L’approccio Sistemico all’osservazione del minore in CTU

Osservazione del minore
Giacomo Piperno

*A cura di Federica, Alessandra Fierro

Le Consulenze Tecniche nei procedimenti di separazione e divorzio si fondano su una concezione relazionale della genitorialità, intesa come una funzione triangolare che si determina nell’interrelazione tra i due genitori, il figlio ed i rispettivi sistemi relazionali di origine. In tale prospettiva il criterio valutativo preminente dell’adeguatezza genitoriale non si limita a considerare le capacità accuditive di ciascun genitore, ma pone al centro dell’attenzione la capacità e la volontà di ciascun genitore di promuovere l’accesso simbolico e fattivo dei figli all’intero contesto relazionale, ovvero la capacità di ciascuno, di mantenere e consolidare l’unità genitoriale nei riguardi del minore stesso.

Consulenza Tecnica d’Ufficio ad orientamento familiare nei procedimenti di separazione e divorzi

Il nuovo scenario normativo proposto dalla legge del 54/06, nell’introdurre la cultura del “legame parentale condiviso” ha posto alle famiglie e, in particolare, ai coniugi che affrontano la transizione critica della separazione e del divorzio, un’audace sfida. Con l’entrata in vigore di questa legge viene attribuita centralità alla funzione genitoriali versus quella coniugale ed è sancita la parità delle relazioni genitoriali e la continuità dei legami genitori/figli anche dopo la separazione coniugale. In ambito medico-psicologico, come in quello giuridico, l’interesse del minore è definito nella continuità dei legami genitoriali e con entrambe le famiglie d’origine; nella cooperazione del prosieguo del progetto genitoriale, affinché venga garantita al figlio un’educazione condivisa all’interno di una responsabilità congiunta. Con l’approvazione della legge n. 54/2006 sull’affido condiviso il nostro legislatore ha introdotto un’importante riforma nel diritto di famiglia, ed in particolare ha innovato profondamente la disciplina della separazione e del divorzio sancendo principi che aprono la strada ad un nuovo intendere i rapporti tra genitori e figli anche dopo la separazione.

Si parla di sfida perché l’affidamento condiviso implica la necessità da parte dei genitori di coordinarsi e cooperare per il benessere dei figli, con l’obiettivo di stabilire e sperimentare accordi soddisfacenti per sé e per i figli, indipendentemente dalla qualità della loro relazione coniugale e dalla asperità dei loro conflitti.

A fronte delle complesse dinamiche familiari che si creano quando la coppia coniugale si separa, nasce la necessità di riconoscere nuovi ruoli, confini e spazi all’interno di un progetto educativo per il benessere dei figli. Per acquisire elementi utili ad individuare la soluzione più idonea da adottare nello specifico caso, il Giudice incaricato del procedimento di separazione o divorzio può avvalersi di ausiliari esperti con specifiche competenze tecniche diverse ed ulteriori rispetto a quelle tipiche del magistrato (psicologia, psichiatria, neuropsichiatria, etc.). Nominando un consulente tecnico d’ufficio (CTU) incaricato di compiere una specifica indagine di natura psicologica sulle capacità genitoriali dei coniugi e sui rapporti di entrambi i genitori con il figlio, il Giudice riesce così ad ottenere le informazioni e valutazioni necessarie per la sua decisione finale.

Costruire un nuovo equilibrio familiare

Il CTU compare sulla scena giudiziaria in una fase in cui il conflitto è spesso esasperato, la coppia genitoriale – non più coniugale o legata da un rapporto sentimentale – si contraddistingue ormai per complesse dinamiche disfunzionali, elevata incomunicabilità e clima relazionale altamente conflittuale, vedendo nel procedimento davanti al Giudice l’unica soluzione per individuare le ragioni di ognuno. Lo svolgimento della Consulenza Tecnica disposta dal Giudice assume, in tale momento, un particolare rilievo poiché, oltre a costituire un valido strumento di supporto tecnico per il magistrato, rappresenta altresì uno spazio in cui la famiglia coinvolta può acquisire consapevolezza dei cambiamenti in atto, riconoscere e attivare le risorse necessarie per affrontare la situazione conflittuale e costruire un nuovo equilibrio familiare e genitoriale.

Nell’ambito dei suddetti procedimenti, dunque, siano essi a carattere consensuale o giudiziale, l’interesse del minore è il principio guida per stabilire ogni condizione riguardo l’affidamento dei figli: il Giudice deve tener anzitutto presente che il figlio ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale (art. 315 bis c.c.).

Costruire un nuovo equilibrio familiare

Nel corso dei procedimenti di separazione e divorzio di tipo giudiziale, la consulenza tecnica di carattere psicologico in ambito familiare viene dunque disposta dal giudice per reperire e poter disporre di dati informativi e conoscitivi specifici (sul nucleo famigliare in esame) ed ulteriori rispetto a quelli in suo possesso, maturati nel corso dello svolgimento del procedimento di separazione e divorzio attraverso gli altri mezzi di prova forniti dalle parti.

Nomina del CTU

Il Giudice nomina un consulente tecnico d’ufficio: un professionista esperto (psicologo, psichiatra, psicoterapeuta, neuropsichiatra) che svolga una indagine familiare approfondita, ovvero valuti la capacità genitoriale dei soggetti interessati, intesa in senso relazionale e, quindi, con riferimento non solo alle qualità del singolo genitore ma alla capacità effettiva di far fronte al complesso dei bisogni e delle necessità del minore.

Con particolare riferimento ai procedimenti in materia di separazione e divorzio, ciò significa che in sede di consulenza tecnica d’ufficio e in tema di valutazione della genitorialità, il mandato del Giudice allo psicologo forense nominato CTU si traduce operativamente in un processo di osservazione critica, di raccolta e di organizzazione funzionale di una serie di informazioni rilevanti, per fornire al Giudice quegli elementi di valutazione che gli consentano di raggiungere decisioni o convinzioni nel modo più informato possibile. In particolare, il Giudice chiede al CTU un approfondimento sui temi legati alla qualità dei legami familiari tra il minore e gli adulti di riferimento, le migliori condizioni di affido per garantire, al bambino un sano sviluppo psico-fisico. La funzione del CTU è dunque esclusivamente ausiliaria: il consulente non ha alcuna responsabilità decisionale e non è, in nessun caso, sostituto del giudice, il quale resta “peritus peritorum”, ovvero l’unica figura legittimata in termini decisionali.

Processi di triangolazione disfunzionali

Il CTU fornisce un quadro completo del funzionamento familiare della famiglia separata, dei rischi che corre e delle risorse che può mettere in atto per fronteggiare e superare questo momento critico. In tal modo è possibile formulare ipotesi sulle triangolazioni in cui il bambino è coinvolto e individuarne possibili vie d’uscita; è possibile per il consulente osservare il figlio nel conflitto, tra alleanze, contese e abbandoni. Se nella relazione di coppia vi è un conflitto, una disfunzione relazionale, il minore si troverà esposto a una condizione di rischio in quanto egli verrà facilmente coinvolto in dinamiche “triangolari” disfunzionali.

I processi di triangolazione disfunzionali si verificano maggiormente nelle famiglie che vivono condizioni di disagio e conflitto: i figli coinvolti in queste dinamiche relazionali perdono la possibilità di godere appieno delle relazioni con entrambi i genitori e, sovente, sono indotti a scegliere tra uno o l’altro di questi, perdendo l’accesso ad una reale intersoggettività. L’analisi delle singole relazioni diadiche genitore-figlio non sono sufficienti a fornire indicazioni sul processo di riorganizzazione delle relazioni familiari. In quest’ottica diventa fondamentale l’incontro con tutta la famiglia, in cui il consulente potrà osservare i membri in relazione tra di loro e fornire una lettura complessuale delle relazioni co-parentali e intergenerazionali.

L’ascolto del minore nella CTU di separazione e divorzio

Tra le attività svolte dal CTU nell’ambito della sua indagine rientra sovente quella inerente all’ascolto del minore coinvolto nel procedimento di separazione/divorzio avanzato dai genitori. La tematica dell’ascolto del minore all’interno delle procedure giudiziarie che lo riguardano ha assunto, negli ultimi anni, una particolare rilevanza. Se è vero che il diritto all’ascolto del minore è ormai contenuto da tempo in numerosi documenti internazionali è pur vero che soltanto di recente le scienze giuridiche ed il legislatore hanno cominciato a considerare realmente il minore come soggetto titolare di autonomi diritti (e non più soltanto come mero oggetto di tutela).

Diritto del minore di essere parte attiva

Sappiamo quanto sia difficile per un genitore separato, soprattutto in presenza di alta conflittualità, mantenere presente nella mente del figlio, la figura dell’altro genitore. In questi casi, il lavoro del Consulente in sede di ascolto dovrà prestare particolare attenzione alle dinamiche osservare ed avere in mente i reali bisogni del minore, comprendere se il rifiuto ha a che fare con un suo vissuto personale; e capire se il genitore, con cui il bambino ha un rapporto funzionante, si sottrae al suo compito in seguito a possibili difficoltà di gestione della propria sofferenza interna anche legata alla conflittualità di coppia.

Appare chiaro come la finalità di questo tipo di ascolto non sia tanto e solo quella di prendere atto del punto di vista oggettivamente espresso dal minore, quanto piuttosto quella di «mettere in luce la posizione che il minore occupa all’interno del “gioco relazionale” cercando, laddove necessario, di ricollocarlo nella sua giusta posizione filiale, affinché tutti, in primo luogo i genitori, possano riconoscere i suoi veri bisogni» (Timms J., 2003).

L’ascolto viene proposto come scelta metodologica e procedura specialista tesa a dare voce a bambini e adolescenti al fine di esercitare il loro diritto di essere parte attiva dei procedimenti giudiziari che li riguardano e quindi risorsa partecipativa della propria vita relazionale: uno spazio per consentirgli di partecipare attivamente ad una fase critica del loro ciclo di vita.

L’atteggiamento del minore

Quello dell’ascolto è un momento molto utile per conoscere i desideri del bambino, i suoi timori e il suo disagio. Può essere utile che il consulente renda comprensibile il suo ruolo e definisca tra i suoi obiettivi quello di voler aiutare i genitori a litigare meno, chiedendo al bambino se ha già fatto tentativi in merito. L’atteggiamento che il minore assume verso il consulente è, il più delle volte, determinato dalle reazioni degli adulti e dalle informazioni che ha ricevuto; talvolta il consulente si può trovare di fronte ad un bambino che è stato istruito. E’ importante quindi che il CTU attraverso la disponibilità e l’ascolto, instauri con il minore un rapporto di fiducia, tale da essere percepito come una persona che può capirlo e aiutarlo a esprimere i suoi bisogni e che tiene riservate le confidenze che il piccolo gli affida.

Strumenti di osservazione con bambini e adolescenti

Nell’incontro congiunto tra il minore e i genitori risulta particolarmente efficace il ricorso a strumenti che impegnano l’intera famiglia in un compito comune, che porti il gruppo familiare a confrontarsi con uno spazio ed un obiettivo condivisi e, essendo per sua natura non facilmente controllabile a livello cognitivo, permetta l’emergere della dinamica familiare. Inoltre, la parola/gesto che il figlio esprime in questo contesto è particolarmente preziosa e illuminante, non solo perché essendo prodotta all’interno dell’interazione congiunta è più facilmente interpretabile, ma perché essendo prodotta in tale maniera diviene più accessibile e comprensibile ai genitori stessi che sono in definitiva i veri destinatari della parola del figlio, ma anche quelli che in queste circostanze spesso sono più in difficoltà ad ascoltarla e comprenderla.

Il Lousanne Trilogue Play clinico

Il Centro di Studi e Ricerche per la Famiglia dell’Università di Losanna, coordinato da Elizabeth Fivaz-Depeursinge ha messo a punto il Lousanne Trilogue Play una procedura standardizzata di osservazione delle dinamiche familiari. Presupposto di base a questo strumento è che, attraverso l’osservazione dei comportamenti della famiglia, sia possibile accedere al livello dell’intersoggettività: alle intenzioni, ai sentimenti e ai significati che sono espressi nelle relazioni familiari ed alla qualità del funzionamento familiare. Il paradigma del Lousanne Trilogue Play permette, infatti, di descrivere il funzionamento familiare in relazione al livello di coordinazione che i membri della famiglia ottengono nel raggiungere insieme uno scopo condiviso, suggerito dallo sperimentatore. La procedura permette di osservare e registrare come i genitori e il loro figlio giocano insieme in un sistema di triangolazione in cui i partecipanti (madre, padre e figlio) occupano idealmente i vertici di un triangolo equilatero. Lo strumento è stato poi revisionato in Lousanne Trilogue Play clinico presso l’Università La Sapienza di Roma dal gruppo di ricerca di Marisa Malagoli Togliatti e Silvia Mazzoni. L’utilità di tale strumento si è esteso anche in ambito giudiziario: nelle consulenze tecniche d’ufficio, negli interventi di mediazione e nei vari interventi a sostegno dei minori e delle loro famiglie.

Test della Doppia Luna

Il Test della Doppia Luna è di tipo proiettivo-costruttivo, afferente all’area clinica, sui confini e sulle appartenenze familiari teso ad indagare le dinamiche psichiche ed affettive legate ai processi di separazione, divorzio e ricomposizione familiare. Il test chiede ai soggetti di eseguire una rappresentazione grafica all’interno di uno spazio simbolico, un rettangolo pre-disegnato su un foglio bianco che rappresenta il mondo della persona e le persone per lei importanti; mentre lo spazio esterno al rettangolo è tutto ciò che c’è al di fuori di questo mondo. Si chiede poi al soggetto di osservare le persone che ha disegnato e di racchiudere in uno stesso cerchio le persone che secondo lui/lei fanno parte della stessa famiglia. Se uno dei due elementi cruciali del conflitto di appartenenza non è stato collocato spontaneamente dal soggetto, il test prevede che il somministratore richieda esplicitamente se manca qualcuno nel disegno, se c’è qualche persona che a lui/lei piacerebbe fosse in un’altra posizione o che vorrebbe aggiungere.

Disegno congiunto della famiglia

Un’altra tecnica utilizzata nell’ambito giuridico e di mediazione familiare è il disegno congiunto della famiglia (Cigoli et al., 1988) che consiste in un disegno dell’intero nucleo familiare svolto insieme da tutti i membri della famiglia. Il Disegno congiunto è uno strumento messo a punto negli anni settanta in uno studio di E. Bing, che cercava di combinare i vantaggi di una tecnica proiettiva con quelli di un compito interattivo focalizzato sul comportamento non verbale. Anche il disegno è risultato un canale preferenziale per permettere ai bambini di esprimersi, rispetto a quello verbale, tipico degli adulti. Attraverso il disegno il bambino esprime i suoi stati d’animo e può segnalare la presenza di conflitti familiari, offrendo una via per comunicare con gli adulti.

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