La Profilazione Criminale: Psicopatologie alla base della mente criminale


- Posted by Giacomo Piperno
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*a cura di Marianna Bevilacqua
Teoria e Tecnica della Perizia e della Consulenza Tecnica in ambito Civile e Penale, adulti e minorile. Analisi del ruolo del profiler e del criminal profiling in fase di indagine per l’identificazione del reo e della possibile correlazione tra psicopatie, in particolare i disturbi di personalità e l’azione criminale. Negli ultimi anni, anche grazie alle opere letterarie e alle manifestazioni cinematografiche, si è data sempre più importanza a questa figura e a questo tipo di professione, anche se si tratta di una realtà ben diversa da quella mostrata dai libri o dai film. Diverse definizioni sono state date al criminal profiling, inteso come un metodo di identificazione che, partendo dall’analisi di tutti i particolari presenti nella scena del crimine, dà un supporto agli investigatori, che indagano su uno o più crimini, stilando il profilo del probabile autore del reato. Questa tecnica, chiaramente, non porta direttamente alla cattura del colpevole, ma, individuando quelle che possono essere le caratteristiche di personalità del soggetto, le sue abitudini e le sue metodiche, può contribuire a ridurre drasticamente la lista dei sospettati.
La Profilazione Criminale
Il Profilo Criminale o Criminal Profiling è uno strumento investigativo che, attraverso un’accurata analisi della scena del crimine, dei rilievi ottenuti tramite l’esame autoptico e di una precisa ricostruzione delle dinamiche di tutti gli aspetti del crimine, ha come obiettivo quello di tracciare un profilo psicologico di chi ha commesso il reato.
Che cos’è il Criminal Profiling
Si tratta di un processo inferenziale logico deduttivo e logico induttivo che ha lo scopo di elaborare un’ipotesi investigativa che sia in grado di determinare (quando ci si trova davanti ad un colpevole sconosciuto) la motivazione, l’ecologia, la serialità e le previsioni di altri crimini. Generalmente, la profilazione criminale viene utilizzata quando l’autore del crimine è sconosciuto e ci si trova di fronte a reati gravi, in particolare reati seriali. L’assunto di base di questo approccio è che il comportamento umano riflette le caratteristiche di personalità di un individuo: pertanto, il comportamento criminale messo in atto dall’autore del reato fornisce informazioni utili riguardo i suoi aspetti psicologici ed emotivi.
Analizzando nei minimi dettagli la scena del crimine, il profiler è in grado di comprendere la natura del reato e le modalità con cui esso è stato compiuto. Successivamente, attraverso le analisi delle prove fisiche, il profiler è in grado di individuarne il movente.
Per elaborare un profilo accurato, i profiler devono tener conto e analizzare minuziosamente tre aspetti: × la scena del crimine, le caratteristiche della vittima, il case linkage (collegamento).
Diverse definizioni del Criminal Profiling
Il termine “profilo” (“profiling”), viene definito nel Webster’s Dictionary of the American Language (1978) come una biografia chiara circa le caratteristiche più salienti del soggetto criminale. Nel corso degli anni, diversi autori si sono interessati alla tecnica del criminal profiling stilando differenti definizioni di tale processo.
Tra i primi, che negli anni più recenti si sono interessati al profiling e alla figura del Profiler, vi sono Douglas, Ressler, Burgess e Hartmann che lo definiscono come “il processo di identificazione delle principali caratteristiche di comportamento e di personalità di un individuo, basate sull’analisi delle peculiarità del crimine commesso” (1986). Holmes R. e Holmes S. (1996), identificano nel Profiling tre obiettivi fondamentali allo scopo di fornire informazioni utili su: una valutazione sociale e psicologica dell’offender, una valutazione psicologica dei reperti rinvenuti in possesso del soggetto che risulta un sospettato, una consulenza rivolta agli investigatori, sulle strategie di interrogatorio più efficace.
Secondo Copson (Copson, Gudjonsson), si tratta di “un approccio della polizia investigativa volto a fornire la descrizione di un autore sconosciuto di reato, basandosi sull’analisi della scena del crimine, della vittima e di ogni altro utile particolare” (1997). Canter (Canter, Salfati) utilizza il termine “Profilo Criminale” per riferirsi a “qualsiasi attività che possa essere utile ad inferire le caratteristiche dell’aggressore e del tipo di reato a partire da qualsiasi tipo di informazione disponibile” (1999). Bumgarner, considera il Profiling come “un uso strategico delle informazioni raccolte, attraverso il quale gli investigatori valutano determinate caratteristiche, quali: razza, sesso, religione, orientamento sessuale, età ed altri fattori utili per aiutarli a prendere delle decisioni nel corso delle indagini” (2004).
Rossi e Zappalà, definiscono il Profiling come “un processo di inferenza delle caratteristiche di Personalità e Socio-demografiche di un autore sconosciuto di reato o di un autore sconosciuto di 7 una serie di reati che rispondono allo stesso articolo del codice” (2005). Fredrickson e Siljander, parlano di Profiling Reactive (Profilo Reattivo) e Profiling Proactive (Profilo Proattivo), tenendo conto che l’acquisizione delle informazioni sia associata ad una vera e propria fase investigativa specifica che può avvenire successivamente al fatto criminale o immediatamente prima del crimine (2002).
Il profilo geografico
l’identificazione del profilo criminale inizia con l’analisi della scena del crimine, quindi tenendo conto di tutti i particolari presenti nel luogo dove è avvenuto il crimine, comprendendo il modus operandi, cercando di capire “cosa è stato progettato per compiere con successo il delitto”.
Fondamentale è l’analisi dei comportamenti messi in atto: l’utilizzo di guanti per non lasciare le impronte digitali o l’eliminazione di qualsiasi traccia che possa far risalire al DNA, l’analisi della vittima (status civile, età, ambiente famigliare di origine, storia scolastica, informazioni lasciate precedentemente dalla vittima come diari o lettere, se aveva avuto già delle minacce in precedenza, ecc.), il case linkage che permette di verificare se altri crimini sono statti commessi dallo stesso autore. Negli ultimi anni si è data molto importanza anche al “profilo geografico”, che consiste nel delineare la zona geografica dove vive il presunto criminale.
Questa tecnica rappresenta un criterio in più per ridurre la lista dei sospettati. Ad introdurre il profilo geografico nello studio del crimine furono McKenzie, Burgess e Park, i maggiori esponenti della scuola di Chicago. Questi autori suddivisero la città in 5 zone concentriche, indicando con il termine di “zone criminali” quelle che risultarono avente maggiori casi di reati. Il calcolo del numero di criminali e il numero della popolazione residente nella stessa zona, uniti ai dati che rilevavano come negli ultimi 40 anni il tasso di criminalità non era diminuito al variare del numero della popolazione, fece ipotizzare agli autori che, oltre ai tratti individuali del criminale, sono molto importanti la struttura e l’organizzazione sociale dell’area in cui vive.
I disturbi di personalità alla base della mente criminale
Indagare la possibile relazione tra i disturbi di personalità e il comportamento criminale. Tale interesse nasce da una profonda riflessione su come sia possibile che l’uomo compia atti atroci su altri essere umani, bambini e animali; se vi è qualcosa proprio insito in sé, qualcosa che va al di là della propria consapevolezza e che trova sfogo e soddisfazione nella messa in atto di azioni violente e brutalmente crudeli verso altri individui. Molti disturbi di personalità, in particolare quelli sul versante psicotico, hanno come caratteristica comune l’assenza di empatia e del senso di colpa, l’esame di realtà alterato e l’incapacità di mentalizzazione, tutti elementi fondamentali che potrebbero in qualche modo influire sulla messa in atto di alcuni comportamenti.
Il crimine in un’ottica psicologica
La psicologia ha origini molto antiche. Il suo termine deriva dalla parola greca “psyché” che letteralmente significa “anima, spirito”; quindi, la psicologia è lo studio dell’anima e dello spirito. Tale disciplina è stata al centro dell’interesse e dello studio di diversi scienziati e studiosi, ma è solo nel 1879 che diventa una disciplina scientifica, con la fondazione del primo laboratorio di Psicologia sperimentale, a Lipsia, ad opera di Wihelm Wundt. Diverse definizioni sono state date al termine “Psicologia”, che possiamo definire, in modo sintetico, come la scienza che studia l’attività psichica e il comportamento dell’individuo, ovvero indaga tutti i processi psicologici che sono alla base del comportamento umano.
Partendo da questa definizione, si può ben capire come tale disciplina possa essere di significativa importanza nell’ambito della criminalità, andando a studiare e a verificare quali meccanismi psichici possano star dietro alla messa in atto di azioni violente, spesso caratterizzate anche da perversione e atrocità. L’obiettivo, pertanto, è quello di andare a comprendere il come e il perché di tali azioni, cosa accade nella mente dell’individuo che decide di commettere uno o più omicidi, cosa comporta per lui, per il suo mondo interiore la messa in atto di tali azioni. La psicologia, più in particolare la psicologia criminale, focalizza la sua attenzione sui crimini violenti, cercando di andare a spiegare quelli che possono essere i meccanismi biologici e psicologici che spingono poi all’atto criminale.
L’infanzia del criminale
L’infanzia rappresenta il momento più importante e delicato in cui si pongono le basi per la strutturazione della personalità e della capacità di modulazione affettiva dell’individuo. L’assenza di una base sicura può comportare, da adulto, una visione distorta dell’ambiente circostante e l’individuo potrebbe relazionarsi nei confronti degli altri con un atteggiamento ostile.
Nell’adolescenza potrebbero essere presenti atteggiamenti aggressivi nei confronti di animali, disturbi della condotta e del controllo degli impulsi. Inoltre, anche il contesto familiare sembra incidere molto sul comportamento criminale, in particolare nei casi dei serial killers. Dalle varie ricerche a riguardo, numerosi serial killers hanno subito abusi fisici o psichici nella loro infanzia o hanno vissuto in un ambiente famigliare caratterizzato da aggressività, da incapacità dei genitori di provvedere ai bisogni del figlio, dalla dipendenza di alcol e/o droghe di uno o di entrambi i genitori, ecc.. Nel 45% dei casi il rapporto tra madre e figlio viene descritto come freddo e inconsistente. La mancata formazione di un attaccamento con base sicura può comportare nell’individuo la mancanza di empatia o del senso di colpa.
L’importanza della diagnosi di Disturbi di Personalità in ambito Forense
Nell’ambito forense, per quanto concerne il tema di Imputabilità e vizio di mente, è necessario fare la distinzione tra i vari disturbi di personalità e il Disturbo grave di Personalità. Per distinguere tra i due è necessario tener conto dei tre tipi di organizzazione strutturali che fungono da stabilizzatore dell’apparato psichico, mediando tra i fattori eziologici e le manifestazioni comportamentali della malattia.
Esse si distinguono in: organizzazione nevrotica, borderline e psicotica. Indipendentemente dall’importanza che i vari fattori genetici, psicosociali, biochimici e famigliari hanno sullo sviluppo della malattia, i loro effetti vanno a riflettersi sul particolare tipo di struttura psichica del soggetto. Pertanto, il funzionamento psicologico si stabilizza a livello di quella struttura che ne determina il quadro sintomatologico.
Per lo psicoanalista Otto F. Kernberg, tutti i disturbi gravi di personalità hanno un’organizzazione strutturale Borderline. L’organizzazione Borderline comporta un’alterazione sia del funzionamento cognitivo che di quello affettivo-relazionale (disforia, instabilità emotiva, eccessiva rabbia, impulsività e autodistruttività, sia diretta verso sé stessi che verso gli altri), disturbi dell’identità e uso massiccio di meccanismi difesi primitivi (scissione, identificazione proiettiva, idealizzazione e svalutazione).
Per Fornari, si effettua una diagnosi di Disturbo Grave di Personalità attraverso la valutazione del funzionamento dei tratti di personalità che in alcuni casi possono rendere il soggetto incapace di intendere e di volere. Questo disturbo si accentua nei casi di maggiore stress in cui si assiste ad una compromissione della sfera psichica che causa difficoltà a comprendere la realtà circostante e ad avere atteggiamenti e comportamenti in linea con quanto richiesto dalla cultura e dalla società di appartenenza. Una corretta diagnosi sia categoriale che funzionale è importante tanto in ambito clinico quanto in ambito forense, poiché è da questo che dipende la sentenza di imputabilità e pericolosità sociale.
Per Fornari, la relazione tra disturbi di personalità e la sentenza di incapacità di intendere e di volere comporta diverse problematiche, pertanto solo i disturbi che slittano verso il versante psicotico e quindi quelli che sono basati su un’organizzazione strutturale di tipo Borderline o su quelli in cui la psicodinamica ha inciso realmente sull’attuazione del crimine, possono rientrare nella categoria del “vizio di mente” parziale o totale. Per meglio dire, secondo la sentenza 9163 del 25 gennaio 2005 e depositata a marzo dello stesso anno, le Sezioni Unite penali della cassazione in tema di imputabilità dell’individuo hanno affermato che anche i disturbi di personalità possono essere considerati, secondo dimostrazioni scientifiche e dimostrabili, come causa della incapacità di intendere e di volere del soggetto al momento del reato. Questo, solo nel caso che tali disturbi siano talmente gravi da compromettere la capacità di controllo del proprio assetto psichico e che presentano carattere di ordine psicotico, in cui l’esame di realtà viene compromesso notevolmente, le difese risultano meno strutturate, e la diffusione dell’identità maggiore.