I diavoli della Bassa Modenese: lo svelamento progressivo


- Posted by Giacomo Piperno
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*A cura di Erika Gasparini
“Un abuso sessuale realmente vissuto è un qualcosa con il quale si può imparare a convivere. Un abuso immaginario ti lascia nella testa soltanto fantasmi. E con i fantasmi non si vince mai.” (Veleno, 2021)
“Fra il 1997 e il 1998, in Emilia Romagna, 16 bambini furono allontanati dalle loro famiglie e affidati ai servizi sociali, con l’obiettivo di proteggerli dalle accuse mosse contro i genitori di abusi sessuali, pedofilia e riti satanici nei cimiteri” (Veleno, 2017).
Così inizia la serie documentario podcast, intitolata “Veleno”, di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli (Veleno, 2017), pubblicato nel 2017 con lo scopo di raccontare l’ambiguità e le controversie delle vicende che anni prima avevano sconvolto i paesi di Mirandola e Massa Finalese. L’importanza di raccontare determinate dinamiche, emerse durante le indagini e nel corso degli anni, può aiutare a comprendere i vari aspetti di questa vicenda e, soprattutto, può permettere di valutare quali siano stati gli errori che hanno portato alla nascita di sentimenti di sfiducia nei confronti dei servizi sociali, degli psicologi e, più in generale, del sistema di affidi dei minori.
Le vicende della Bassa Modenese
Il 7 luglio 1997 una serie di vicende intrecciate iniziarono ad emergere (Veleno, 2017): la prima coinvolse Federico Scotta e sua moglie, a cui vennero, di notte, prelevati i figli dalla polizia, in seguito ad una accusa, da parte del responsabile dei Servizi Sociali di Mirandola e un decreto del Tribunale dei Minori, di violenza sessuale e pedopornografia. La seconda vicenda coinvolse, la stessa notte, Francesca, amica di Scotta, a cui fu prelevata la figlia a causa delle stesse accuse. In seguito alle proteste fatte per rivendicare la loro innocenza, i primi protagonisti di questa vicenda scoprirono, principalmente tramite i giornalisti, che queste accuse erano state mosse da un bambino, denominato nella serie “Veleno” (Veleno, 2017) Dario, di 8 anni, prelevato dalla sua famiglia e affidato inizialmente al Cenacolo Francescano, una casa di accoglienza, e poi a una famiglia affidataria.
Il bambino mostrò dei primi segnali di sofferenza, soprattutto nei momenti in cui rientrava dalla famiglia d’origine, e la madre affidataria decise di sottoporlo alle cure della dottoressa Donati, la psicologa dei servizi sociali che, in quel momento, si stavano occupando delle prime vicende che diedero inizio a questa storia misteriosa. A partire da questo momento iniziarono le prime dichiarazioni di violenze e abusi sessuali, segnalati alla Magistratura, nei confronti del padre e del fratello di Dario e, in un secondo momento, mediante il riconoscimento fotografico, il bambino riconobbe i figli dei coniugi Scotta e la figlia di Francesca, portando così all’innalzamento delle prime accuse di pedofilia nei confronti degli adulti coinvolti. I bambini furono sottoposti a visite mediche da parte dei periti del tribunale e, da esse, emersero le prime conferme di abusi sessuali.
I collegamenti con l’inchiesta “Angeli e Demoni”
Nel 2019, mentre le indagini circa l’inchiesta dei Diavoli della Bassa Modenese proseguivano grazie alle nuove testimonianze dei “bambini di un tempo”, emerse una nuova inchiesta della procura di Reggio, denominata “Angeli e Demoni” (Veleno, 2021). Questa inchiesta è basata sul caso di Bibbiano, un’indagine su un presunto giro di affidi illegali, in cui i bambini, a causa di manipolazioni e falsi documenti, furono sottratti alle loro famiglie e dati in affido. In questa inchiesta furono indagate ventisette persone, fra cui medici, psicologi e assistenti sociali, la maggior parte facenti parte del centro “Hansel e Gretel”, fondato dallo psicologo Claudio Foti, primo indagato in questa inchiesta e colui che validò il lavoro dei servizi sociali nel caso dei Diavoli della Bassa Modenese (Veleno, 2021).

Secondo l’inchiesta, i terapeuti obbligarono i bambini a dichiarare di essere stati abusati, falsificarono i loro disegni, aggiungendo dettagli di carattere sessuale, e utilizzarono strumenti per sostenere la manipolazione, come la “macchinetta dei ricordi”, impulsi elettrici che permisero di suggestionare i bambini e alterare la loro memoria in prossimità dei colloqui giudiziari. Tutte le prove processuali ben presto furono collegate alle testimonianze dei bambini della Bassa Modenese: secondo quanto emerso, una bambina fu obbligata dagli psicologi e dagli assistenti sociali a dire che il padre, travestito da diavolo, la coinvolgeva in orge e la costringeva ad uccidere bambini nei cimiteri. In seguito la stessa bambina negò i suoi racconti. Una delle prove decisive emersa durante le indagini fu una registrazione, fatta dai Carabinieri, delle conversazioni tra la psicologa e i bambini in un centro di Bibbiano, gestito dal centro “Hansel e Gretel”. In queste conversazioni, i bambini piangevano a causa della pressione degli psicologi, che insistevano affinché raccontassero cose non vere e si travestivano da personaggi cattivi delle favole, spaventandoli.
“Lo svelamento progressivo: definizione e utilizzi in ambito psicologico”
Cosa ha portato i minori a dichiarare accuse così pesanti? I racconti sono del tutto inventati o la verità è talmente pesante da non essere sopportata? Ciò che in queste vicende viene messo essenzialmente in dubbio sono le tecniche utilizzate per interrogare i minori. Secondo le indagini, i colloqui con i minori sono stati condotti utilizzando lo svelamento progressivo, una tecnica che afferma come i bambini, vittime di abusi, rivelano gradualmente la loro storia grazie alla stimolazione del parlare. Seppur questa tecnica presenti dei fondamenti teorici, in questo caso il suo utilizzo è stato considerato errato da parte degli psicologi in quanto, come si deduce dalla proposta di legge, quest’ultimi hanno prodotto degli effetti distorsivi di grave portata nei ricordi dei bambini, a causa, oltretutto, di interrogatori lunghi e ripetuti, atti a far dire al minore ciò che gli interroganti adulti si aspettavano di ascoltare.
Self-Disclosure
Principalmente effettuato nella Terapia Metacognitiva Interpersonale TMI, lo svelamento progressivo o self-disclosure consiste in dichiarazioni esplicite, da parte del terapeuta, su ciò che sta provando o pensando, in un determinato momento, all’interno di un’alleanza terapeutica volta alla comprensione comune della sofferenza del paziente (Centonze, 2016). Nel linguaggio psicoanalitico, il termine self-disclosure indica uno svelamento cosciente e voluto da parte dell’analista di qualche aspetto di sé al paziente.

Seppur questa condotta entra in contrasto con il setting analitico tradizionale, dove si richiede neutralità, astinenza e anonimato, il suo utilizzo, secondo alcuni psicoanalisti, può aiutare a “normalizzare” la relazione con il paziente e sfidare le credenze negative che il paziente potrebbe avere circa la convinzione di avere un determinato impatto sugli altri. Secondo i terapisti tradizionali, orientati a modelli psicodinamici, l’auto-divulgazione dovrebbe essere limitata a situazioni molto specifiche, a causa di possibili errori a cui i terapeuti possono andare incontro. D’altro canto, secondo i terapisti umanisti ed eclettici, l’apertura da parte del terapeuta nella relazione con il paziente deve essere libera in quanto l’anonimato o il distacco da parte del professionista è impossibile. Nei casi dei Diavoli della Bassa Modenese e delle vicende di Bibbiano, tutti i protagonisti minori sono stati interrogati secondo la tecnica dello svelamento progressivo: ritenendo che il minore vittima di abuso riveli, in modo graduale, la sua storia solo se si crea un contesto in cui egli può parlare il più possibile, gli psicologi coinvolti hanno interrogato i bambini seguendo linee di incitamento ed insistenza. L’utilizzo inappropriato di questa tecnica ha comportato punte paradossali e deleterie, in cui i bambini furono sottoposti ad interrogatori lunghi e ripetitivi, atti a far dire loro non la verità, ma quel che gli adulti che li interrogano si attendono che essi rivelino.
L’empatia come atteggiamento indispensabile nella valutazione psicologica
Secondo Foti (2001), coinvolto sia nel caso dei Diavoli della Bassa Modenese e nel caso di Bibbiano come principale indagato negli affidi illeciti, nessun approccio psicologico e clinico può avvenire senza l’empatia e l’introspezione, considerati un tentativo di conoscenza e indagine mentale nei confronti della propria soggettività e di quella altrui, un duplice viaggio esplorativo mentale. Di fatto questo movimento esplorativo è sia verso gli atteggiamenti e le reazioni che l’altro induce in me stesso e sia verso le esperienze e situazioni che risultano simili a quelle altrui, che consentono di comprendere l’altro e identificarsi. Proprio a seguito di questa visione, l’empatia può essere definita come una introspezione vicariante: conoscere l’altro attraverso ciò che ci accomuna a lui. Foti (2001) si definisce contro alla tendenza dominante della psicologia forense di valutare il bambino vittima di abuso sessuale senza introspezione ed empatia, tecniche considerate legate ad indicatori di caduta di scientificità. L’intervento terapeutico competente ed empatico, secondo Foti (2001), rappresenta lo strumento fondamentale per curare i danni derivanti da violenza, abusi e traumi. L’empatia risulta scientifica nella misura in cui può consentire, se correttamente applicata, la raccolta di informazioni più completa e meno distorcente possibile dai soggetti e massimamente da quei soggetti più piccoli e deboli che sono i bambini.
“Il colloquio clinico con i minori”
Il colloquio, in particolar modo con il minore e nei differenti momenti evolutivi, è uno degli strumenti più importanti, più difficili e più rischiosi. Scopo del colloquio clinico è osservare, ascoltare, descrivere e interpretare le parole e i comportamenti non verbali del minore, con la consapevolezza che i bambini più piccoli non hanno ancora sperimentato le funzioni introspettive e, quindi, gli aspetti imitativo-riproduttivi, perseverativi, confabulatori e immaginativo fantastici sono ancora dominanti.

Il risultato del colloquio è sempre un’interpretazione dei dati osservati e dipende dalla competenza dell’esperto riconoscere e differenziare la propria comunicazione cognitiva da quella emotiva. In sostanza, è importante che gli operatori che si attivano in questo campo tengano conto di alcune variabili: la situazione del bambino come potenziale vittima, le capacità cognitive non del tutto sviluppate, il rapporto di fiducia che può crearsi nei confronti dell’adulto e l’affidamento del minore all’interpretazione degli altri per dare un senso all’esperienza vissuta (Mazzoni, 2010).
L’abuso sessuale e le conseguenze psicologiche nella formazione del minore
L’abuso è un evento inaspettato e spesso incomprensibile, che incrina varie capacità dell’adulto e alimenta la percezione di un mondo pieno di pericoli. La vittima spesso sperimenta sensi di impotenza, riduzione dell’autostima e dell’autoefficacia e sentimenti di vergogna legati all’incapacità di ostacolare ed evitare l’abuso; inoltre, può mostrare una chiusura emotiva, sentimenti di rabbia e acting-out, comportamenti pericolosi e abuso di sostanze; infine può interiorizzare schemi di malevolenza, ovvero la vittima interiorizza l’autore dell’abuso, soprattutto in tenera età.
Quando la vittima è un bambino, egli non è in grado di gestire queste forme di sofferenza, a causa della sua ingenuità e della sua propensione all’attesa di accudimento. Sfortunatamente, l’esperienza negativa incide sullo sviluppo psicologico della vittima in modo diverso a seconda dell’età, della relazione con l’abusante, del livello di sviluppo fisico e cognitivo del minore, ed è maggiormente dannoso quando il maltrattamento non viene scoperto o non viene elaborato, oppure quando la dipendenza dall’abusante è forte e la risposta di aiuto avviene molto tardivamente. Le aree compromesse possono essere psicologiche, sessuali, sociali e anche fisiche, e le reazioni possono manifestarsi subito dopo l’evento traumatico, ma anche dopo giorni o settimane dall’accaduto.
Le modalità con cui un colloquio è condotto è sicuramente una delle maggiori fonti di errore, che può portare alla nascita di distorsioni ed errori irreversibili, come accaduto ai bambini e alle famiglie considerate. Diversi punti di vista sono stati presi in considerazione in questa sede, col fine di creare un’ampia prospettiva che permetta ad ognuno di trarre le proprie considerazioni. Ma, seppur ogni considerazione e atteggiamento nei confronti di una teoria o tecnica può essere ritenuta valida, è importante che tutti gli esperti, a cui è affidato il ruolo di ascoltatore del minore per una valutazione clinica, tengano a mente che il bambino è l’unico conoscitore della realtà dei fatti, l’unico che può parlare degli eventi e delle sue emozioni e sentimenti.