Genitorialità e famiglie ricomposte

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Giacomo Piperno

*A cura di Lucia Cavallo

Nell’evoluzione della società italiana, nel corso degli ultimi anni, si è assistito al passaggio dalla tradizionale famiglia fondata sul matrimonio, ad altri tipi di unioni quali: la famiglia allargata, che comprende, a vari effetti giuridici, parenti ed affini; la famiglia composta da persone dello stesso sesso civilmente unite, che comprende i membri della coppia ed eventualmente i figli di una parte dell’unione civile; la famiglia non matrimoniale intesa come convivenza di due partner, di sesso diverso o eguale, ed eventualmente dei loro figli. Legislativamente si è articolata una varietà di modelli familiari alternativi all’istituto matrimoniale tradizionale, a cui si aggiunge la formazione di altre tipologie di relazioni familiari, derivanti da separazioni o divorzi di precedenti rapporti, unite da un nuovo vincolo, con la presenza di figli comuni e/o di quelli avuti nella precedente unione.

Il termine di “famiglia ricomposta” è entrato nel lessico giuridico e psicologico per indicare un nuovo nucleo familiare che riunisce un uomo e una donna e figli nati da loro precedenti unioni. La psicologa Patricia Papernow afferma: “Cercare di gestire una famiglia allargata con le regole usate per gestire una famiglia tradizionale” “è come cercare di visitare Boston usando la cartina geografica di NewYork”. 

Adattare vecchi modelli a esigenze nuove non serve e non aiuta a trovare nuovi equilibri. La riuscita della sua organizzazione è influenzata da diversi fattori: la storia sentimentale, lo stato civile dei membri che si uniscono in una nuova unione, i figli avuti da un precedente legame e quelli che nascono dal nuovo rapporto, la riuscita della separazione e l’organizzazione dell’affidamento e del collocamento dei figli. Le formazioni e configurazioni che possono derivarne sono svariate, in cui affluiscono spesso vecchi e nuovi modelli che finiscono col discostarsi dall’immagine della famiglia tradizionale.

Il termine di “famiglia ricomposta” in ambito giuridico

Il termine di “famiglie ricomposte” è ormai entrato nel lessico giuridico per indicare il costituirsi di nuovi nuclei familiari in cui confluiscono spezzoni di originari nuclei familiari in situazioni di potenziale conflittualità. Dal 1994 e poi frequentemente nel corso del decennio successivo, gli interventi del Parlamento europeo, esortavano i Paesi membri a provvedere con sollecitudine al riconoscimento e alle garanzie delle nuove tipologie familiari presenti a livello europeo: le famiglie monoparentali, quelle allargate e ricomposte, le unioni omosessuali. 

Il termine di “famiglia ricomposta” in ambito giuridico

L’Europa stessa, inoltre, esibisce un panorama normativo così consistente e diversificato in tema di nuovi contesti familiari, da far apparire ancor meno difendibile la posizione astensionistica dell’ordinamento italiano. Partendo dall’assunto che “contrariamente a quanto solitamente si ritiene, è il rapporto che qualifica l’atto, non viceversa” i giuristi non possono non occuparsi delle nuove tipologie familiari che sempre più ormai fanno parte della nostra società. 

Attualmente le famiglie ricomposte rappresentano un importante fenomeno sia a livello demografico che sociale, ma restano ancora in gran parte sconosciute e poco studiate dai giuristi che mancano perfino di un accordo sulla loro denominazione e sulla individuazione dei membri che ne fanno parte. Nelle prime pubblicazioni scientifiche sull’argomento, Meulders-Klein M. T. e Théry I. (1995) nella loro opera «Quels repères pour les familles recomposées?» con il termine di “famiglia ricomposta” si riferiscono: “a tutte le situazioni nelle quali, dopo la separazione del padre e della madre di un bambino, uno dei genitori costituisce, sposandosi o convivendo, un nuovo nucleo familiare, che prende in carico questo figlio in modo permanente, se il genitore in questione è quello che esercita da solo l’autorità genitoriale o a casa del quale è stata fissata la residenza abituale; in modo occasionale, nel caso in cui al genitore gli siano stati riconosciuti il diritto di visita e la possibilità di ospitare il figlio”. 

L’interesse per le famiglie ricomposte si affianca alla più ampia disamina tra coppie civili e unioni di fatto. La Legge 76 del 2016 (la cd. Legge Cirinnà), ha dato pieno riconoscimento non soltanto alle unioni civili ma anche alle coppie di fatto, favorendo quindi una tutela anche per le coppie non fondate sul matrimonio.

Una delle diverse tipologie di coppia di fatto, rientranti nella legge, è quella composta dal coniuge separato e dal nuovo compagno o compagna. Nei casi in cui i figli stabiliscano una relazione stabile e continuativa con i nuovi compagni dei genitori, le ultime sentenze si pronunciano sul diritto di coinvolgimento in questo rapporto, in assenza di pregiudizi per il minore. Vanno, ovviamente previste le opportune cautele, nel rispetto dei tempi e dei bisogni dei bambini. Soprattutto quando il nuovo compagno vive con il genitore, limitarne la frequentazione pregiudicherebbe anche il rapporto con quest’ultimo o con eventuali figli che da questa nuova unione possono derivare. 

Concetto di bigenitorialità

L’obiettivo da raggiungere quindi si focalizza sul benessere innanzitutto dei minori, ma anche degli adulti, considerando il sistema nel suo insieme. Il principio da ricordare sempre è quello della bigenitorialità: i figli, anche dopo la separazione, continuano ad avere due genitori, con due vite diverse, e quindi hanno diritto di partecipare alla vita di entrambi i genitori nella sua interezza. Per cui, quando non sussistano situazioni gravi, è normale che i figli vengano in contatto con i nuovi partner dei genitori. Quando ci si trova davanti a divieti o richieste di limitazioni, poiché li si può considerare illegittimi, ci si deve chiedere cosa stia realmente accadendo. A volte si possono nascondere conflitti irrisolti che è utile comprendere per dare una corretta lettura alle richieste messe in atto. Il primo aspetto da valutare è che qualsiasi tipo di coinvolgimento non crei nei figli eccessivo disagio. La presenza di nuovi compagni non deve turbare i figli nel loro rapporto con il genitore presso cui convivono.

L’interesse della prole a un legame forte con il nucleo attuale e, particolarmente, con questi terzi significativi in queste diversificate situazioni, è evidente che non si possa presumere a priori; ma qualora questo possa essere attestato,si manifesta il problema delle modalità di garanzia dell’interesse e, non meno importante, del grado di rilevanza giuridica da accordare a queste relazioni.

“Dalla separazione a una nuova famiglia”

La storia di una famiglia ricostituita sarà fortemente influenzata dal modo in cui è stata vissuta la separazione. L’evento separativo si configura come una crisi del sistema familiare; la rottura del legame di coppia crea una situazione di tensione, disagio e sofferenza che deve essere affrontata. La possibilità di aprire un nuovo spazio generativo per una nuova relazione di coppia e quindi la disponibilità a costruire una nuova famiglia è legata alla qualità dell’elaborazione della perdita relativa alla separazione.

“Dalla separazione a una nuova famiglia”

La capacità di elaborare la perdita connessa alla separazione favorisce, quindi, la possibilità di un nuovo investimento sia dal punto di vista della coppia adulta, sia dal punto di vista della relazione adulto-bambino. La separazione comporta importanti cambiamenti sia per i bambini sia per i genitori con la necessità di nuovi adattamenti. I bambini si trovano nella condizione di vivere un diverso rapporto con il padre e la madre e devono imparare a comprendere emotivamente e cognitivamente le nuove situazioni in cui verranno a trovarsi: la convivenza con i genitori separatamente ed eventualmente la conoscenza dei nuovi partners dei genitori. Le famiglie ricomposte hanno caratteristiche differenti da quelle tradizionali, sono molto più complesse perché costituite da un’intricata rete di relazioni e vissuti. Le tipiche dinamiche riscontrate nei figli all’interno delle famiglie ricostituite sono condizionate da:

  • fantasie di riunificazione della famiglia originaria 
  • paura di perdere il legame con il genitore biologico 
  • conflitti di lealtà con l’uno o l’altro genitore

Dal punto di vista dei figli

I figli si trovano a dover fare i conti con cambiamenti che richiedono adattamenti dal punto di vista cognitivo ed emotivo. La separazione porta già con sé complesse dinamiche psicologiche ed è necessario che vengano affrontate prima di proporre ulteriori cambiamenti con l’ingresso di nuovi partner. Non tutti affrontano la separazione nello stesso modo, si possono riscontrare vissuti notevolmente differenti, collegati a diverse variabili. Alla base si ritrova un senso di doppia appartenenza che nei casi peggiori porta confusione e infelicità, ma in altri si può vivere un migliore adattamento che porta a percepire la propria famiglia, anche se separata, come una risorsa. Solo in quest’ultimo caso si può arrivare a un’integrazione adeguata con altri membri che in un momento successivo entrano a far parte del nuovo disegno familiare.

Quando nella vita di un bambino o di un ragazzo entra a far parte una nuova figura che di fatto affianca quella genitoriale, si creano una serie di possibilità che non sempre vengono accettate o facilitate. Se si parte dal presupposto che non ci possono essere altre figure di riferimento oltre ai genitori, si pone già un limite e una competizione. Quando i figli devono accettare la presenza di un nuovo compagno dei genitori perdono definitivamente il sogno di poter rivedere i propri genitori riappacificarsi. Il dolore della separazione viene rivissuto. Dall’impotenza della separazione si passa a quella di dover accettare qualcuno che non si è potuto scegliere. I genitori hanno il compito di individuare fasi e comportamenti critici, la comprensione è fondamentale per accettare e sostenere alcune reazioni. 

I figli hanno bisogno di: 

  • sentirsi capiti e accettati per quello che sono, non solo quando corrispondono alle esigenze dei genitori. 
  • ricevere attenzioni individualizzate: i genitori devono tutelare gli spazi e i tempi dedicati ai loro figli per giocare e condividere interessi
  • essere riconosciuti nella propria unicità, soprattutto quando ci sono altri fratelli, i genitori devono saper riconoscere le diversità, in funzione dell’età e delle esigenze specifiche di ogni figlio 
  • percepire di trovarsi in una condizione familiare stabile: gli adulti rappresentano punti di riferimento fondamentali per i figli, una base sicura. 

I genitori, perciò, devono essere presenti con coerenza, reperibili, disponibili. I figli hanno bisogno di almeno una relazione affettiva stabile che controbilanci gli eventi negativi con rassicurazioni e spiegazioni che restituiscano il senso della continuità dell’esserci. Ogni membro della nuova famiglia vive una forma di adattamento a nuovi ruoli che vanno ridefiniti sia personalmente che all’interno della relazione. Il cambiamento riguarda tutti, per questo genitori biologici e sociali devono lavorare insieme affinché possano aiutare i figli a favorire nuovi rapporti, senza percepirli come “pericolosi”. In ambito psicologico si parla dell’ascolto come uno dei “bisogni” del bambino, in ambito giuridico viene riconosciuto l’ascolto come un “diritto” del bambino. Il punto di convergenza tra le due discipline sta nel fatto che in entrambe si afferma la necessità che il bambino venga ascoltato. I bambini vogliono essere parte attiva nelle decisioni che influenzano la loro vita e questo spesso determina la loro capacità di adattarsi a future configurazioni familiari e a stabilire migliori rapporti con i genitori. Riconoscendo questo ruolo al bambino si dà valore alla sua visione del mondo relazionale e affettivo e alle emozioni che ad esso sottendono.

Dal punto di vista del genitore sociale

Un nuovo compagno del genitore biologico all’interno di una famiglia comporta indubbiamente una relazione con i figli del precedente rapporto. Si definisce “genitore sociale” il soggetto che esercita le funzioni genitoriali (di cura, assistenza e mantenimento) nei confronti di un minore sul presupposto della sola relazione affettiva e non anche, appunto, della discendenza biologica. Il suo è un ruolo tutto da inventare, in un’unione dove l’essere arrivati dopo, permette di svolgere una funzione che potrebbe essere molto costruttiva. Si tratta di una figura genitoriale che può essere di grande supporto, una persona di cui poter avere fiducia. Il suo compito nei confronti dei figli del compagno/a è quello di essere una persona con la quale si possono scambiare pareri, opinioni, informazioni. Al di là dei genitori, ai figli servono altre figure di riferimento, persone di cui avere fiducia, che trasmettano insegnamenti e che siano di guida. Senza che si sentano giudicati. Questo è molto importante in particolare per gli adolescenti. Presentarsi come una figura amica risulta meno minaccioso che subentrare nel ruolo di guida o di autorità. Bisogna dare il tempo di farsi conoscere, rispettando l’altro, facendo capire che non si intende sostituire il genitore biologico. Per i bambini piccoli, in special modo quando il genitore è assente, può essere considerato un genitore adottivo, ma non deve mai porsi al suo posto.

Il nostro ordinamento pur non prevedendo un ruolo specifico al genitore sociale ha comunque predisposto uno strumento per poter attribuire una rilevanza giuridica che è quello dell’adozione qualora i genitori di sangue lo consentano. Questa possibilità, infatti, non è prevista qualora il nuovo compagno del genitore biologico non sia legato da un vincolo matrimoniale. Il genitore sociale può provvedere ad un sostentamento economico, essendo partecipe ai bisogni quotidiani della famiglia, ma i genitori biologici possono comunque pretendere di poter svolgere le loro funzioni contributive senza ulteriori interferenze.

Un rischio di controversia può verificarsi per la mancanza di una disciplina specifica nella legge sull’adozione nel caso di estinzione della famiglia ricomposta. Nel caso di morte del genitore che abbia un affido esclusivo, il figlio resterebbe con il genitore sociale che si occuperebbe delle decisioni della vita quotidiana mentre per quelle più rilevanti è richiesta la partecipazione del genitore genetico al quale spetta anche il controllo sull’operato del genitore sociale. Nel caso di separazione invece sembrerebbe più plausibile una soluzione che facesse venir meno il ruolo del genitore sociale, ma non essendoci particolari disposizioni in merito la decisione viene rimessa al giudice in base all’interesse del minore. Rispettando il principio fondamentale dell’ordinamento che i genitori di sangue mantengano un rapporto equilibrato e continuativo con i figli, è evidente che la decisione di affidamento al genitore sociale possa avvenire solo in ipotesi eccezionali e per un periodo di tempo limitato in conformità a quanto predisposto nella disciplina sull’affidamento familiare ed al principio secondo il quale il minore ha diritto a crescere e ad essere educato nella propria famiglia di sangue. Il legame costituitosi tra il minore e il genitore sociale si può efficacemente salvaguardare assicurandolo con il diritto di visita.

Il terzo genitore non disponendo di copioni di riferimento deve inventare il suo ruolo vicario, trovare il suo posto senza occupare quello di genitore biologico, pur non avendo l’intenzione di entrare in competizione né di sostituirsi al genitore.

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