Il danno non patrimoniale nelle vittime di stalking

Il danno non patrimoniale nelle vittime di stalking
Giacomo Piperno

*A cura di Andrea-René Angeramo

Si è iniziato a parlare di stalking negli anni ’80 ma limitatamente alle molestie e alle persecuzioni che ricevevano le persone celebri del mondo dello spettacolo e dello sport, molto spesso vittime dei loro stessi fans. Proprio l’attenzione verso personaggi noti al grande pubblico e alle loro “disavventure” hanno potuto determinare meccanismi di identificazione che hanno contributo a sensibilizzare gli organi pubblici sulla necessità di introdurre nei sistemi giuridici strumenti di tutela.

Danno non patrimoniale

Il tema del danno non patrimoniale nei reati di molestia e in particolar modo nello stalking, ha richiesto negli ultimi anni una profonda riflessione interdisciplinare, dove materie umanistiche e scientifiche quali la giurisprudenza, la medicina legale, la psichiatria e la psicologia hanno tentato di porre al centro della loro visione, la determinazione del risarcimento come prassi compensatoria.

L’obiettivo indissolubile e irriducibile di noi psicologi è la persona, a cui siamo chiamati a doverci relazionale con la maggiore tutela del caso, ancor più di quanto il nostro ruolo possa far sembrare, e ad assolvere azioni deontologicamente situate, quali la diagnosi e la relazione peritale, l’interpretazione e la corretta informazione. Per far questo, le regole del Codice deontologico della nostra professione non bastano: occorre studiare la materia giurisprudenziale, le implicazioni e le casistiche del fenomeno, gli strumenti psico-diagnostici in continua evoluzione, i contesti attorno ai quali questo tipo di reato, codificato pienamente soltanto nel 2009 (forse troppo tardi per i canoni di uno Stato democratico occidentale), si compie. Sono diverse le insidie, gli stereotipi culturali e di genere, l’omertà e la paura che ancora si nascondono dietro la denuncia di reato: troppo spesso le vittime si trovano confuse, incomprese ed isolate.

Negli ultimi anni vi è stato un aumento vertiginoso del reato, sia per l’effetto rinforzante e dichiarativo che le norme hanno facilitato, sia per l’emersione di un comportamento che fino a non molti anni fa veniva ritenuto sovente normale (o accettabile) in diverse situazioni.

Il danno biologico di natura psichica

 Il danno psichico costituisce una condizione che interferisce, in misura variabile, con la possibilità di un individuo di esprimersi e di instaurare delle relazioni interpersonali. L’elemento di partenza, al fine di poter stabilirne la genesi, è l’individuazione dell’evento scatenante. Infatti, è possibile non solo che esso sia il risultato di un determinato avvenimento, ma anche la massima espressione di un disagio profondo e radicatosi nel tempo, ben celato dietro una vita apparentemente normale. Strettamente connesso a esso e ivi ricompreso, è il danno biologico di tipo psichico, caratterizzato dal cambiamento peggiorativo del modo di essere dell’individuo, con incisive ripercussioni sulle attività quotidiane. Infatti, ogni ambito della sua esistenza subisce delle conseguenze, portando alla riduzione della capacità sociale. La distinzione tra le due tipologie è comprensibile mediante un esempio pratico: si ipotizzi il caso di un genitore che, a causa di un grave incidente, perda il figlio. La sofferenza conseguente è considerata come danno psichico esistenziale; tuttavia, l’incapacità di riprendere le proprie occupazioni, compromettendo gravemente la sfera personale, è enucleata come danno biologicopsichico. Le Sentenze di San Martino hanno posto l’indicazione alla risarcibilità del danno morale degenerato, in quadro psichico, al di sotto della sfera del danno biologico.

Il danno biologico di natura psichica, per compiersi, necessita che il patema d’animo legato ad un certo evento colposo sconfini in un quadro clinico patologico.

 Esso, dunque, può essere definito come l’alterazione della integrità psichica, la modificazione qualitativa e quantitativa delle funzioni mentali primarie, dell’affettività, del tono dell’umore. La valutazione delle alterazioni della sfera psichica conseguenza di un fatto illecito rappresenta da sempre un terreno complesso. Le incertezze valutative sono sostanzialmente riferibili all’ampia variabilità delle manifestazioni cliniche con cui possono rendersi evidenti le alterazioni, per l’ampia ricorrenza di quadri sfumati e per la difficoltà, specie nei quadri a modesta espressività clinica, di definizione in termini di transitorietà o permanenza; complesso è poi delimitare il ruolo avuto dalla personalità di base come pure tenere distinta la sofferenza inquadrabile in un disturbo mentale vero e proprio (inquadrabile nella categoria del danno biologico) dalla generica sofferenza psichica (che sarebbe inquadrabile nel danno morale).

Stalking: definizione del fenomeno

Il termine stalking è purtroppo sempre più presente nel linguaggio comune di tutti i giorni. E’ un fenomeno ben conosciuto nella cronaca nera, uno di quei temi che oggigiorno si annovera tra gli “scottanti”. Comportamenti che sono ritenuti come delle normali manifestazioni d’affetto, ad esempio invio di messaggi o e-mail, telefonate, “visite a sorpresa” possono trasformarsi in vere e proprie forme di persecuzione in grado di limitare la libertà individuale di un soggetto e di violare la sua privacy e in certi casi di spaventare chi ne è destinatario, suo malgrado.

Stalking: definizione del fenomeno

Violazione dei diritti fondamentali

Con lo stalking sono violati i diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla Costituzione italiana all’art. 2 ed è per questo che bisogna pervenire a una qualificazione giuridica del fenomeno che permetta di punire, attraverso un’analisi della gravità e dell’idoneità offensiva dei fatti addebitati, il soggetto che li ha posti in essere, alla luce dei diritti inviolabili della persona come il diritto all’uguaglianza (articolo 3 della Costituzione), il diritto alla libertà personale (articolo 13 della Costituzione) e il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione).

La scienza criminologica ha studiato a fondo il fenomeno sia dal punto di vista psicologico che sociale ed è arrivata a fornire un quadro di quelle che sono le motivazioni, le problematiche e i diversi profili dei “molestatori”. Molto spesso il molestatore assillante o cosiddetto stalker può essere proprio una persona conosciuta con cui si ha una relazione di qualsiasi tipo (di amore, di amicizia o di lavoro) oppure uno sconosciuto con cui ci si è scontrati per caso. In particolare, il termine “stalking” è una parola anglosassone utilizzata nel linguaggio tecnico dell’attività venatoria e della caccia e deriva dal verbo “to stalk” che tradotto significa “fare la posta”.

Lo stalker sarebbe quindi il cacciatore in agguato che studia e attende la preda ma in realtà a differenza del cacciatore, che agisce con l’intenzione di non essere percepito dall’oggetto delle sue attenzioni se non nel momento in cui si attiva per uccidere o catturare la preda, lo stalker in molti casi si apposta ed insegue la propria vittima in maniera palese, in modo da far pesare la propria presenza; una presenza che è destinata a diventare una vera e reale intromissione nella vita privata della vittima.

Manifestazione del fenomeno

Lo stalking può inoltre essere definito come un insieme di comportamenti, oppure un pattern di comportamenti (Volterra, 2006):

  • coscienti, mirati e volontari (l’aggressore intende adottare questo comportamento, consapevole dell’identità della vittima)
  • malevoli
  • prolungati nel tempo
  • con minaccia di violenza, fisica o psichica, reale (che può esser costituita anche dalla riduzione della libertà e della capacità di controllo della vittima)

Gli elementi fondamentali dello stalking sono la violazione della privacy e la presenza reale di uno stalker victim.

La fattispecie di reato di stalking

I primi a formulare una definizione operativa di stalking furono gli studiosi Paul Mullen e Michele Pathè che, nel 1997, giunsero alla conclusione che questa condotta fosse riconducibile a “una costellazione di comportamenti tramite i quali un individuo affligge un altro con intrusioni e comunicazioni ripetute e indesiderate a un punto tale da provocargli timore per la propria incolumità”.

Prima che il nostro ordinamento riconoscesse il reato di stalking con la legge n. 38 del 2009, questa tipologia di condotta la si riconduceva al reato di “Molestia o disturbo alle persone” previsto dall’art. 660 c.p. ai sensi del quale veniva punito «Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo». Il reato di molestia però, a ben vedere, è inserito nelle contravvenzioni concernenti l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica e in realtà tutela in via principale l’ordine pubblico e solo in via secondaria l’individuo e la sua sfera psichica; da ciò se ne può dedurre l’inutilità della norma nel punire veri e propri atti persecutori consistenti in stalking.

La fattispecie di reato di stalking

In effetti un limite di questa norma è il fatto che le azioni moleste o di disturbo sono punite solo se avvengono in “luogo pubblico o aperto al pubblico”. Il reato però, non sussiste quando entrambi i soggetti, il molestatore e la vittima siano in luogo privato ed è purtroppo noto come moltissimi casi di stalking e di violenza siano consumati proprio all’interno delle mura domestiche: questa soluzione di ricondurre lo stalking al “reato di molestie o disturbo alla persona” risultava, quindi, insufficiente ad arginare il dilagante fenomeno delle condotte di atti persecutori. Solo in data 23 febbraio 2009, il governo decise di emanare il decreto legge n. 11, “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, detto “Decreto legge Anti-violenze”, che ha introdotto il reato di “Atti persecutori”.

E’ stata coniata, quindi, una nuova fattispecie di reato per punire la pericolosa condotta persecutoria, soprattutto ma non solo, nei confronti delle donne.

Caratteristiche psicologiche e profilo di personalità dello stalker

Sebbene il fenomeno sia in costante aumento, rimangono alcune aree oscure su cui è difficile denunciare i colpevoli e ancor peggio sensibilizzare maggiormente le vittime affinché possano denunciare e fare emergere il reato nei diversi contesti dove avviene.

Secondo gli studi di più autori, il fattore criminogenetico dello stalker risiederebbe nella patologia dell’attaccamento. Gli stalker hanno una storia infantile compromessa da eventi di perdite, separazioni, cambiamenti di caregiver, molestie, maltrattamenti o abuso di sostanze. Tali problematiche infantili, nella maggior parte dei casi subite entro i primi sei anni di vita, comportano la strutturazione di un disturbo dell’attaccamento. Altro dato che emerge dalle ricerche è l’alta frequenza (80%) di rilevanti life events stressanti nei sette mesi precedenti l’inizio dello stalking: fine del matrimonio o di una relazione significativa, perdita del lavoro, perdita della genitorialità, morte di un parente gravemente ammalato, problemi gravi di salute. Tali tipi di stressor rappresentano una lesione specifica a livello dei sottosistemi dell’attaccamento, con specifiche ripercussioni sui sentimenti d’identità e di autostima del soggetto. Lo stalker reagisce all’incapacità di fronteggiare la separazione o la perdita perseguitando l’altro, “attaccandosi” a esso (Volterra, 2006) e, nel far questo, proiettandogli l’immagine di vittima: tale acting svuota l’angoscia e lo allevia, riempiendo il suo vuoto esistenziale e canalizzando la collera sia pur negativamente.

L’atteggiamento del persecutore si traduce nella messa in atto di comportamenti che apparentemente sono tipici di un corteggiamento o di normali manifestazioni d’affetto: per il loro carattere sempre più maniacale e ossessivo, generano nella vittima un disagio che può portare a uno stato d’ansia e di paura che le impedisce di vivere normalmente la propria quotidianità.

Lo stalker adotta una condotta che attraverso azioni sempre più invasive e assillanti gli permette di acquisire un potere e un controllo nei confronti della vittima designata, la quale diviene l’oggetto di un desiderio di possessione di cui il molestatore non può fare a meno.

La vittima di stalking: difficoltà ed implicazioni nei contesti di denuncia

Essere il bersaglio di stalking colpisce sia uomini che donne in modi diversi.

Lo stalking è l’attuazione coordinata e sistematica di episodi, spesso singolarmente e isolatamente minimi, che richiedono una denuncia per ogni atto. Nonostante le denunce avvengano in continuità, esse non vengono considerate insieme a livello olistico bensì scorporate e parcellizzate: si perde, così, la percezione della globalità del reato, isolando i singoli componenti dello stesso, anche se gravi, e i procedimenti vengono archiviati, “in quanto non è possibile accertare l’autore, con la formula giuridica corrente per il de minimis” (Volterra, 2006).

Littel nel 1999 descrive lo stalking come “distruzione dell’anima“, per le conseguenze fisiche ed delle vittime. Le conseguenze fisiche dirette possono includere lesioni inflitte dagli stalker che possono richiedere o meno cure mediche. Le conseguenze fisiche indirette possono includere problemi di stomaco, fluttuazioni di peso, mal di testa, debolezza e disturbi del sonno. Le conseguenze emotive possono includere rabbia, ansia, depressione, paura, paranoia, confusione, sfiducia e ideazione suicidaria. Naturalmente anche la vita sociale, la capacità lavorativa, le condizioni economiche, le decisioni di vita etc. della vittima possono risentirne durante il vissuto dello stalking e le sue conseguenze.

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