Imputabilità e infra-quattordicenni


- Posted by Giacomo Piperno
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*A cura di Elisa de Vita
“Adam era venuto a cercarla, chiedendo quello che volevano tutti e che soltanto l’umana libertà di pensiero e non il soprannaturale aveva da offrire. Un senso.” [I. McEwan, La ballata di Adam Henry]
Il 7 febbraio 2019 è stata presentata alla Camera la proposta di Legge n. 1580, che prevede l’abbassamento dell’età imputabile dai 14 ai 12 anni, nonché l’eccezione alla regola della diminuzione di pena nel caso di reato di associazione mafiosa commesso da minorenni. Questo lavoro prende avvio proprio dalla volontà di voler riflettere su tale proposta; sul suo senso, sia nei termini di “cause” (o motivazioni) dalle quali prende le mosse, ma anche nei termini delle eventuali conseguenze. E non è forse anche questo (un aspetto) del lavoro di valutazione richiesto al perito chiamato a pronunciarsi sulla capacità di intendere e di volere e sul grado di maturità (tutti elementi utili al Giudice per esprimersi sull’imputabilità) del minore autore di reato?
Il perito, tra le altre cose, è cioè chiamato a domandarsi: “Qual è il senso, per quel minore, di quello specifico fatto/reato? Quali le motivazioni alla base di quell’agito? E il minore, era in grado, nel momento in cui ha commesso il reato, di prevederne le conseguenze?”
Imputabilità e (im)maturità del minore: definizioni e contenuti
Secondo l’art.85 c.p. è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere. Tale capacità è esclusa per le
persone di età inferiore ai quattordici anni (art. 97 c.p.), mentre è presunta per quelle maggiorenni, tranne in presenza di conclamati disturbi che ricadono nell’area psicopatologica e psichiatrica al momento del fatto (artt. 88 e 89 c.p.). Fra i quattordici e i diciotto anni (art. 98 c.p.) la valutazione, che va effettuata caso per caso, non attiene prioritariamente alla patologia, ma alla fase evolutiva, nei termini dello sviluppo cognitivo, affettivo e sociale, sotto il profilo della maturità nelle sue implicazioni intellettive, motivazionali ed etico morali.
La capacità di intendere e di volere
Rispetto alla capacità di intendere e di volere, secondo le più recenti acquisizioni dottrinali e giurisprudenziali, nonché ai principi che hanno ispirato il D.P.R. 448/886, l’imputabilità è compromessa quando risultano carenti la capacità di intendere e la capacità di volere. Tale capacità, non necessariamente subordinata ad uno stato di infermità, viene definita dalla letteratura specializzata come una categoria unitaria ma composita; infatti, comprende: – l’intendere, ovvero la capacità di capire il disvalore sociale e giuridico dell’azione deviante messa in atto; si riferisce alla modalità di utilizzazione delle funzioni cognitive al momento dei fatti, in cui incidono anche gli aspetti emozionali, come possibilità di anticipare gli effetti connessi all’azione comprendendone il significato; – il volere, ossia la capacità di autoregolarsi e autodeterminarsi di fronte all’agito; è strettamente correlata alla volontà, consente di gestire e di dominare le pulsioni, di guidare la persona attraverso modalità che inibiscono l’acting, con il concetto di responsabilità attivo e presente in relazione al fatto deviante e criminoso.
Secondo gli esperti, l’impressione che si trae, dalla lettura dei dati statistici, è che la valutazione di immaturità sia stata ricondotta dai vari tribunali nell’alveo assai ristretto dell’incapacità di intendere e di volere vera e propria, e in particolare a minori portatori di problemi neuropsichiatrici. Eppure, in ordine all’imputabilità del minore, connessa al concetto di immaturità, così la Cassazione si è espressa: “Per i soggetti di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni la capacità di intendere e di volere non può essere presunta dalla natura dei reati ascritti al minore o dal comportamento post factum dello stesso. Infatti i due dati, ancorché tra quelli utilizzabili a tal fine, sono insufficienti per apprezzare nell’imputato quel complesso di capacità, sentimenti e inclinazioni, che viene espresso nel concetto di maturità in relazione ad uno scopo, cioè lo sviluppo intellettivo e la forza di carattere, la capacità di intendere certi valori etici e il dominio che su se stesso abbia acquisito l’interessato, l’attitudine a distinguere il bene dal male, il lecito dall’illecito e l’attitudine al volere, cioè a determinarsi nella scelta”. (Cass. Sez. III, Sent. 1407 del 9 febbraio 1985).
Il concetto di immaturità
L’interpretazione dell’art. 98 c.p. ha condotto all’elaborazione del concetto di immaturità (Cass. Sez. 6979 del 14.7.82) che, se accertata, consente di escludere la capacità di intendere e di volere anche in assenza di infermità. Secondo le più recenti prospettive psicoforensi, le caratteristiche dell’adolescente immaturo – in relazione di continuità con quelle più propriamente disadattive, proprie dell’infermità mentale – rappresentano veri e propri marker strutturali e funzionali riferibili ad una condizione di sviluppo psichico relativamente incompleto. In tale direzione, gli ostacoli che impediscono lo sviluppo di un senso di responsabilità, possono essere, di caso in caso, costituiti da conflitti evolutivi transitori, da una psicopatologia individuale o familiare, ma anche da un disagio psicosociale, da una cultura deviante d’appartenenza o da un aspetto del carattere che può essere difficilmente definito in termini medici e psicologici. «Vi è, dunque, nell’immaturità affettiva, una fluida e infantile differenziazione tra onesto e disonesto, lecito e illecito. La regola etico – sociale è recepita per semplice e superficiale processo di imitazione formale, ma non viene veramente e profondamente assimilata. Risulta in questo caso alterata la capacità di volere, la volontà in senso generale. Essa sottende una matura attitudine ad autodeterminarsi tanto nell’azione concreta quanto nell’inibizione dei propri impulsi in quel momento e di fronte a quella situazione.

Imputabilità e responsabilità
«la necessità che il giudice valuti l’imputabilità e il grado di responsabilità della persona minorenne in relazione alla rilevanza del fatto, facendo affidamento su una specifica e circostanziata indagine di personalità, nonché sulla valutazione della consapevolezza, da parte dell’adolescente, dell’appartenenza a sé delle proprie azioni e, specificatamente, dell’azione per cui si procede penalmente»
L’innovatività della norma risiede nel collegare l’accertamento dell’imputabilità a quello del grado di responsabilità. Sotto il profilo psicologico, il costrutto di responsabilità può essere inteso come attribuibilità di un’azione ad un soggetto e come responsabilità da parte dello stesso, in termini di conseguenze dell’azione.
Dunque, gli accertamenti di personalità dovranno prendere in considerazione le diverse dimensioni costitutive della responsabilità – nei termini di competenze attive e attivabili – da valutare sia in diversi frangenti temporali (al momento del fatto, durante l’iter processuale, in una prospettiva futura) ma anche in diversi contesti interattivi e relazionali. Così intesa, la nozione di responsabilità, permette di individuare quali scelte processuali risultino maggiormente adeguate e funzionali alle risorse e alle potenzialità di responsabilizzazione di quel singolo minore. Capire in che modo l’adolescente può maturare una consapevolezza dei legami sociali e la capacità di tener conto delle conseguenze delle proprie azioni è dunque un elemento centrale nella comprensione dello sviluppo della responsabilità. La perizia sulla capacità di intendere e di volere può divenire così un’opportunità per il minore, di risignificare le proprie azioni, comprenderne gli effetti e attivare un percorso di attribuzione di senso.
“La valutazione tra complessità e specificità”
Scrive Fornari che «in tutti i casi, la valutazione della maturità/immaturità del minore, deve passare attraverso una rigorosa analisi clinica che vada, oltre all’inquadramento diagnostico di tipo nosografico, a confluire nella ricostruzione del funzionamento mentale del ragazzo, sia in generale, sia nel contesto specifico del crimine» e sul punto, continua «la valutazione della maturità/immaturità di un minore è lungi dall’essere rigorosamente tecnica, risente inevitabilmente di riferimenti soggettivi e di parametri valutativi di ordine morale, sociale e culturale tanto cari alla giurisprudenza di merito, ma poco tecnici e tutt’altro che scientifici, nel senso di “oggettivi” e “misurabili”».
I più recenti orientamenti giuridici, sembrano aver concesso, rispetto a tale ambito di valutazione, una dimensione capace di ancorarsi ai contributi della psicologia dell’età evolutiva e di prendere in considerazione
la complessità delle dinamiche adolescenziali. Ciò consente, ad esempio, di prendere in considerazione, quale possibile causa di immaturità, condizioni più sfumate come l’immaturità emotiva, le caratteropatie, le insufficienze o conflittualità di origine affettiva.
La valutazione peritale del minore
La valutazione peritale del minore, dovrebbe quindi definirsi secondo alcuni parametri di riferimento:
- esulare da una semplice valutazione clinica tesa a ricercare una patologia clinica nosograficamente identificabile;
- effettuare una valutazione psicologico – psichiatrica del minore tale da consentire, in una dimensione globale, la conoscenza delle sue specificità di funzionamento psichico in modo da poter valutare come lo stesso abbia potuto esercitare, nell’evento reato, un peculiare esercizio della sua maturità, ovvero della sua capacità di comprendere il significato degli eventi e di esprimere la sua libera volontà nell’azione;
- valutare la qualità e il contenuto del percorso di elaborazione rispetto all’evento reato e agli accadimenti generatisi per effetto di tale evento non solo sulla propria esistenza ma anche su quella della vittima.

La consulenza tecnica sul minore ha come oggetto la sua persona, il suo stile di funzionamento, i suoi vissuti, ma anche il suo sistema di relazioni con il contesto affettivo di riferimento. La valutazione attiene quindi ad una dimensione clinica e prevede un’osservazione globale del minore.
Metodologia per la valutazione
Per quanto concerne la metodologia, una tale complessa valutazione può essere realizzata attraverso l’utilizzo dei classici strumenti della psicologia clinica: il colloquio clinico e i test psicodiagnostici.
Il colloquio clinico è uno strumento di indagine e di osservazione estremamente utile se utilizzato con competenza. Inoltre, in questo specifico contesto, non bisogna trascurare il fatto che il colloquio può avere valenze trasformative nel minore e comunque, determinare in lui un processo di percezione/rappresentazione degli eventi e dei vissuti e una possibile ridefinizione delle attribuzioni del significato emotivo delle sue esperienze.
La questione dell’età
La questione dell’età diventa tanto più significativa quanto più volgiamo lo sguardo alla complessità e alle trasformazioni della realtà sociale, così repentine e tumultuose, che rendono sempre più difficile individuare riferimenti chiari e univoci tali da poter definire quando un minore può essere considerato un individuo “adulto e maturo”.
L’osservazione dei percorsi di sviluppo, da un lato, mostra quanto sia arduo attribuire un significato semplice e una stadiazione cronologica coerente al divenire dei modelli intrapsichici e interpersonali e ai legami affettivi che da essi derivano. Allo stesso tempo, si ha sempre di più l’impressione di muoversi in un contesto in cui i sistemi familiari appaiono disomogenei e disuniformi alla luce delle nuove modalità di relazione sociale e di intermediazione culturale. All’interno di questo scenario, sempre più frequentemente ci si trova a doversi occupare di minori infra – quattordicenni che da soli, o in concorso con coetanei e/o adulti, mettono in atto agiti particolarmente rilevanti sul piano criminale. In tale direzione si ritiene particolarmente significativo un percorso di ascolto del minore e l’attuazione di una serie di provvedimenti in sede civile, se ritenuti idonei, volti a facilitare nel minore stesso, ancorché non imputabile, un’elaborazione degli eventi esperiti. Appare infatti evidente come il fatto di aver partecipato o agito un evento reato, indipendentemente dall’imputabilità, rappresenti sempre un’esperienza di importante rilevanza, tanto da poter chiaramente evidenziare come la modalità e la qualità del processo di elaborazione di tale evento determini comunque nel minore coinvolto, significativi effetti sulla futura espressione funzionale, sul suo sistema di attribuzione di significato delle esperienze, nonché sulla sua futura visione del mondo.