Lo psicologo nelle S.I.T. alla luce della Legge n. 172, 1ottobre 2012


- Posted by Giacomo Piperno
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*A cura di Antonella Postorino
La legge 1ottobre 2012, n. 172, che ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote, è ispirata ad un principio generale di protezione dei diritti del minore, sia nel ruolo di vittima che di testimone, e introduce gli artt. 351, comma 1-ter, e 362, comma 1-bis, codice di procedura penale. Tali disposizioni prevedono, fin dalla fase delle indagini preliminari, l’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nominato dal pubblico ministero, durante l’assunzione di sommarie informazioni testimoniali (S.I.T.) del minore nei procedimenti per reati di natura sessuale e riguardanti la tratta e lo sfruttamento. La legge 172/2012 rappresenta quindi un traguardo diretto a rinforzare le azioni di prevenzione e contrasto dei reati di abuso e sfruttamento infantile e adolescenziale, e allo stesso tempo aumenta le garanzie a tutela delle vittime e dei testimoni minorenni.
Riferimenti normativi e linee di indirizzo
Un “buon ascolto” deve poter garantire la protezione psicologica necessaria al bambino/adolescente (valenza “clinica”) e, parallelamente, rispondere all’esigenza investigativa di acquisire delle fonti di prova utili alla ricostruzione del fatto e all’eventuale individuazione del colpevole (valenza “criminologica”).
Il ruolo dello psicologo nella raccolta delle dichiarazioni delle “vittime vulnerabili” nell’ambito dei procedimenti penali, soprattutto in riferimento ad alcune tipologie di reato, negli ultimi anni è stato sancito su indicazioni di linee di indirizzo internazionali e nuove leggi nazionali a tutela di un miglioramento del sistema di protezione della vittima e a garanzia di una corretta modalità di assunzione della testimonianza stessa in sede di S.I.T.
A livello internazionale, la protezione della vittima di un reato si fonda oggi su linee di indirizzo e normative che definiscono il sistema di interventi erogati a livello europeo e nazionale. Si evidenziano in tal senso le disposizioni volte a garantire:
- le norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime dei reati (Direttiva 2012/29/UE, che sostituisce la Decisione quadro 2001/220/GAI);
- il reciproco riconoscimento di misure di protezione adottate a tutela delle vittime (Direttiva 2011/99/UE; Reg. 2013/606);
- la cooperazione tra gli Stati Membri, volto a facilitare, nei casi transfrontalieri, l’accesso delle vittime di reato a un indennizzo (Direttiva 2004/80/CE).
A questo hanno contribuito anche:
– la convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata ad Istanbul l’11 maggio 2011 (e ratificata dall’Italia con Legge 27 giugno 2013, n.77);
– la convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali firmata a Lanzarote il 25 ottobre 2007 (e ratificata dall’Italia con legge 1° ottobre 2012, n. 172);
– la convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979 (e ratificata in Italia con la legge del 14 marzo 1985, n. 132).
Rispetto allo specifico sistema di protezione da attuare nella raccolta della prova dichiarativa, ovvero nella fase di ascolto giudiziario della vittima a partire dall’acquisizione della notizia di reato (direttamente dall’autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria), erano già presenti importanti sollecitazioni europee grazie alla convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei bambini contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale, la “Convenzione di Lanzarote”.
La legge 172/2012: il ruolo dello psicologo
In attuazione della Convenzione di Lanzarote, nell’ottobre del 2012 il legislatore italiano ha provveduto ad adeguare l’ordinamento interno al fine di assicurare ai minorenni, coinvolti come fonti di prova nei procedimenti per reati a sfondo sessuale, protezione psicologica e tutela da manipolazioni volte a compromettere l’attendibilità, prevedendo la presenza dello psicologo in ausilio alla polizia giudiziaria e alla magistratura fin dalle primissime fasi dell’acquisizione della notizia di reato. La legge 1° ottobre 2012, n. 172 rappresenta quindi un traguardo diretto a rinforzare le azioni di prevenzione e contrasto dei reati di abuso e sfruttamento infantile e adolescenziale, ma anche a garantire la tutela delle vittime e dei testimoni minorenni. Lo scopo dell’intervento legislativo, infatti, è quello di conformare la disciplina interna del diritto penale, del processo penale e dell’ordinamento penitenziario alle indicazioni della Convenzione di Lanzarote.
Dal punto di vista del sistema processuale penale, la ratio delle nuove norme è improntata ad un principio generale di protezione dell’offeso: si vuole assicurare un’adeguata tutela dei diritti del minore, sia come vittima che come testimone, garantendo a costui anche un’assistenza psicologica durante i colloqui. La presenza di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nominato dal pubblico ministero, durante l’assunzione di sommarie informazioni del minore, è dunque finalizzata alla prevenzione dei rischi connessi alla “vittimizzazione secondaria”, ovvero all’ulteriore trauma che potrebbe scaturire dalle dinamiche processuali. In altri termini, la vittima non solo subisce un danno diretto dal reato (vittimizzazione primaria), ma anche le conseguenze che possono derivare da:
essere ascoltati diverse volte e da persone diverse
Ciò implica rivivere ripetutamente le esperienze, spesso traumatiche, subite dalla vittima o dal testimone con amplificazione degli stati d’animo connessi. Inoltre, moltiplica l’esperienza con il contesto penale di cui il soggetto spesso non comprende le regole, i ruoli, le finalità, con conseguente sentimento di estraneazione.
la modalità di conduzione dell’escussione della vittima e del testimone
Spesso viene messo in dubbio ciò che ha visto o vissuto, e, a seconda del tipo di reato per il quale si sta procedendo (per esempio i reati sessuali), vengono anche indagati aspetti della vita privata della vittima stessa, come, per es. quelli relativi alla sua reputazione, allo stile di vita, fino anche alla moralità, ecc.
incontrare il presunto autore di reati
I contesti giudiziari ancora oggi, malgrado le diverse accortezze tecniche previste anche normativamente, non sono organizzati per assicurare una adeguata tutela della vittima (per esempio non vi sono entrate o percorsi differenziati nelle sedi giudiziarie), se non in casi isolati. Questo provoca conseguenze tali sulle vittime e sui testimoni che possono arrivare a ritrattazioni di quanto affermato in precedenza, o addirittura che possono portare alla negazione di quanto accaduto.
la durata del procedimento penale
I tempi che intercorrono tra la denuncia, le indagini e il processo vero e proprio, senza poi contare i diversi successivi gradi di giudizio per cui un processo può durare anni, con le ovvie conseguenze negative per la vittima o per il testimone.
la pubblicità delle udienze
In qualche caso il nominativo della vittima o del testimone è facilmente ricostruibile se non addirittura reso pubblico dai media; ma non solo, spesso, la vittima o il testimone deve riferire di particolari della propria vita davanti ad estranei con il rischio concreto che possono, in alcuni casi, divenire di dominio pubblico. Lo psicologo costituisce una figura di mediazione tra le parti impegnate nel processo processuali e il soggetto debole da tutelare in quanto vittima o testimone del reato, volta ad incidere sulla corretta formazione del
contributo dichiarativo del minore e ad evitare una narrazione inattendibile, scaturente dalla non completa comprensione delle domande formulate da parte dell’esaminatore.
I molteplici ascolti a cui le vittime sono sottoposte costituisce uno dei nodi problematici più dibattuti, in ordine ai rischi di mancata tutela dei minori, legati al fatto di rivivere ripetutamente tali esperienze traumatiche e di farlo all’interno di un contesto di indagine non “a misura di bambino” (e quindi potenzialmente non protettivo). Oltre allo stress che chiunque, anche una persona adulta, vivrebbe in un contesto di ascolto giudiziario, molti studi hanno dimostrato come per le vittime minorenni tale stato di disagio possa aumentare in concomitanza di altri aspetti, come ad esempio la difficoltà nel comprendere il linguaggio utilizzato o la modalità in cui viene condotto l’ascolto.

“Buon ascolto”
Un “buon ascolto” deve poter garantire la protezione psicologica necessaria al bambino/adolescente (valenza “clinica”) e, parallelamente, rispondere all’esigenza investigativa di acquisire delle fonti di prova utili alla ricostruzione del fatto e all’eventuale individuazione del colpevole (valenza “criminologica”). La duplice finalità dell’ascolto, informazioni da raccogliere minimizzando le possibili fonti di stress al bambino e le possibili contaminazioni nel recupero del ricordo, impone pertanto a chi conduce il colloquio di possedere non solo delle conoscenze approfondite in ordine alla psicologia giudiziaria, alla psicologia della testimonianza e alla psicologia dell’età evolutiva ma anche di avere una preparazione consolidata nell’utilizzo di specifici protocolli di intervista investigativa.
I protocolli come la Step wise interview, l’Intervista cognitiva, l’Intervista strutturatao il NICHD investigative interview protocol, siarticolano in diverse fasi orientate alla creazione di un clima di familiarizzazione funzionale a far sentire il bambino o l’adolescente a proprio agio e anche a favorire una narrazione libera dei fatti presumibilmente accaduti, utilizzando un linguaggio consono all’età e alle sue competenze (psicologiche, sociali e relazionali). È infatti necessario «neutralizzare il rischio che la prova testimoniale risulti oltreché traumatica anche insoddisfacente per gli esiti del processo e, perciò, occorre rendere più confortevole il contesto» in cui avviene la narrazione del fatto/reato.
D’altra parte, la ratio che guida le regole da seguire durante l’esame testimoniale è della medesima natura: l’art. 499 – «Regole per l’esame testimoniale» – prescrive che l’esame testimoniale debba svolgersi «mediante domande su fatti specifici» (comma 1), evitando «le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte» (comma 2) vietando quelle che «che tendono a suggerire le risposte» (comma 3) e ponendo attenzione a non «ledere il rispetto della persona» (comma 4).
Ne deriva quindi che la legge 172/2012 individua nello psicologo o nello psichiatra infantile la figura competente professionalmente a condurre un “buon ascolto” giudiziario di bambini e adolescenti.
Finalità del buon ascolto
Un colloquio ben condotto permette anche di avere una funzione psicologicamente “trasformativa” ovvero di rendere possibile che i “vincoli” dell’impatto con la giustizia si trasformino in occasioni di riduzione della vulnerabilità e di sviluppo di fattori protettivi come la resiliency e l’empowerment.
Condurre un “buon ascolto” giudiziario di bambini e adolescenti punta altresì a diverse finalità, tra cui:
- diminuire il possibile effetto traumatico dell’attività di raccolta di dichiarazioni;
- garantire alle persone minorenni coinvolte nei procedimenti giudiziari il diritto di essere informate;
- ottenere il massimo di informazioni in merito all’evento;
- ridurre gli effetti di contaminazione dell’ascolto sul ricordo dell’evento e salvaguardare la genuinità della testimonianza; e) mantenere l’integrità del processo investigativo;
- diminuire la quantità di ascolti;
- garantire il contraddittorio (in caso di incidente probatorio)
Affinché tutti questi obiettivi vengano raggiunti, è necessario che venga adottata una metodologia scientificamente fondata e una competenza professionale specifica «centrata su alcuni fondamentali principi teorici e metodologici che orientano la scelta degli strumenti di indagine, le modalità operative, le finalità stesse dell’intervento».
Legge 172/2012 e la poca chiarezza del ruolo degli psicologi e delle modalità operative
Studiosi in psicologia giuridica e in criminologia hanno da tempo fissato numerose direttive circa i ruoli e le modalità operative degli esperti: dalla famosa Carta di Noto del 1996 (poi aggiornata nel luglio 2002) alle linee guida S.I.N.P.I.A. (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, del 15 febbraio 2007) e alle linee guida nazionali per l’ascolto del minore testimone (Roma, 6 novembre 2010). Il problema è che queste “carte” non hanno efficacia vincolante e sono spesso disattese nell’esperienza pratica. Viene ad esempio sovrapposto il ruolo di perito o consulente nella valutazione della idoneità a rendere testimonianza a quello dello psicologo in sede di assunzione delle dichiarazioni; ed ancora, viene confuso il compito dell’esperto incaricato a svolgere attività psicoterapeutica o di sostegno psicologico al minore abusato con il ruolo dell’esperto ausiliario del giudice in ambito penale.
La nuova legge pertanto non chiarisce l’effettivo ruolo dell’esperto in psicologia o in psichiatria infantile nel contesto dell’audizione del minore in sede di S.I.T. Alcuni spunti interpretativi si possono peraltro desumere da quanto è stato osservato con riguardo ad un’analoga previsione contenuta nell’art. 498 comma 4 c.p.p. In proposito, si è rilevato che le modalità attraverso le quali il giudice può avvalersi dell’ausilio dell’esperto si ricollegano alla tecnica di formulazione delle domande: il professionista “traduce” le domande del giudice in un linguaggio comprensibile al minore, anche allo scopo di evitare la suggestionabilità del minore stesso.
Le funzioni dell’esperto psicologo dovrebbero comunque rimanere circoscritte al momento dell’assunzione delle informazioni, non potendo sconfinare nella valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dal minore, che spetta esclusivamente al giudice.
Le disposizioni affermano che quando occorre assumere sommarie informazioni da persone minori, ci “si avvale dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile”, nominato dal pubblico ministero o scelto dal difensore, senza precisare a quale titolo tale soggetto debba partecipare, quale debba essere la sua funzione e quale contributo possa e ci si debba aspettare dallo stesso.