Le spose bambine tra cultura e diritto: evoluzione di un fenomeno di maltrattamento

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Giacomo Piperno

*a cura di Giovanna Cappiello Montoya

“Quando l’infanzia muore, i suoi cadaveri vengono chiamati adulti ed entrano nella società, uno dei nomi più garbati dell’inferno. Per questo abbiamo paura dei bambini, anche se li amiamo: sono il metro del nostro sfacelo” (Brian Aldiss, 1986).

Parafrasando le parole di Brian Aldiss, essere un bambino è un privilegio che purtroppo termina con l’ingresso all’età adulta. L’infanzia, la fanciullezza e l’adolescenza occupano un arco di tempo estremamente ridotto rispetto al totale della vita umana e ciò nonostante, rappresentano le fasi più importanti per la formazione della personalità dell’individuo. Sono gli anni della purezza, della spensieratezza, dell’ingenuità e della scoperta in cui ogni essere umano, impara a comprendere il mondo senza il peso delle responsabilità che generalmente sono a carico degli adulti. E’ pensiero comune quindi, permettere ai bambini di vivere la loro età nella sua totalità, non catapultandoli troppo presto nella vita degli adulti, tutelandoli e proteggendoli, anche perché non conoscendo il mondo, non hanno gli strumenti per poter scegliere consapevolmente il giusto e lo sbagliato. Questa idea di protezione però non è sempre stata una priorità dell’essere umano ma, anzi, sia in passato che purtroppo al giorno d’oggi, in alcune realtà del mondo, i bambini venivano/vengono trattati come dei piccoli adulti, o ancor peggio, venivano/vengono sfruttati e maltrattati.

Infanzia, adolescenza e Maltrattamento

Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza:

Art. 1 – Ai sensi della presente Convenzione si intende per fanciullo ogni essere umano avente un’età inferiore a diciott’anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile.

Evoluzione dei concetti d’infanzia e d’adolescenza

Lo sviluppo dei concetti d’infanzia e adolescenza come ad oggi si intendono a livello globale è stato un processo lungo e graduale che ha risentito dei vari periodi storici e culturali. In passato infatti, queste due fasi della vita, non rappresentavano dei passaggi fondamentali per lo sviluppo e la formazione dell’identità del futuro individuo adulto, ma venivano considerate solo delle fasi tradizionali di poco conto dove i bambini erano visti semplicemente dei “piccoli adulti” e non come soggetti bisognosi di cure e attenzioni.

Nell’antichità non vi era il tempo di essere fanciulli o adolescenti, l’aspettativa di vita era sicuramente più corta, la povertà più diffusa ed era abitudine per i più piccoli, prendersi precocemente le responsabilità degli adulti. E’ solo grazie agli studi e alle scoperte tecnologiche e scientifiche che si è potuto comprendere come infanzia e adolescenza siano indispensabili per lo sviluppo biologico, emotivo, psicologico e sociale dell’individuo e come privare i giovani di queste fasi potrebbe portare a problematiche serie e importanti.

Ancora più tardivamente inoltre, si è scoperta l’importanza del ruolo dell’adulto per lo sviluppo dei più piccoli poiché contribuiscono a determinare tratti, comportamenti ed abitudini in linea con il sistema culturale e con i valori e le tradizioni dell’ambiente in cui vivono (G. V. Burmenskaya , 2005). Tra i primi ad interessarsi e a cambiare l’idea della concezione del bambino è stato sicuramente Jean-Jacques Rousseau nel suo romanzo pedagogico “Emilio o dell’educazione” del 1762, nel quale evidenzia l’importanza di educare i bambini mettendo al centro i bisogni del bambini stessi e critica aspramente la pedagogia del tempo, affermando che sia poco attenta dei bisogni reali dell’uomo (M.Terziyska, 2017). Non essendo il linea con le idee del tempo, il lavoro di Rousseau non è stato accettato dagli educatori e dagli ecclesiastici del tempo e per questo motivo passeranno ancora parecchi anni prima che l’infanzia e l’adolescenza siano realmente comprese e conosciute.

Di notevole importanza saranno quindi i diversi studi della psicologia infantile e le teorie portate avanti dagli psicologi del XX sec tra cui Sigmund Freud, Piaget, Vygotskij ed Erikson che studiano le fasi dello sviluppo della persona e analizzano le varie tappe della crescita dell’individuo. Grazie a loro, ad oggi, infanzia e adolescenza, sono intese come le fasi della vita in cui si va a sviluppare l’identità dell’essere umano che dipende sia da caratteristiche biologiche, sia dalla società e sia dal gruppo di appartenenza.

Negli anni oltre alla psicologia, molte discipline tra cui la sociologia la pedagogia e il diritto, hanno studiato queste due fasi della vita dell’uomo e ad oggi si lavora congiuntamente in modo tale da preservare tali età e da dare ai minori il supporto necessario per diventare un giorno “adulti”.

Minori da oggetto a “soggetti di diritto”

Nel corso della storia, evolvendosi l’idea e la percezione del bambino, era necessario che si sviluppassero e prendessero piede anche delle leggi che potessero preservare e tutelare i diritti dei minori.  In passato infatti, non solo infanzia e adolescenza non avevano alcun valore per la società, ma oltretutto i bambini venivano considerati appendici dell’adulto e non erano considerati soggetti di diritto. I bambini quindi vivevano sotto la guida dei propri genitori o tutori che avevano la totale libertà di scelta per quanto riguarda gli stili educativi e le modalità con cui prendersi cura di questi bambini.

Nell’Antica Roma il neonato veniva considerato “nihil” che in latino significa “una cosa da nulla“, che il destino dei più piccoli dipendeva dalla “patria potestas”, ossia da chi comandava nella famiglia, e che se un genitore quindi decideva che un figlio alla nascita non serviva, spesso perché femmina o malformato, aveva tutto il diritto di abbandonarlo o addirittura ucciderlo (Romano, 2017). La legislazione e il diritto, iniziano ad interessarsi degli interessi dei minori all’inizio del Novecento e viene affermato che tali diritti non devono essere solo garantiti dai genitori o dalla famiglia ma anche da tutta la società (Abburrà, 2000). A livello internazionale il primo strumento che tutela i diritti dei minori è sicuramente la “Convenzione sull’età minima” del 1919 adottato dalla Conferenza Internazionale del Lavoro che sanciva tra le tante cose, anche l’età minima per l’inizio dell’attività lavorativa.

Pochi anni più tardi, nel 1924, dalla Quinta Assemblea Generale della Società delle Nazioni venne adottata la Dichiarazione dei diritti del bambino, o “Dichiarazione di Ginevra”, documento che voleva sensibilizzare l’umanità alla protezione dei minori ma che ancora non considerava il bambino come titolare di diritti ma solo come destinatario passivo (C. Bogliolo, 1998.). Sarà solo il 20 Novembre del 1959, con la proclamazione della “Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo”, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che vuole integrare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo con i bisogni specifici dei bambini, che il minore diventa “soggetto di diritto” (Unicef). A distanza di 30 anni dalla Dichiarazione dei diritti del Fanciullo, il 20 Novembre 1989 viene approvata dall’Assemblea Generale delle Nazione Unite la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rigths of the Child – CRC) o anche detta Convenzione di New York, entrata in vigore a livello internazionale il 2 settembre del 1990 e ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la legge n. 176. Questa Convenzione è l’atto a cui ancora oggi fa riferimento L’UNICEF per la tutela dei diritti dei minori e che riconosce al bambino la dignità di soggetto autonomo che ha diritto di essere tutelato e ascoltato. Attorno alla lotta per il riconoscimento dei Diritti dei minori, il sistema giuridico, pedagogico, psicologico, pediatrico e sociale della maggior parte dei paesi del Mondo, si è mosso al fine di far approvare leggi che tutelassero i minori anche da maltrattamenti e violenze sessuali. In Italia, il percorso è stato lungo e attualmente si fa riferimento a varie leggi tra cui alla legge n.66 del 15 febbraio 1996 “Norme contro la violenza sessuale” che ha trasformato il reato di abuso sessuale da reato contro la “moralità pubblica e il buon costume” in un reato contro la persona e ha introdotto i reati di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne, di corruzione di minorenne e di violenza sessuale di gruppo.

Ad essa si suggeriranno molte leggi tra cui a cui la legge n.269 del 1998 contro lo “Sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale a danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù” e la legge n.77 del 2003 di ratifica alla “Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei fanciulli” che muta la condizione giuridica dei minori considerando quest’ultimi come soggetti ai quali vanno riconosciuti, oltre che i diritti patrimoniali, anche i diritti di natura relazionale e patrimoniale.  Il 9 giugno 1996 , durante un convegno organizzato dall’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali venne stesa la “Carta di Noto” , successivamente revisionata tre volte fino all’Ottobre del 2017, che con i suoi 12 articoli pone le basi delle procedure da seguire durante l’esame del minore ,in ipotesi di abuso sessuale al fine di tutelarne i diritti e garantirne la protezione. Altro passo decisivo, se non fondamentale, per la tutela dei diritti dei minori è la legge n.172 del 1 ottobre 2012 di ratifica della Convenzione di Lanzarote (Consiglio d’Europa del 2007) per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, che considera per la prima volta, a livello internazionale, l’abuso sessuale contro i minori, un reato. Questo provvedimento introduce in Italia i nuovi reati di adescamento di minorenni, anche attraverso Internet, e d’istigazione e alle pratiche di pedofilia e di pedo-pornografia.

Le spose bambine

Quello del matrimonio forzato, è un fenomeno che da sempre è presente nel Mondo, che spesso è parte integrante della cultura e delle tradizioni di un paese e che proprio per questo motivo risulta essere molto difficile da prevenire e combattere. Ma cosa si intende per matrimonio forzato? Prima di tutto bisogna distinguerlo dal matrimonio precoce che sussiste nel matrimonio tra minori di 18 anni regolamentato dalle norme vigenti del paese in cui si svolge, e dal matrimonio combinato che nonostante sia un matrimonio dove gli sposi sono scelti dalla famiglia o dai parenti, non può essere celebrato senza il consenso degli sposi stessi. Per matrimonio forzato invece, si intende un matrimonio in cui una o entrambe le parti coinvolte vengono fatte sposare senza tener conto della loro volontà. Proprio per la violazione della volontà e della libertà umana e quindi di uno dei diritti fondamentali dell’uomo, questa pratica è ad oggi considerata una forma di maltrattamento, tanto più quando almeno uno degli sposi è un minore, nella maggior parte dei casi si parla di donne.

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Matrimoni forzati a danno dei minori

Dai dati rilevati dall’UNICEF nel 2014 emerge che attualmente nel mondo sono circa 700 milioni le donne che si sposano forzatamente prima dei 18 anni, 250 milioni addirittura prima dei 15, ossia circa 15 milioni di bambine ogni anno. Questo dato è estremamente preoccupante poiché per tali giovani, andare in moglie a uomini generalmente dai 10 ai 30 anni più grandi di loro, non vuol dire “solo” condividere una vita con una persona non desiderata ma consiste nel subire diversi tipi di maltrattamento. Oltre all’evidente abuso psicologico, alla mancanza di cura e protezione da parte della famiglia di origine, spesso, se non sempre, sono abusate anche fisicamente e sessualmente. Essere moglie comporta infatti “l’obbligo” di avere rapporti fisici e questo, essendo bambine che nel peggiore dei casi non hanno ancora avuto il menarca, comporta una serie infinita di problematiche psicologiche e fisiche. I loro corpicini non sono biologicamente pronti per l’attività sessuale e il rischio di un’emorragia interna, provocata da lacerazione, è veramente elevato, com’è elevato il rischio di morte per le gravidanze precoci o per aver contratto malattie sessualmente trasmissibili, tra cui l’HIV. Secondo i dati forniti dall’UNICEF nel 2013 sui diritti negati e sul fenomeno delle spose bambine sarebbero 70.000 le ragazze, tra i 15 e i 19, che muoiono a causa di complicazioni durante la gravidanza e il parto e le bambine sotto i 15 anni hanno 5 volte più probabilità di morire durante la gestazione rispetto alle donne tra i 20 e i 29 anni. Le complicazioni, non riguarderebbero solo le madri, ma sempre seguendo i dati sopra citati, un bambino che nasce da una madre minorenne ha il 60% delle probabilità in più di morire in età neonatale, rispetto a un bambino che nasce da una donna di età superiore a 19 anni. Queste donne, si trovano rinchiuse in una gabbia dalla quale non sanno come uscire, e spesso l’unica via di fuga la riscontrano nel suicidio(Fonte: Unicef). Nel Nepal, ad esempio, il matrimonio precoce è la prima causa di morte tra le ragazze (Dahal, 2016) e negli Stati Uniti, le donne sposate in età giovanile hanno una maggiore tendenza all’uso di sostanze, ai disturbi dell’umore, ai disturbi d’ansia e psicotici (Le Strat et al. 2011). Il fenomeno delle spose bambine risulta essere quindi estremamente complesso, che sottende una serie di problematiche e maltrattamenti da cui è bene salvaguardare le fanciulle e per questo negli ultimi anni è oggetto d’interesse per le organizzazioni che si occupano della tutela dei diritti dei minori.

La strada da percorrere affinché questo fenomeno sparisca completamente è ancora lunga e tortuosa perché ha radici culturali estremamente radicate. Sposarsi forzatamente in giovane età ed essere venduti alla famiglia del coniuge, nell’antichità non era considerata una pratica maltrattante poiché appunto la cultura, le tradizioni e il diritto molto spesso lo permettevano se non addirittura lo incitavano, e come è stato analizzato nel capitolo precedente, non consideravano il minore come un soggetto avente diritti.

Le spose bambine nel Mondo

Negli ultimi anni, il tasso di spose bambine, a livello globale, è diminuito grazie a legislazioni e politiche nazionali volte a tutelare i diritti dell’infanzia, all’impegno con le comunità e all’attivismo delle ragazze e dei ragazzi che vivono nei Paesi dove questa pratica è ancora diffusa. Nonostante le numerose lotte per l’abolizione dei matrimoni forzati e precoci e i diversi programmi di prevenzione che vengono messi in atto a livello internazionale, questo fenomeno trova legittimazione culturale, e delle volte anche giuridica, in molti popoli e nazioni. Ciò accade soprattutto nelle zone rurali e nelle comunità più povere come per esempio nell’Asia meridionale con un’incidenza del 46% e nell’Africa subsahariana, 37% (Unicef, 2013). Alcune stime dell’Unicef ci mostrano che i Paesi dove è più alta la percentuale di donne tra i 20 e i 24 anni che si sono sposate – o hanno iniziato a convivere – prima dei 18 anni sono: Niger 75%; Repubblica Centrafricana 68%; Ciad 68%; Bangladesh 66%; Guinea 63%; Mozambico 56%; Mali 55%; Burkina Faso 52%; India 47%; Eritrea 47%. In ogni Stato, il fenomeno si presenta con nomi differenti e viene messo in atto con riti e modalità proprie: in Sudafrica ad esempio la pratica prende il nome “ukuthwala”, e consiste nel rapimento delle giovani, spesso con il consenso della famiglia, che devono abbandonare gli studi e sono costrette all’immediato matrimonio.

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