Fattori che incidono sulla testimonianza


- Posted by Giacomo Piperno
- Posted in Articoli Tesisti
*A cura di Viviana Casale
La Psicologia Giuridica, nel corso degli anni ha ormai definito una propria identità sociale, essendo riconosciuta a pieno titolo fra le varie discipline operanti nel sistema giudiziario da lungo tempo, come la medicina legale e la psichiatria forense. La Psicologia Giuridica mette a disposizione del Diritto le conoscenze della Psicologia, che a loro volta devono essere applicate al contesto giuridico tenendo conto delle “regole” e del tipo di “mandato istituzionale” che il sistema giudiziario è chiamato a rispondere. Si occupa, dei processi cognitivi, emotivi e comportamentali aventi rilevanza per l’amministrazione della giustizia, con riferimento alle persone intese sia come autrici di un reato sia come partecipanti al processo giudiziario in qualità di imputati/testimoni/parti lese/avvocati/giudici. Sulla base di teorie, metodi e strumenti psicologici, analizza l’interazione tra persona e sistema della giustizia amministrativa, civile, penale, minorile ed ecclesiastica, focalizzandosi sullo studio scientifico di costrutti e processi psicologici di rilievo giuridico, secondo i paradigmi della psicologia cognitiva, sociale, evolutiva, dinamica e della personalità.
Psicologia Giuridica in ambito civile e penale
Per quanto concerne la psicologia giuridica, in ambito civile il ruolo del consulente tecnico d’ufficio (CTU) è regolato dagli artt. 61, 62, 63, 64, 191, 192, 193, 194, 195, 196 del c.p.c. (codice di procedura civile). L’attuale sistema normativo, in ambito civile, prevede l’impiego della consulenza psicologica, nei casi di affidamento di minori, suggerendo anche il tipo di affidamento (ad uno o entrambi i genitori o eterofamiliare), le modalità di frequentazione del minore con il genitore non convivente, per l’idoneità genitoriale in funzione di richieste di adozione nazionale o internazionale, per limitazione della potestà genitoriale, e in molte altre situazioni che fanno riferimento sia al Tribunale Ordinario che al Tribunale per i Minorenni o al Giudice Tutelare.

Per quanto concerne la psicologia giuridica, in ambito penale, lo psicologo iscritto all’albo apposito come per l’ambito civile, diventa perito del Giudice, il suo ruolo è regolamentato, dagli artt. 220, 221, 223, 224, 226, 228, 229, 231 del c.p.p. (codice di procedura penale). Il perito, dovrà valutare la capacità di intendere e di volere (art.85, 88, 89 c.p.), semiinfermità o infermità psichica, di un individuo maggiorenne indagato per un reato, in ambito penale minorile dovrà valutare sempre la capacità di intendere e di volere di un minore fra i 14 ei 18 anni legata ad eventuale infermità mentale, ma in questo caso anche in relazione al concetto di maturità/immaturità e alla comprensione del disvalore delle proprie azioni (art. 98 c.p.). Dovrà anche valutare la capacità di testimoniare, di rendere testimonianza di un minore in ipotesi di abuso sessuale, i danni psicologici conseguenti al reato e quindi valutare se un eventuale trauma successivo ad un atto illecito ha prodotto nell’individuo una grave modificazione di vita o addirittura un disturbo di tipo psichico.
Il Consulente Tecnico di Parte (CTP) è regolamentato nell’ambito civile con l’art. 201 del c.p.c., mentre in ambito penale dagli artt. 225, 230, e 359 del c.p.p. In entrambi gli ambiti civile e penale il CTP è un libero professionista, iscritto all’Albo di appartenenza della categoria in cui opera, e svolge la propria funzione di consulenza a favore di una delle parti in causa. Il ruolo è quello di prestare la propria opera di consulenza, non tanto per il Giudice, ma per le parti in causa che ritengono di voler aggiungere un altro parere a quello della CTU. Il Giudice, nell’ambito di un giudizio, tramite un’ordinanza, stabilisce il termine entro il quale le parti possono nominare il proprio consulente tecnico. Il suo compito sarà quello di affiancare il CTU in ogni sua azione di consulenza, al fine di sostenere o contestare le osservazioni da lui prodotte.
La Valutazione della Testimonianza
Il nostro ordinamento giuridico non ci pone dei limiti aprioristici e formali sulle caratteristiche che deve avere il soggetto chiamato a rendere testimonianza. L’articolo 196 c.p.p. comma 1 recita infatti che “ogni persona ha la capacità di testimoniare”. Come funzione compensatoria e “prudenziale” a tale regola generale viene però precisato, al comma 2, che per taluni soggetti, per i quali vi possono essere rischi di difetti nella rappresentazione e nella narrazione dei fatti, sia opportuno effettuare accertamenti di tipo tecnico peritali. Tra questi rientrano sicuramente i minori, in una misura progressiva al decrescere dell’età.

La Testimonianza
L’ordinamento giuridico italiano non pone limiti alla capacità a testimoniare derivanti dalla minore età.
“La minore età di un testimone, non incide sulla capacità di testimoniare, che è disciplinata dal principio generale contenuto nell’articolo 196, comma 1, c.p.p., bensì, semmai, sulla valutazione della testimonianza e, cioè, sulla sua attendibilità” (Cass. Pen., Sez. III, 28 febbraio 2003, n. 19789) e ancora “…anche i bambini in tenera età sono in grado di ricordare ciò che hanno visto e soprattutto ciò che hanno subito con coinvolgimento diretto, pur spettando al giudice di valutare con particolare attenzione la credibilità del dichiarante e l’attendibilità delle dichiarazioni. In una tale prospettiva, nel caso di minore-parte offesa, si spiega, nella prospettiva di controllo sulla “credibilità soggettiva”, la possibilità di procedere alla verifica dell’“idoneità mentale” (art.196, comma 2, del c.p.p.), rivolta ad accertare se il minore stesso sia stato nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in pregiudizio della sua persona e possa riferire in modo veritiero siffatti comportamenti” (Cass. Pen., Sez. III, 6 marzo 2003, n. 36619).
In giurisprudenza per testimone s’intendersi “…quel soggetto terzo rispetto alle parti del giudizio che, ammesso a rendere dichiarazioni di scienza su quanto a sua conoscenza in ordine ai fatti rilevanti ai fini del decidere, viene chiamato a deporre avanti al giudice e, in ambito processuale, nel contradditorio delle parti, avvertito delle responsabilità penali cui va incontro per le dichiarazioni non corrispondenti a quanto a sua conoscenza, depone rispondendo alle domande a lui rivolte sui fatti intorno ai quali è chiamato a fare dichiarazioni di scienza” (Cass. pen., Sez. VI, 2 marzo 2000, n. 6118, in Cass. pen., 2003, 136).
In ambito giudiziario, una tra le fonti di prova su cui si fonda l’accertamento dei fatti è la testimonianza che è uno dei principali “mezzi di prova”. Sia nel processo in generale che nelle indagini è fondamentale, e in diversi casi rappresenta l’unica prova a disposizione degli inquirenti, dei giudicanti o dei difensori.
Funzione del Testimone
La figura del testimone è fondamentale in un processo, la sua testimonianza può essere di sostegno alle diverse prove che si presentano davanti al giudice. Una persona può svolgere la funzione del testimone se ha la conoscenza dei fatti oggetto di prova e se, al tempo stesso, non riveste una delle qualifiche alle quali il codice riconduce l’incompatibilità a testimoniare. La persona così descritta diventa “testimone” soltanto quando su richiesta di parte o d’ufficio nei casi previsti è chiamata a deporre davanti ad un “giudice” nel procedimento penale.
Essere testimone comporta dei diversi obblighi, come quello di presentarsi al giudice art. 198c.c.p. (gli obblighi del testimone) e alla mancata presenza senza un legittimo impedimento, il giudice può ordinare il suo accompagnamento coattivo a mezzo della polizia giudiziaria e può condannarlo al pagamento di una certa somma e alle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa art. 133 c.p.p. entrambi gli articoli vengono utilizzati anche in ambito civile per l’escussione dei testimoni. In secondo luogo, il testimone ha l’obbligo di attenersi alle prescrizioni date dal giudice per le esigenze processuali (art. 198 c.p.p.). Infine, il testimone ha l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono volte. Se tace ciò che sa, afferma il falso o nega il vero, commette il delitto di falsa testimonianza (art. 372 c.p.p.).
La testimonianza, quindi, possiede una parte di verità oggettiva e un’altra parte di costruzione soggettiva, che si unisce o si sovrappone alla parte oggettiva o vi si sostituisce, totalmente o parzialmente, con meccanismi che possono essere non necessariamente del tutto coscienti e volontari se non addirittura inconsci. Dal testimone, infatti, non ci si può aspettare che egli riferisca i fatti come realmente si sono verificati, piuttosto, si dovrebbe chiedere al testimone di giurare di riferire ciò che egli ritiene sia avvenuto, quindi non la verità oggettiva dei fatti, ma la percezione soggettiva dei fatti. La prova testimoniale viene definita anche nella giurisprudenza una prova complessa in cui la valutazione complessiva comprende sia il contenuto della deposizione, sia il teste stesso (fonte di prova) di cui viene valutata l’attendibilità e la credibilità (termini di competenza giuridica).
Disabilità mentale e testimonianza
Un problema di notevole importanza che incide sulla valutazione della testimonianza è quello connesso ad alcuni quadri clinici dove il rapporto tra malattia e simulazione è molto complesso.
Il disagio psichico, in genere, la patologia di rilievo psicologico e psichiatrico, ed in particolare l’attendibilità intrinseca di colui che è esaminato, costituiscono, infatti, parti necessarie nelle valutazioni del giudice e delle parti sulla credibilità del teste. La testimonianza è uno degli itinerari per garantire a chi giudica un risultato ragionevole di verità ricostruita. E’, quindi, ovvio che lo stato di mente del testimone costituisca il prerequisito di base per conseguire un risultato spendibile in termini di affidabilità teorica e credibilità pratica. L’interrogativo che, da sempre, ci si è posti è se il soggetto mentalmente disturbato, a prescindere dalla qualità della sindrome e dai gradi di invalidazione psico-fisica che essa comporta, possa essere esaminato come testimone di un fatto o di una circostanza di rilievo penale ed in caso di risposta affermativa, in che modo debba essere valutata la sua testimonianza nel quadro generale delle prove sulla responsabilità o meno di chi è accusato. Ogni persona e, pertanto, anche un infermo di mente, in quanto dotati di capacità di testimoniare, possono essere ritenuti idonei ad assumere tale funzione. La presenza di una condizione psicopatologica, infatti, di per sé, non impedisce al teste di dire il vero e, dunque, non può da sola rendere la testimonianza inattendibile.

Spetta comunque in ogni caso al giudice sanzionare la credibilità di un testimone nei cui confronti può disporre una perizia psichiatrica, “purché sia indispensabile che sussistano gravi e fondati indizi che la rendano necessarie”, finalizzata a valutare l’idoneità mentale a rendere testimonianza e ciò ai fini sia dell’accertamento della verità processuale, sia della valutazione della credibilità clinica del testimone. Sebbene l’accertamento della verità processuale sia compito di esclusiva pertinenza del magistrato, la valutazione della credibilità clinica non può che essere frutto di un’indagine psicologicopsichiatrica, che il magistrato o il difensore possono utilizzare per raggiungere i propri fini. Il ricorso allo strumento peritale ha quindi come unico scopo quello di stabilire se le dichiarazioni, le confessioni, le ammissioni, le accuse di un dato soggetto sono o meno attendibili o credibili. Tale attendibilità si verifica quando un soggetto interrogato può offrire una versione dei fatti obiettiva, concreta, precisa, realistica al punto tale che il magistrato può tenerne conto per accertare o escludere determinate responsabilità, e per ricostruire l’esatto svolgimento dei fatti.
Distinzione tra Realtà o Fantasia
L’imputato deve essere giudicato per i fatti commessi, coscientemente e volontariamente, e non per le sue condizioni e per i suoi atteggiamenti psicologici. Il giudice deve infatti tener conto della presenza di patologie della mente al fine di valutarne l’imputabilità. Nel caso della testimonianza, invece, proprio perché essa può essere assunta da sola come fonte di prova dei fatti oggetto dell’imputazione, diviene indispensabile un attento controllo sulla credibilità di chi l’ha resa, che può spingersi sino alla verifica dell’idoneità mentale di chi depone come teste, deve ritenersi ammissibile una indagine ampia sulla sua personalità. In tali casi, l’accertamento sarà volto ad accertare la presenza di disturbi strutturali o emotivi della personalità che abbiano negativamente interferito sulla fissazione dell’evento ed incidano sulla rievocazione dello stesso, rendendo così il soggetto inidoneo a rendere la testimonianza.
In alcune persone, poi, vi è l’impossibilità a distinguere chiaramente quanto appartenga alla realtà da quanto sia frutto di fantasia o di bisogni inconsci inappagati, quanto concretamente accaduto da quanto inconsciamente desiderato o temuto. In loro, la distorsione della realtà inizia, forse, con un certo grado di consapevolezza per poi permanere per impossibilità ed incapacità del soggetto di ritirarsi dalla condizione creata. La verità totale è comunque inafferrabile e inquinata da molteplici fattori, infatti, la testimonianza è sempre risultato di un’elaborazione di percezioni fatti o subiti o visti o sentiti raccontare ed è tanto meno precisa quanto più lontano è il ricordo. La rievocazione di ricordi subisce inevitabilmente influenze affettive, culturali ed ambientali le quali, allora volta, assumono un loro pertinente significato solo se rapportata al contesto del singolo individuo e alla struttura di personalità, normale o patologica che sia.
Nel momento in cui il testimone ha un disturbo della memoria il ricordo potrebbe perdere di veridicità. I disturbi organici possono essere sia transitori che permanenti e possono essere dovuti a lesioni cerebrali, traumi cranici, perdita di ossigenazione e altri fattori. In generale non compaiono da soli, ma sono associati ad altri tipi di problemi di natura psicologica, come ad esempio problemi motivazionali, disturbi della personalità e dell’attenzione, che concorrono a danneggiare le prestazioni mnemoniche.