La Sindrome di Münchausen: riflessioni psicologico-giuridiche

Sindrome di Münchausen
Giacomo Piperno

*A cura di Giorgia Aloisio

Il bambino intrappolato in un ambiente prevaricante, si trova a dover affrontare un compito di adattamento di grave complessità. Dovrà trovare una strada per conservare un senso di fiducia in gente inaffidabile, sicurezza in un ambiente insidioso, controllo in una situazione di assoluta imprevedibilità, senso di potere in una condizione di mancanza di potere” (Herman 2005)

Il Disturbo Fittizio procurato ad Altri

A livello globale, secondo le indagini dell’Unicef, circa 300 milioni di bambini subiscono aggressioni psicologiche e/o fisiche tra le mura di casa (Unicef, 2017). Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in Europa ogni anno muoiono oltre ottocento minori al di sotto dei 15 anni a causa del maltrattamento (dati del 2013: CNOP, 2019). Abuso e maltrattamento dei minori possono assumere dimensioni visibili e quindi più agilmente rilevabili ma possono anche celarsi dietro comportamenti meno evidenti: è questo il caso del maltrattamento insito nelle condotte di ipercura, oggetto di questa ricerca. Nell’indagine effettuata dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, CISMAI (Coordinamento Italiano Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia) e “Terre des Hommes”, il numero di soggetti minori che nel nostro paese hanno subito cure errate durante l’età evolutiva si aggira intorno a circa 100.000: con molta probabilità, questo dato sottostima i casi non identificati e quindi non denunciati, fattore che desta ancor più preoccupazione per la salute e la tutela dei minori (2015). L’aver subito maltrattamenti e/o abusi durante l’infanzia è un fatto tristemente frequente a livello globale; le cosiddette “esperienze avverse in età pediatrica” (Adverse Childhood Experiences, ACE) conducono troppo spesso verso la strada del trauma non sempre palese e quindi non sempre elaborabile in maniera diretta e consapevole.

Attualmente la tematica del trauma è oggetto di grande attenzione da parte del mondo scientifico, anche perché il trauma può avere luogo attraverso una miriade di modalità: può trattarsi di un trauma singolo, di più eventi traumatici cumulativi, di traumi primariamente psichici o fisici, traumi vissuti in prima persona o accadimenti ai quali il soggetto ha assistito inerme in veste di silenzioso testimone, può essere un trauma intenzionale oppure accidentale.

Ex Sindrome di Münchausen, Dott. Meadow

Quando le aggressioni avvengono durante la delicata fase evolutiva, questo tipo di eventi può portare gli individui a sviluppare quadri francamente patologici sia durante l’infanzia stessa che in età adulta e arrivare a trasmettersi in modalità transgenerazionale. Altra evidenza di recente scoperta riguarda le trasformazioni organiche che le vittime di abuso e maltrattamento subiscono: la violenza, in tutte le sue forme, ha evidenti implicazioni a livello neurologico e di sviluppo cerebrale e in assenza di fattori protettivi può giungere a provocare traumi psichici/interpersonali di varia entità che possono condurre a quadri francamente psicopatologici.

Quando per la prima volta nel 1977 Roy Meadow segnalò l’esistenza di questo particolare disturbo, la reazione generale, soprattutto quella del mondo medico, fu di grandissimo sconcerto: sembrava impossibile che un genitore potesse arrivare a maltrattare il proprio figlio nascondendo questo comportamento sotto una cura apparentemente amorevole e meticolosa. Il dottor Meadow, pediatra inglese, attraverso un’attenta e meticolosa osservazione, si era accorto che le madri di alcuni dei suoi piccoli pazienti avevano intenzionalmente provocato i malesseri dei loro bambini: in un caso, una donna aveva somministrato altissime dosi di sale da cucina al figlio, in un altro una mamma aveva contraffatto i campioni di urine del bambino aggiungendovi il proprio sangue mestruale.

Si trattava per lo più di madri in apparenza molto affettuose verso i loro figli, donne che trascorrevano buona parte del tempo in loro compagnia, incredibilmente avvezze alle pratiche mediche e all’uso di una terminologia tecnica. All’epoca in cui, ad opera di questo medico, questo specifico disagio emerse in modo netto e fu inquadrato a livello nosografico, Meadow stesso subì una sorta di “isolamento” dalla comunità scientifica dell’epoca; ancora oggi c’è molta riluttanza a credere che figure di riferimento per il minorenne come un tutore o, ancora peggio, un genitore, i quali dovrebbero rappresentare dei “fattori protettivi” nei confronti di sviluppo e crescita dei giovani, possano arrivare ad agire un maltrattamento così silenziosamente distruttivo.

Cos’è la sindrome di Münchausen

Secondo Van der Kolk (2014), uno dei maggiori esperti nell’ambito del trauma psichico, «è molto difficile guarire i bambini quando l’origine del terrore non è un nemico da combattere, ma i loro stessi genitori» (p. 24).

Gli attori in scena sono solitamente due: il caregiver (un genitore, solitamente la madre, oppure un tutor, una figura di riferimento per il bambino) e la vittima di queste tossiche, distruttive attenzioni; è fondamentale tenere a mente che la diagnosi viene formulata nei confronti dell’adulto che si occupa del bambino e non della vittima di maltrattamento. Oltre a queste due parti in causa, gioca un ruolo fondamentale la presenza di personale medico e di strutture sanitarie, sempre coinvolti in questo tipo di condizione. Nella maggior parte dei casi, come confermato dall’American Psychiatric Association (APA), il soggetto maltrattante risulta essere la madre; in misura decisamente minore si sono registrati casi di maltrattamento ad opera di padri, baby-sitter o tutor.

Oltre alle resistenze ad ammettere l’esistenza di un maltrattamento così “inaccettabile” è importante ricordare che questo tipo di abuso è estremamente complesso da rilevare: le vittime sono nella maggior parte dei casi in età evolutiva in un rapporto di asimmetria e di dipendenza nei confronti del caregiver. I bambini non sono ancora in possesso di una mente completamente formata e matura a tal punto da poter osservare ed esprimere le proprie considerazioni critiche nei confronti dell’operato di chi si occupa di loro. Inoltre, le persone che ruotano attorno alla coppia caregiver – vittima (parenti più o meno stretti, pediatri, insegnanti) sono quasi sempre del tutto ignare dell’esistenza di questa patologia delle cure. Solitamente, la vittima è un soggetto di minore età, nonostante in letteratura siano stati segnalati anche alcuni rari casi di Disturbo Fittizio provocato ad Altri indotto in soggetti adulti.

Le cosiddette “cure” che ricevono i bambini vittime del Disturbo Fittizio Procurato ad Altri, da un lato si travestono da devozione e affetto nei confronti del minore, dall’altro sembrano descrivere caregiver solleciti, genitori quasi perfetti, completamente dediti alla salute del bambino, quasi loro stessi delle vittime piuttosto che dei carnefici. In numerosi casi, gli operatori che si occupano dei minori e della loro salute (insegnanti, pediatri, infermieri, …), confusi dalla bizzarra e non classificabile sintomatologia manifestata dal bambino, vengono tratti in inganno dai caregiver e spesso sono proprio questi operatori a consigliare iter diagnostici lunghi, farraginosi, troppo spesso inutili o addirittura dannosi per la salute del minore. I tempi con i quali questi individui vengono identificati e bloccati nei loro malevoli intenti sono, per i motivi di cui sopra, estremamente lenti e in alcuni casi la loro lentezza porta alla malattia o al decesso del piccolo (e quindi si arriva al figlicidio).

Classificazione e inquadramento nosografico

Ancora molto nota con l’etichetta “Sindrome di Münchausen per procura”, attualmente questa condizione patologica è inquadrata dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM – 5) come Disturbo Fittizio provocato ad Altri e rientra nella macrocategoria del Disturbo da Sintomi Somatici e Altri Disturbi Correlati. I criteri per diagnosticarlo sono i seguenti:

  • Falsificazione di segni o sintomi fisici o psicologici, o induzione di un infortunio o di una malattia in un altro individuo, associato a un inganno accertato.
  • L’individuo presenta un’altra persona (vittima) agli altri come malata, menomata o ferita.
  • Il comportamento ingannevole è palese anche in assenza di evidenti vantaggi esterni
  • Il comportamento non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale, come il disturbo delirante o un altro disturbo psicotico. Questo disturbo può presentarsi come episodio singolo oppure con episodi ricorrenti (due o più) e rientra nell’ambito del maltrattamento intrafamiliare. Secondo alcuni autori, il Disturbo Fittizio procurato ad Altri costituisce una variante dei Disturbi Somatoformi.

Il DSM-5 sottolinea che è il perpetratore, non la vittima, a ricevere la diagnosi; il perpetratore è solitamente il caregiver, la persona che “si prende cura” della vittima, che può essere un tutor, un assistente ma, nella maggior parte dei casi, è identificabile nel genitore, nella maggior parte dei casi la figura materna. Il caregiver imposta il proprio stile di vita sulla condizione della vittima e fa in modo che il soggetto delle sue cure manifesti una forma di disagio che però, a occhi esperti, risulta di difficile se non impossibile diagnosi. Come accennato nell’introduzione, questo disturbo si configura, a tutti gli effetti, come un maltrattamento nei confronti dei minori, quindi un reato punibile ai sensi della legge.

Maltrattamento e modalità abuso all’infanzia

Secondo il Garante dell’Infanzia (2015), che si ispira alle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e a quelle della World Health Organization (WHO, 1999; 2002), è possibile definire abuso all’infanzia qualsiasi forma di «maltrattamento fisico e/o psicologico, abuso sessuale, trascuratezza o trattamento trascurante o sfruttamento commerciale o di altro tipo, che ha come conseguenza un danno reale o potenziale alla salute del bambino, alla sua sopravvivenza, sviluppo o dignità nel contesto di una relazione di responsabilità, fiducia o potere (OMS, 2002)».

Molto spesso, purtroppo, i minori sono vittime di diverse forme di maltrattamento e/o abuso; sono quindi esposti ad un processo che viene definito plurivittimizzazione. Nonostante ciò, può risultare utile distinguere alcune macrocategorie finalizzate ad orientare l’osservazione, la rilevazione e la denuncia del comportamento maltrattante. Secondo il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP, cita opuscolo) che si basa sulle ricerche di Montecchi (1994, 2005), il maltrattamento può esprimersi nelle seguenti modalità:

  1. Maltrattamento fisico
  2. Maltrattamento psicologico
  3. Violenza assistita
  4. Abuso sessuale
  5. Abuso online
  6. Patologie delle cure
  7. Bullismo e cyberbullismo

Secondo l’indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti nel nostro paese (Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, 2015, p. 5), si definisce patologia delle cure «la somministrazione di cure inadeguate ai bisogni fisici e/o psichici del bambino, e soprattutto alla sua età ed al suo sviluppo». Nella categoria “patologie delle cure” rientrano tre tipi diversi di maltrattamento: incuria, discuria, ipercura.

Nel caso dell’incuria, il caregiver, incapace di fornire le giuste cure al minore, non provvede ai bisogni del bambino che risulta trascurato in modo più o meno grave: il conseguente sviluppo psicofisico del soggetto di minore età può risultare danneggiato in modo variabile, portare a conseguenze temporanee o durature e, nei casi più gravi, questo tipo di maltrattamento può condurre il minore al decesso. In questi casi i minori sono trascurati affettivamente, dal punto di vista della salute, del percorso scolastico e dei bisogni primari.

Aspetti clinici

Come sostiene Spadafora (Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, CISMAI, Terres des Hommes, 2015), la violenza, così come la povertà, si ereditano: numerose storie di abuso e maltrattamento sono le medesime che i soggetti abusanti hanno a loro volta vissuto sulla loro pelle, anche in forme differenti, durante la loro infanzia.

Disturbo Fittizio procurato ad Altri: le caratteristiche del caregiver e la relazione

La violenza è spesso una lingua che si apprende da bambini, un “lessico famigliare” che non conosce differenze geografiche, etniche e non fa distinzione di classe sociale. In altri casi, «è una risposta ad un contesto sociale degradato». È importante tenere a mente che le storie di questi individui maltrattanti sono estremamente eterogenee tra loro; inoltre, in seguito alla diagnosi, questi pazienti spesso scompaiono, rendendo estremamente difficoltoso conoscerne il decorso e identificare elementi costanti.

 Nelle storie di vita dei caregiver affetti da Disturbo Fittizio procurato ad Altri, l’elemento maggiormente prevalente non è tanto l’essere stati a loro volta vittime della medesima sindrome, quanto piuttosto l’aver precedentemente sviluppato un Disturbo Fittizio provocato a sé. I futuri genitori (o più raramente tutori), infatti, durante l’età giovanile avevano spesso manifestato i sintomi di un disagio associato a un inganno accertato che riguardava loro stessi, hanno sviluppato quindi un modo patologico di relazionarsi con il loro corpo e le cure ad esso associate. Nel Disturbo Fittizio provocato a sé, secondo il DSM-5, l’individuo falsifica sintomi fisici o psicologici di una patologia, presenta se stesso come malato, menomato, ha un comportamento palesemente ingannevole anche in assenza di evidenti vantaggi esterni e non ha un disturbo delirante o altro disturbo psicotico. Spesso questo alterato modo di preoccuparsi per il proprio corpo e per la propria salute rappresenta un fattore trasmesso a livello transgenerazionale dai genitori del soggetto.

Sindrome di Münchausen: aspetti clinici

Il meccanismo difensivo tipicamente messo in atto in questo quadro clinico è la proiezione: parti inaccettabili di sé vengono portate all’esterno da sé e indirizzate nei confronti della vittima. Questo estromettere su un individuo in tenera età aspetti non elaborati del sé permette al soggetto di rimanere a contatto con un disagio somatico che però viene spostato su un altro individuo, fuori di sé e “tenuto sotto controllo”. Oltre a questo meccanismo difensivo, in questo quadro sono presenti anche repressione, identificazione con l’aggressore, regressione, simbolizzazione. Oltre alla possibilità di rintracciare in un passato non troppo lontano un Disturbo Fittizio autoprocurato (che però non sempre è stato identificato dagli specialisti, nella storia di vita di questi soggetti), nelle storie di vita dei soggetti maltrattanti sono frequenti numerose patologie durante l’infanzia, tendenza all’abuso di sostanze, lutti e gravi deprivazioni, abusi, una pregressa diagnosi di disturbo dell’umore (in particolare depressione) e uno o più disturbi della personalità, in particolare quelli caratterizzati dalle componenti isterico-istrionica, borderline, narcisistica, antisociale.

Per quanto concerne i Disturbi Personalità, attraverso la somministrazione del test di personalità MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory), è stato dimostrato che gli indici diagnostici maggiormente frequenti in questi protocolli risultano quelli relativi all’Ipocondria, alla Depressione, all’Isteria, alla Deviazione Psicopatica, alla Psicoastenia, alla Paranoia. Tra i fattori di rischio per questo tipo di disturbo ci sono anche rapporti estremamente conflittuali tra il perpetratore e le sue figure di accudimento: una madre che si è sempre relazionata con un materno disturbato potrebbe ripetere questo tipo di relazione con i suoi futuri figli. I Disturbi Fittizi, inoltre, mostrano somiglianze con i disturbi da uso di sostanze, con i disturbi dell’alimentazione, con i disturbi del controllo degli impulsi, il disturbo pedofilico (DSM-5).

Come individuare questa condizione: possibili indicatori

È impossibile tracciare indicatori specifici che possano permetterci di riconoscere il minore come vittima del Disturbo Fittizio Provocato ad altri: un profilo netto ed inequivocabile, che distingua gli attori di questa condizione, è impossibile da ricavare, anche perché dalla ricerca sui casi clinici emergono situazioni molto diverse le une dalle altre, anche dal punto di vista dell’estrazione sociale, del livello socio-culturale, per l’etnia, l’origine. I disturbi che implicano contraffazione, simulazione, induzione sono di base estremamente difficoltosi da individuare e molti ricercatori concordano sull’importanza di fattori quali l’esperienza e le predisposizioni personali connesse con la capacità di riconoscere questo tipo di condizione.

Spesso questi casi si manifestano all’interno di famiglie apparentemente serene, nelle quali i legami coniugali sono duraturi e stabili, quindi si tratta di situazioni ancor più complesse da individuare. Inoltre, soprattutto quando la vittima è molto giovane (da pochi mesi a uno o due anni di vita), non è possibile aspettarsi da lui/lei una consapevolezza circa il maltrattamento e quindi una sua testimonianza: certo è che un minore vittima di abusi manifesta una quota di sofferenza che non può sfuggire agli occhi di un clinico. Questa sofferenza può passare attraverso il canale somatico (con patologie di competenza quasi esclusivamente medica), attraverso la sfera dei disturbi psicosomatici (cefalee, disturbi gastrointestinali, …), stati psicopatologici (disturbi del ritmo sonno-veglia, dell’alimentazione, del controllo sfinterico, …), disagio a livello scolastico e nel rapporto con l’altro (sia con i pari che con gli adulti).

Il rapporto caregiver – bambino appare in prima battuta simbiotico ma osservandolo con attenzione è possibile accorgersi che in realtà da parte del caregiver vi è la quasi totale assenza di affettività: la figura genitoriale è solitamente distaccata e non partecipa a livello emotivo alle sofferenze del minore sottoposto alle numerose, dolorose e spesso non necessarie procedure mediche.

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