separazione o una perdita.

Bowlby (1969) distinse tre fasi successive alla separazione dalla figura di attaccamento:

La protesta

in questa fase il bambino appare a disagio, sovente ha crisi di pianto, rabbia, grida, iperattività, ansia e tende a rifiutare tutte le figure sostitutive che tentano di assisterlo.

La disperazione

la fase della protesta vigorosa lascia il posto ad una fase in cui il bambino sembra essere in uno stato di globale sconforto. È inattivo, letargico, depresso, non si cura delle persone circostanti, può piangere ininterrottamente o a intermittenza.

Il distacco

in questa fase il bambino accetta la nuova condizione, inizia a riadattarsi all’ambiente, mostrando nuovamente interesse per ciò che lo circonda. Tutto questo è, però, accompagnato da uno spiccato disinteresse e distacco verso i genitori.

Bowlby evidenziò come il distacco non fosse indicativo dell’estinguersi del legame affettivo, quanto piuttosto da ricondurre a dei meccanismi difensivi. Alla riunione con i propri genitori, infatti, in questi bambini riemergeva il loro attaccamento, ma esso si manifestava come un legame fortemente ansioso, che si manteneva anche a distanza di anni.

I Concetti chiave della Teoria dell’Attaccamento

«Il comportamento di attaccamento è quella forma di comportamento che si manifesta in una persona che consegue o mantiene una prossimità nei confronti di un’altra persona, chiaramente identificata, ritenuta in grado di affrontare il mondo in modo adeguato. Questo comportamento diventa molto evidente ogni volta che la persona è spaventata, affaticata o malata, e si attenua quando si ricevono conforto e cure.» Bowlby, 1988.

I fondamenti della Teoria dell’Attaccamento si possono riassumere in alcuni concetti che lo stesso Bowlby ha tenuto a definire in modo chiaro. Si fa riferimento alle nozioni di comportamento di attaccamento, sistema di attaccamento e legame di attaccamento, concetti tra loro strettamente correlati ma che necessitano di una precisa definizione, al fine di evitare confusioni circa il loro significato.

Teoria dell'attaccamento

Il pianto, le vocalizzazioni, la tendenza ad aggrapparsi e successivamente l’avvicinarsi e il seguire, sono i comportamenti che, nelle prime fasi di vita, permettono di richiamare le attenzioni della figura significativa, stimolandone la prossimità. A loro volta, i comportamenti di attaccamento sono il frutto dell’attivazione di un sistema di attaccamento, considerato da Bowlby un sistema comportamentale innato (non soggetto ad apprendimento), biologicamente determinato, dotato di una propria motivazione interna e quindi completamente indipendente dagli altri sistemi, come quello alimentare o sessuale, con i quali però si mantiene in costante interazione.

Si tratta a tutti gli effetti di un sistema omeostatico in grado di integrare il senso di sicurezza proveniente dal mondo interno con la sicurezza sperimentata nell’ambiente di vita. Sempre secondo lo stesso Bowlby, 1988: «il comportamento di attaccamento va infine ulteriormente distinto dal legame di attaccamento […]; mentre il comportamento di attaccamento può essere manifestato in circostanze differenti nei confronti di diversi individui, un attaccamento duraturo, o legame di attaccamento è riservato solo a pochissimi individui».

In termini evoluzionistici, c’è una funzione biologica che sottende alla ricerca attiva delle figure significative; tale funzione è quella della protezione dai pericoli e dunque della sopravvivenza che esse sono in grado di garantire. Proprio per questo, l’infanzia è il periodo della vita in cui i comportamenti di attaccamento si rendono maggiormente evidenti, a causa delle limitate possibilità che il bambino ha di provvedere a sé stesso. La persona alla quale Bowlby fa riferimento è generalmente la madre, ma in senso generico, viene intesa una qualsiasi figura in grado di fornire cure continuative e costanti al bambino fungendo per lui da base sicura da cui partire per esplorare l’ambiente.

Devianza Minorile e Attaccamento

Il concetto di devianza è un concetto complesso, di cui si sono occupati diversi orientamenti teorici e che ha assunto nel corso del tempo significati differenti e molteplici. Secondo la prospettiva sociologica un atto non è mai, di per sé, deviante; ciò che rende deviante un comportamento è lo specifico contesto socioculturale e, soprattutto, normativo in cui il comportamento si verifica.

Questo significa che un comportamento considerato deviante in un paese, in una determinata società o contesto sociale può essere, invece, accettato e considerato molto positivamente in un altro. La maggior parte delle definizioni di devianza riportate nei libri di testo riflettono questa relatività alla base del concetto stesso di devianza, secondo cui quest’ultima non è una qualità intrinseca di un determinato comportamento, ma un’interpretazione che se ne dà.

Questa idea è stata espressa bene da Durkheim nel 1893: “non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale, ma che è criminale perché urta la coscienza comune. Non lo biasimiamo perché è un reato, ma è un reato perché lo biasimiamo”.

Altri autori nel tempo, hanno definito deviante un “comportamento che si discosta dalle norme di un gruppo, e a causa del quale l’individuo che lo compie può venire isolato, o sottoposto a trattamento curativo, correttivo, punitivo”, Bagnasco 2007; per Thio, 1988 la devianza è, in generale, “qualsiasi comportamento considerato più o meno gravemente deviante dall’opinione pubblica”; o ancora, Higgins & Butler, 1982, considerano deviante un “comportamento, idee o aspetti di uno o più individui che alcuni membri di una società [] reputano sbagliati, cattivi, stravaganti, disgustosi, eccentrici o immorali: in altre parole, offensivi”.

È importante specificare che devianza e criminalità spesso coincidono ma non sono sinonimi. Infatti, la devianza riguarda i comportamenti non conformi ad una norma sociale, invece la criminalità racchiude tutti quei comportamenti che violano la legge e che sono definiti, quindi, reati. In sintesi, si può affermare che il confine tra devianza e criminalità è segnato da una linea precisa costituita dalle norme penali.

Adolescenza e Devianza

Un’altra distinzione fondamentale è quella tra devianza e disagio. Il disagio può essere definito come una condizione esistenziale connessa ad una percezione soggettiva di malessere; il disagio si sente ma non necessariamente si vede. Il disagio giovanile scaturisce quando lo stato interno di un giovane è in profondo disequilibrio con l’ambiente esterno. Può essere anche definito come la manifestazione delle difficoltà di assolvere ai compiti evolutivi che vengono richiesti dal contesto sociale per il conseguimento dell’identità personale e per l’acquisizione delle abilità necessarie alla soddisfacente gestione delle relazioni quotidiane.

Questa condizione porta l’individuo a sentirsi un disadattato e, di conseguenza, ad esperire una profonda sofferenza esistenziale. Senza dubbio il disagio può essere inteso come un campanello d’allarme che, se trascurato, frainteso e affrontato con risposte inadeguate, può evolvere e tradursi in comportamenti di maggiore gravità e pericolosità sociale.

Il fenomeno della devianza assume particolare importanza all’interno della condizione adolescenziale; condizione che, secondo le più eminenti teorie psicologiche, corrisponde ad uno dei periodi maggiormente critici dell’intero corso di sviluppo dell’essere umano: è un periodo caratterizzato da profonde trasformazioni fisiche, psicologiche e sociali, in cui l’individuo è chiamato a risolvere importanti crisi e conflitti. L’adolescenza e la giovinezza sono l’età del cambiamento, come indica l’origine latina della parola “adolescere” vale a dire crescere. In breve tempo, si susseguono una rapida crescita fisica, un aumento delle pulsioni sessuali, una definitiva scoperta della propria identità. In contemporanea alle trasformazioni fisiche, sessuali e psicologiche, il giovane deve affrontare numerosi e diversificati impegni sociali che riguardano l’autonomia, i diversi rapporti con il gruppo dei pari e con gli adulti.

In tale periodo, l’adolescente è alla continua ricerca di sé stesso ed affronta il grave problema della crisi di identità; una identità fragile, instabile perché ancora in costruzione, non più protetta dal senso di appartenenza familiare e non ancora sufficientemente supportata dall’identità sociale nascente. Inevitabile, dunque, che la fase adolescenziale sia spesso correlata ad un forte rischio di sviluppare forme di disagio giovanile. Per alcuni ragazzi, infatti, la situazione può presentarsi in termini ancora più complessi; ad esempio, per coloro che non hanno superato i precedenti conflitti infantili, per quelli che si sono sentiti rifiutati o non accettati, o per coloro che hanno vissuto in una povertà affettiva e in una marginalità sociale.

Spesso l’unica papabile soluzione per un adolescente è la chiusura in sé stesso o lo sfociare in manifestazioni più marcatamente psicopatologiche e/o comportamenti antisociali. Il giovane, infatti, chiamato urgentemente a riadattare sé stesso per andare incontro alle numerose aspettative sociali ed evolutive, esperisce nella maggior parte dei casi un forte senso di precarietà e instabilità che può sfociare e tradursi in comportamenti trasgressivi e atteggiamenti oppositivi. L’agito è spesso l’unico modo, il più immediato, per esprimere i propri conflitti ed angosce personali.

Attaccamento Sicuro e Adolescenza

Numerosi studi, ormai, concordano nel considerare lo stile di attaccamento sicuro un vero e proprio fattore protettivo per affrontare al meglio i vari compiti evolutivi, emergenti durante il periodo adolescenziale. Gli adolescenti con stile di attaccamento sicuro, infatti, possono beneficiare di una serie di competenze socio-emotive, tra cui le più importanti risultano essere la regolazione emotiva e lo sviluppo del senso del sé. In particolare, questi adolescenti riuscirebbero a sviluppare la propria identità con meno sforzi rispetto agli adolescenti con attaccamento insicuro. Gli adolescenti con attaccamento sicuro, invece, risultano essere anche più competenti, rispetto ai loro coetanei con attaccamento insicuro, nel regolare le proprie emozioni in situazioni di conflitto gli adolescenti “sicuri” sono socialmente più competenti rispetto agli “insicuri”, in quanto dotati di abilità emotive più avanzate, come l’empatia, la capacità di esprimere e di essere consapevoli delle proprie emozioni. Questi adolescenti si impegnano maggiormente nel risolvere attivamente i problemi e nel richiedere un supporto qualora servisse.

Attaccamento Insicuro, Adolescenza e Devianza

Principalmente sono due i fattori individuali che la ricerca è riuscita ad associare con più forza all’attaccamento insicuro: i comportamenti internalizzanti e i comportamenti esternalizzanti.

Diversi studi mostrano come l’attaccamento insicuro sia spesso connesso a problemi di ansia e depressione; in particolare, si ritiene che l’attaccamento insicuro combinato a inibizione comportamentale e stili genitoriali negativi, possa aumentare il rischio di sviluppare un’ansia clinicamente significativa durante il periodo adolescenziale. L’adolescente insicuro sarebbe più vulnerabile a sviluppare bassa autostima, disperazione e sentimenti di impotenza, anche a causa della sua scarsa capacità di chiedere aiuto e supporto durante i periodi di maggior angoscia.

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