Dal trauma all’esperienza comunitaria: valutazione del danno nel minore vittima di illecito endofamiliare


- Posted by Giacomo Piperno
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*a cura di Alessandra Baccarelli
Il presente lavoro si articola attorno al concetto di illecito endo-familiare (riferendoci all’ampia gamma di maltrattamenti potenzialmente vivibili dal minore nel contesto familiare, in particolare nel rapporto genitori-figli) come il danno alla persona e, in quanto tale, alla sua potenziale risarcibilità. Numerose ricerche in ambito scientifico hanno dimostrato come un comportamento maltrattante, che si esplichi sotto forma di violenza, inadeguatezza o carenza fisica, psicologica o emotiva, protratto nel tempo, può configurarsi come un vero e proprio trauma nel
minore che lo subisce, soprattutto se si trova nei primi anni di vita, momento cruciale per la strutturazione del legame di attaccamento e dello sviluppo psico-fisico.
Partendo dalla descrizione delle varie tipologie di maltrattamento e delle conseguenze ad esso legate, interpretate alla luce della teoria dell’attaccamento, si è voluto presentare il concetto di danno e di responsabilità genitoriale, anche ripercorrendo l’iter giudiziario che ha permesso negli anni di giungere a tali concetti. Nella revisione di tali argomenti, si è voluto porre l’attenzione poi, nello specifico, su quei particolari casi in cui viene a delinearsi la necessità di un intervento da parte del Tribunale che, revocando o meno la responsabilità genitoriale, decide di collocare il bambino in un contesto protetto altro da quello d’origine, la comunità educativa, in seguito ad un grave fatto illecito verificatosi all’interno del contesto familiare e per il quale la permanenza del bambino possa comportare un grave pericolo per il proprio benessere psico-fisico.
L’interesse di evidenziare l’iter doloroso e complesso a cui i bambini accolti in comunità, ognuno con la propria storia specifica, sono chiamati ad intraprendere a partire da esperienze estremamente dolorose, seppur potenzialmente molto diverse, nasce dalla mia recente esperienza di Servizio Civile Nazionale, realizzatasi proprio in una comunità educativa per minori, nella quale ho potuto entrare in contatto con numerose storie di vita, diverse ed ugualmente dolorose, toccare con mano la fragilità, quasi spaventosa, che ogni bambino porta con sé quando varca la porta d’ingresso, che ad ogni modo si è chiamati a dover “maneggiare” nel quotidiano; ma anche la potenza dei piccoli passi e l’estremo valore della fiducia, quando questa inizia ad instaurarsi tra operatore e bambino e trapela nei gesti quotidiani, mai scontati.
Relazione d’attaccamento e trauma
La teoria dell’attaccamento formulata da Jhon Bolwby alla fine degli anni Sessanta, è un utile contributo per analizzare le situazioni di crescita in contesti traumatici. Grazie agli studi pioneristici di Bowlby (1969/1982) ed altri autori dopo lui, è ormai largamente riconosciuto dalle ricerche scientifiche come le cure che i bambini ricevono nell’infanzia dalle figure di riferimento (caregivers) siano di fondamentale importanza per lo sviluppo.
La relazione d’attaccamento
La teoria dell’attaccamento afferma che ogni essere umano viene al mondo con la disposizione innata e primaria a chiedere, ad un conspecifico ben conosciuto, aiuto, conforto e protezione dal pericolo, di fronte al quale si percepisce vulnerabile. Questa prossimità, non solo permette al bambino di garantirsi la protezione e la sicurezza da situazioni pericolose ma, se caratterizzata da scambi interattivi ripetitivi e sintonizzati, gli permetterà di progredire in modo sano nel proprio sviluppo psico-fisico, acquisendo una serie di competenze cognitivo-affettive, psicologiche e comportamentali fondamentali, che influenzeranno il suo modo di interpretare sé stesso ed il mondo (grazie la strutturazione dei Modelli Operativi Interni), oltre che il suo modo di funzionare in esso.
Attaccamento e legami disfunzionali
In alcuni casi però, il caregiver non solo non è in grado di adempiere al suo ruolo di regolatore psicobiologico ma si pone come spaventato o spaventante nei confronti del bambino (attaccamento disorganizzato), condizione che solitamente si verifica nei casi di maltrattamento infantile. Una condizione di maltrattamento, che si esplichi sotto forma di violenza, inadeguatezza o carenza fisica, psicologica o emotiva, può configurarsi come un vero e proprio trauma nel minore che lo subisce, soprattutto se si trova nei primi anni di vita.
Possiamo distinguere diversi stili di attaccamento con rispettive modalità di relazione:
- Attaccamento evitante: Nell’attaccamento evitante, il genitore non mentalizza i bisogni o il disagio evidente del bambino Il bambino impara che il modo migliore per mantenere il contatto con il genitore che viene percepito come rifiutante (psicologicamente ed emotivamente distante) è sopprimere qualsiasi espressione di emozioni negative, evitando di ricercare il genitore (Izard et al., 1991). Questi bambini imparano dunque ad essere altamente autosufficienti ed a ricorrere al distacco come strategia per scongiurare ulteriore delusioni provenienti dalle risposte del caregiver ma svilupperanno un’immagine si sé come non meritevoli d’amore.
- Attaccamento ansioso-ambivalente: Il terzo pattern di attaccamento ansioso-ambivalente si riferisce a strategie adottate dal bambino per ottenere l’attenzione di un genitore imprevedibile e scostante nelle risposte (il bambino mostra una risposta di protesta eccessiva e fortemente angosciata alla separazione, condizione che non viene eliminata al ricongiungimento). Questo pattern, è caratterizzato da un circolo vizioso di comportamenti esigenti e capricciosi del bambino alternati a comportamenti ritirati, autocolpevolizzanti (Crittenden, 1997).
- Attaccamento disorganizzato: Nei casi più gravi, il bambino sperimenta all’interno della relazione affettiva primaria un caregiver che si pone essenzialmente come spaventato o spaventante, innescando una costante paura che gli impedisce di mettere in atto una strategia comportamentale coerente per affrontare lo stress e quindi di strutturare una coerente organizzazione di attaccamento favorendo, al contrario, lo sviluppo di una disorganizzazione basata sull’uso di difese dissociative come tentativo estremo e disperato di protezione dallo stress emozionale. Il bambino con attaccamento disorganizzato esprime comportamenti apparentemente contraddittori di avvicinamento e distanziamento, appare come stordito (in trance) ed in apprensione quando si riavvicina al genitore (Main et al., 1986). In questa condizione il bambino si trova di fronte ad un paradosso irrisolvibile, in cui il soggetto verso cui è spinto a ricercare sicurezza è lo stesso che pone la condizione di minaccia. Main e Hesse (2000) hanno coniato il termine di “paura senza soluzione” per descrivere questo paradosso.
Il concetto di trauma relazionale
Nella storia della psicopatologia sono state date numerose definizioni di trauma psicologico. In generale possiamo definire il trauma psicologico, come la conseguenza di un evento fortemente
negativo e minaccioso per la vita, che genera una “frattura” emotiva nell’individuo e/o nella comunità che lo vive, tale da minare il senso di stabilità, di sicurezza, di identità e di continuità fisica e psichica della persona o delle persone che si sono trovate ad affrontarlo. Il trauma è dunque qualcosa che non può essere assimilato, che non si riesce integrare nella propria storia di vita.
Il protrarsi nel tempo di questo tipo di modalità relazionale può compromettere anche in maniera molto grave lo sviluppo psico-fisico del bambino (Lagazzi et al., 2018) ed è legato a possibili esiti psicopatologici, seppur non sia possibile disegnare delle certe traiettorie di sviluppo psicopatologico poiché ogni individuo reagisce e risponde agli eventi in modo del tutto irripetibile.
Il danno al minore in seguito ad illecito endofamiliare
In questo paragrafo approfondiremo il concetto di maltrattamento, prima da un punto di vista più descrittivo e poi da un punto di vista più giuridico inquadrandolo come illecito endofamiliare, e la sua possibile risarcibilità in quanto danno alla persona.
Il concetto di maltrattamento nell’infanzia come illecito endofamiliare e le sue conseguenze
Nel vasto panorama scientifico, volto a restituire una migliore conoscenza del fenomeno dell’abuso sui minori, un ruolo cruciale è stato ricoperto da Montecchi (1998), che classifica gli abusi in maltrattamento: fisico; psicologico; patologia delle cure (incuria, discuria, ipercura); abuso sessuale; violenza assistita.
Questi comportamenti, se perpetrati all’interno del contesto familiare e se causano un danno al minore, da un punto di vista giuridico si configurano come illecito endo-familiare.
Danno alla persona oltre il danno patrimoniale
Parlare di valutazione e risarcibilità del danno provocato da illecito endo-familiare è il risultato di un lungo iter giudiziale e culturale che ha permesso di concepire la possibilità di adattare le norme della responsabilità civile anche al contesto familiare. Ad ogni modo, nella valutazione del danno è fondamentale adottare un’ottica di personalizzazione ed un approccio idiografico, che implica l’analisi del funzionamento peculiare della persona e del suo vissuto.
Risarcibilità del danno al minore vittima di illecito endofamiliare e responsabilità civile della famiglia: un excursus giuridico-culturale
Dall’emanazione della Carta Costituzionale (1948) ed attraverso successive importanti riforme (legge 151/1975; d.lgs. n. 154/2013 etc.), il minore ha acquisito nel corso degli anni un ruolo sempre più importante nella cultura come individuo e quindi anche nell’assetto familiare; posizione che si riflette per diretta conseguenza anche in una maggio rilevanza quando si parla di diritti. Centrale è stato l’abbandono della struttura gerarchica tradizionale della famiglia e della patria potestà (descritte nel Codice Civile del 1942), sostituite dal concetto di pari responsabilità tra i due genitori e da una progressiva rivalutazione del valore del minore all’interno della famiglia (elemento primario da preservare e proteggere). Con la scomparsa del termine potestà, il quale rimanda ad un rapporto di soggettazione e di verticalità tra i membri, in particolare tra il pater familias ed il minore, e l’abolizione del famoso ius corrigendi, si è garantita la possibilità di porre sullo stesso piano in termini di valutazione uno stesso fatto illecito, sia che questo avvenisse fuori o dentro la famiglia. In questo modo si è aperta la possibilità di intraprendere un’azione risarcitoria da parte del figlio anche nei confronti di uno o entrambi i genitori in caso di illecito endo-familiare che comporti la violazione di un diritto costituzionalmente protetto. A ogni modo, in base ai recenti orientamenti giurisprudenziali (Sent. Cas. nr. 26972/09, 26973/09, 26974/09, 26975/09) il danno non patrimoniale è una categoria ampia ed omnicomprensiva che non può essere suddivisa in autonome sottocategorie di danno, seppur utilizzabili in termini descrittivi (danno biologico, morale ed esistenziale).
L’intervento delle autorità ed i possibili risvolti psicologici nel minore
I diritti dei minori vengono salvaguardati attraverso una serie di possibili provvedimenti addottati dal giudice. In caso di condizioni che rappresentino un grave pericolo per la persona o il patrimonio del minore, il giudice, ai sensi dell’art. 330 c.c., “può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio”. L’articolo 403 del c.c. aggiunge che “quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all’educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione”.
I servizi di accoglienza residenziale: caratteristiche e principi delle comunità
In questo contesto si colloca l’intervento delle comunità educative, individuate in alcuni casi dal Servizio Sociale, su mandato del Tribunale dei minorenni, come strutture di “transizione” protette all’interno delle quali il bambino si trova a “decompensare” in attesa di provvedimento definitivo del Tribunale (il quale potrà proporre un ricongiungimento con la famiglia d’origine, un affido familiare, un’adozione, la permanenza di comunità ed il successivo spostamento in altra struttura o servizio territoriale). Il minore che si trova inserito in tali contesti proviene da esperienze traumatiche è chiamato ad affrontare diversi aspetti di fragilità: a partire dalla necessità di adattarsi ad un nuovo ambiente estraneo, fino al dover fare i conti con una vera e propria elaborazione a livello emotivo dei propri vissuti e delle proprie esperienze.
L’esperienza comunitaria: fasi, prospettive e potenziale riparatore
Di fronte ad ogni bambino collocato ed accolto in comunità potranno aprirsi vie diverse, difficilmente prevedibili e sicuramente non conosciute da nessuno all’inizio del percorso, ma attraverso l’ascolto ed il sostegno che egli potrà trovare in comunità (nelle relazioni con gli operatori e nelle relazioni con i pari accolti), potrà intraprendere un cammino di recupero che gli potrà permettere di affrontare il proprio futuro in modo più funzionale, una volta che questo sarà indicato dalla disposizione definitiva del Tribunale, in collaborazione con tutti i servizi coinvolti nel suo progetto educativo.
Conclusioni
Da quanto esposto in queste pagine risulta chiaro come sia stato complesso il percorso che ha portato alla possibilità attuale di parlare di risarcibilità del danno quando si parla di illecito avvenuto
all’interno del contesto familiare, in cui dunque l’autore del fatto e la vittima fanno parte della stessa famiglia e, più nello specifico, del rapporto tra genitori e figli. Dall’emanazione della Carta Costituzionale, il minore ha acquisito nel corso degli anni un ruolo sempre più importante nella cultura come individuo e quindi anche nell’assetto familiare; posizione di rilievo che si riflette, per diretta conseguenza anche in una maggior rilevanza quando si parla, da un punto di vista più giuridico, di diritti.
Il bambino ha il diritto di crescere all’interno di un contesto che possa garantirgli il pieno e sano sviluppo della propria personalità, dunque quando questo tipo di condizione essenziale viene a mancare, anche quando le inadempienze provengono dalle figure genitoriali, tale violazione risulta risarcibile secondo i criteri della responsabilità civile ed inoltre richiama ad un intervento più o meno immediato da parte del Tribunale dei Minorenni, che si pone in ottica di garante a protezione del minore, bene superiore da perseguire.