Perizia psicologica e minore autore di reato


- Posted by Giacomo Piperno
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*A cura di Giovanna Fonti
La legislazione nazionale non fornisce una definizione di “minore autore di reato”, sebbene l’espressione ricorra più volte all’interno del codice di procedura penale per i minorenni. Una definizione si può trovare invece negli standard internazionali e in particolare nelle c.d. Regole di Pechino del 1985 che definiscono il minore autore di reato come “un giovane colto nell’atto di commettere un reato o accusato di averlo commesso” (art. 22 c.).
Il Minore Autore di Reato
Il sistema penale minorile si costruisce intorno al concetto di imputabilità. Per poter procedere penalmente nei confronti di un minore è necessario che questi sia imputabile, ovvero che sia stata valutata la capacità del minore per essere dichiarato responsabile di un reato e essere sottoposto a una pena.
Il sistema giuridico italiano regola in modo articolato la tematica. Il fodamento della norma dettata dall’art. 85 c.p., e di quelle analoghe previste dai codici degli altri ordinamenti, costituisce, nell’ambito del diritto, un tema di discussione particolarmente controverso. Da un lato, infatti, tutti gli ordinamenti che hanno raggiunto un notevole sviluppo eticogiuridico non sembrano propensi a considerare responsabile, e quindi passibile di pena, chi, pur avendo posto in essere un atto contra legem o comunque moralmente riprovevole, chi non era compos sui al momento della commissione del fatto. Dall’altro appare estremamente difficile stabilire quale sia il principio su cui tale discriminazione si fonda.
La difficoltà sorge dal fatto che la norma sopra menzionata sembra sottolineare una facoltà, nella “normalità” dei casi, di autoderminarsi secondo una libera e totale scelta della propria volontà.
L’articolo 85 c.p. esclude la punibilità di chi non era imputabile al momento in cui ha commesso un fatto previsto dalla legge come reato. La collocazione codicistica dell’istituto ha indotto una parte della dottrina a qualificare l’imputabilità come espressione di uno status, di una qualità soggettiva che deve necessariamente esistere nel momento in cui il soggetto commette un reato e senza la quale non può essere sottoposto a una pena.
Altra parte della dottrina considera, invece, l’imputabilità quale presupposto della colpevolezza in quanto rappresenta il criterio minimo per poter formulare un giudizio di rimprovero per una condotta antigiuridica. L’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità afferma l’autonomia del concetto di imputabilità rispetto a quello di colpevolezza, trattandosi di categorie giuridiche concettualmente diverse ed operanti su piani diversi.
Le sezioni Unite della Cassazione hanno, tuttavia, rilevato la propedeuticità “soggettiva” dell’imputabilità rispetto al reato. Secondo il Supremo Consesso, infatti, “l’imputabilità è ben di più che non una semplice condizione soggettiva di riferibilità della conseguenza del reato data dalla pena, divenendo piuttosto la condizione dell’autore che rende possibile la rimproverabilità del fatto”; essa dunque, non è “mera capacità di pena”, ma “capacità di reato o meglio capacità di colpevolezza”, quindi, nella sua “propedeuticità soggettiva rispetto al reato, presupposto della colpevolezza non essendovi colpevolezza “senza imputabilità”.
Il Processo Penale Minorile: Educare e Riparare
Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito a una sempre maggiore attenzione a porre al centro degli interventi in campo giuridico sia penale che civile l’interesse del minore. Il processo penale a carico di imputati minorenni diciplinato dal D. P.R. 22 Settembre 1998 n.448, ititolato “Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni” si ispira ad alcuni principi fondamentali, richiamati anche nelle convenzioni internazionali in materia, ed è costruito pertanto, “a misura di minore”.

Quando i minori sono indagati o imputati nei procedimenti penali o soggetti a una procedura di esecuzione di un mandato d’arresto europeo, gli Stati membri dovrebbero garantire che l’interesse superiore del minore sia sempre considerato preminente, a norma dell’articolo 24, paragrafo 2, della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. I minori indagati o imputati in procedimenti penali dovrebbero ricevere un’attenzione particolare che ne preservi le potenzialità di sviluppo e il reinserimento sociale.
Dagli atti internazionali emerge un modello di giustizia minorile agile e veloce pensato per un contesto istituzionale di forte presenza di servizi educativi del territorio a cui fare ricorso in alternativa al giudizio. Un modello basato sulla rapida uscita dal circuito penale e sul concetto di responsabilizzazione del minore anche attraverso forme di confronto con la vittima.
Al minore vengono garantiti pieni diritti in fase di processo, quali riservatezza, motivo per cui l’udienza del processo minorile non è pubblica. In base all’art.32 della normativa in materia, il minore ultrasedicenne può scegliere, previa autorizzazione del giudice, di aprire l’accesso.
La Mediazione Penale Minorile
Al sistema giuridico più antico, prevalentemente affidato alla vendetta privata, si è gradualmente sostituito un sistema penale statale, caratterizzato dal periodico aggiornamento dei metodi utilizzati per “sorvegliare e punire” ed orientati da una tendenziale “umanizzazione” del diritto penale, svolta mediante differenti “logiche sanzionatorie”.
In Italia la mediazione è stata introdotta nella prima metà degli anni Novanta del secolo scorso, come esperimento all’interno dei procedimenti penali a carico di minorenni, grazie a due fenomeni distinti. Innanzitutto, grazie al varo delle disposizioni sul processo penale minorile, il quale aveva introdotto per la prima volta misure alternative non repressive con l’art. 28 del D.P.R. 22 Settembre 1988, n. 448, Sospensione del processo e messa alla prova, che consentiva anche la mediazione, aprendo così la strada a un percorso di giustizia riparativa; poi anche grazie alla spinta di alcuni movimenti culturali collegati alla magistratura minorile, che facevano riferimento a esperienze già avviate in altri paesi e alla necessità che tale nuovo modello di giustizia si affermasse anche in Italia. I primi documenti ufficiali su cui si basa la giustizia minorile italiana sono, quindi, di impronta sovranazionale.
La pena riparativa diventa il risultato di una procedura, ispirata a caratteri informali, la mediazione, e si concretizza in un accordo tra le parti, da sottoporre successivamente alla ratifica del giudice: una sanzione che sia al tempo stesso obbligazione per l’autore del reato, ma anche e soprattutto risarcimento per la vittima e la società. Il modello riparativo consente alle parti di riappropriarsi del conflitto, mediante lo sviluppo di programmi di mediazione tra vittima e autore del reato volti a cercare, mediante una negoziazione tra i due mediati, un accordo di riparazione dei danni derivanti dal reato che sia soddisfacente per gli interessi di entrambe, e allo stesso tempo fornisce un elemento di rieducazione per il reo. La pena individuata in questo modo, è percepita dal reo come equa, perchè concordata da lui stesso direttamente con la vittima. Tutte queste istanze, hanno portato alla diffusione e all’applicazione del modello di giustizia riparativa in misura sempre maggiore in tutti i paesi occidentali.
L’adozione da parte della giustizia riparativa di un percorso di mediazione tra autore del reato e vittima, mette in risalto in maniera evidente, che il termine “riparazione” non allude a un semplice risarcimento in termini economici, ma assume una valenza più ampia ed etica, che ha come obiettivo quello di (re)instaurare la comunicazione tra autore del reato e vittima, interrotta dalla commissione del reato, e favorisce la diffusione di un maggiore senso di sicurezza sociale. La mediazione è finalizzata a promuovere una maggiore responsabilizzazione del reo, che spesso una sanzione penale di tipo tradizionale non riesce ad assicurare; a ridurre il rischio di vittimizzazione e a cercare di alleviare, per quanto è possibile, le sofferenze psicologiche ed emotive inflitte alla persona offesa dal reato.
La perizia psicologica nel processo penale
“Lo psicologo forense è consapevole della responsabilità che deriva dal fatto che nell’esercizio della sua professione può incidere significativamente attraverso i propri giudizi espressivi agli operatori forensi ed alla magistratura, sulla salute, sul patrimonio e sulla libertà degli altri. Pertanto, presta particolare attenzione alle peculiarità normative, organizzative sociali e personali del contesto giudiziario ed inibisce l’uso non appropriato delle proprie opinioni e della propria attività”.
Il perito psicologo
Il perito, in quanto chiamato come ausiliario del Giudice a svolgere le sue funzioni, deve possedere, al pari di questi, delle caratteristiche personali e professionali, che gli consentono di svolgere il lavoro con imparzialità, indipendenza e integrità. In ambito civile l’esperto nominato è chiamato consulente tecnico, in sede penale è detto Perito e il suo elaborato finale Perizia. I termini derivano dal latino peritia, che significano esperto, pratico. Accertati i requisiti, il perito dovrà garantire la correttezza della procedura, l’utilizzo di metodologie riconosciute dalla comunità scientifica e l’onestà deontologica. L’esperto nell’espletamento dell’incarico peritale deve attenersi scrupolosamente al codice etico e deontologico che consente allo stesso di operare in scienza e coscienza secondo le proprie competenze e conoscenze.
Lo Svolgimento della Perizia: Oggetto e Attività
La perizia nel processo penale è regolamentata negli articoli da 220 a 232 e 508 c.p.p. La sua formale collocazione tra i mezzi di prova consente di ritenere superata la vecchia questione, dibattuta in dottrina e giurisprudenza, circa la sua qualificazione processuale quale “prova”, “mezzo di prova” o “mezzo di valutazione della prova”.
Si ritiene in ogni caso che, al di là della scelta operata dal legislatore, la perizia si rivela essere un mezzo di prova per sua natura neutro, non classificabile né “a carico” né “a discarico” dell’imputato, sottratto al potere dispositivo delle parti e rimesso essenzialmente al potere discrezionale del giudice. Su tale punto, peraltro controverso in dottrina, la giurisprudenza di legittimità assolutamente prevalente ritiene, invece, che l’ammissione della perizia sia comunque rimessa alla valutazione discrezionale del giudicante, rispetto alla quale le parti sarebbero titolari di un mero potere sollecitatorio, anche in presenza di pareri tecnici da loro prodotti. La perizia è lo strumento giuridico attraverso il quale si realizza l’ingresso nel processo, di una conoscenza che esula dalla “comune esperienza” del giudice e delle parti.
Nell’attuale codice di procedura penale è così disciplinata:
- La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini e acquisire competenze tecniche, scientifiche e artistiche.
- Salvo quanto previsto ai fini dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l’abitualità o la professionalità del reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche.
Sia in ambito penale che in quello civile, la perizia è sempre e solo psichiatrica, fanno perciò eccezione gli accertamenti peritali volti a indagare sulla attendibilità di una testimonianza, sulla deficienza psichica in tema di circonvenzione di persona incapace, sulla inferiorità psichica in tema di reati sessuali, sull’immaturità in tema di minore età.
La perizia psichiatrica è quindi, uno strumento di prova attraverso il quale una verità clinica si confronta con una verità processuale per tradursi, se e quando possibile in una valutazione forense convincente, motivata, documentata, fruibile e comprensibile, non solo per gli “addetti ai lavori” ma soprattutto per chi ha il pesante onere di giudicare una persona.
L’accertamento della capacità di intendere e di volere nel minore autore di reato
Il codice penale italiano, in tema di imputabilità, dispone all’art. 85, come principio generale, che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se, al momento in cui il fatto è stato commesso, l’autore non era imputabile. Lo stesso articolo, inoltre, fornisce la definizione stessa di imputabilità, descrivendo come imputabile colui che possiede la capacità d’intendere e di volere.
Accertamento sulla personalità dell’imputato nel rito minorile
Requisiti fondamentali, pertanto, del concetto di imputabilità, sono le capacità di intendere e di volere. Nello specifico consideriamo la capacità di intendere, come la capacità di comprendere il significato del proprio comportamento e di valutarne le possibili ripercussioni positive o negative sui terzi.
La capacità di volere, invece, rappresenta l’attitudine del soggetto ad autodeterminarsi tra i motivi coscienti in vista di uno scopo, volendo ciò che l’intelletto ha giudicato di doversi fare. Si esprime, pertanto, nel potere di controllare gli impulsi ad agire e di determinarsi secondo il motivo che appare più ragionevole o preferibile in base ad una scala di valori: è attitudine, quindi, a scegliere in modo consapevole e ragionevole tra motivi antagonisti.
Il codice penale, agli artt. 97 e 98, distingue nettamente, in tema di imputabilità, le due ipotesi di soggetto minore di anni 14 e minore di anni 18. Secondo quanto riportato nell’articolo 97c. p. “non è imputabile chi nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni”.
L’art. 98, invece, regola, in tema di imputabilità, la situazione del soggetto minore di anni 18, ma che abbia già compiuto gli anni 14. Il primo comma della citata norma testualmente dispone: “è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità di intendere e di volere; ma la pena è diminuita”.
In tale ipotesi, l’imputabilità deve essere accertata in giudizio caso per caso e la pena è sempre diminuita, rispetto a quella che si applicherebbe se il soggetto agente fosse maggiorenne. Nel merito, il giudizio di valutazione dovrà focalizzarsi sulla maturità psichica e fisica dell’adolescente.
La colpevolezza del minore infraquattordicenne non è giudicabile, per il nostro ordinamento, pur rimanendo il fatto commesso tipico ed antigiuridico.