CTU e valutazione dell’Adozione mite

CTU e valutazione dell’Adozione mite
Giacomo Piperno

*A cura di Sara Fazeli Fariz Hendi

“Per risolvere un problema qui e ora, bisogna andare lì e prima”
 Murray Bowen

L’adozione “mite” non è espressamente disciplinata dalla legge, ma la sua applicazione è stata di fatto realizzata per l’interpretazione estensiva che il Tribunale dei minorenni di Bari ha dato dell’Adozione in casi particolari art. 44, comma 1, lett. d) l. 184/1983, sotto forma di sperimentazione in tutti i casi in cui si verifichino particolari condizioni (la famiglia del minore è -anche parzialmente insufficiente rispetto ai suoi bisogni, e tuttavia svolge un ruolo ancora attivo che non appare opportuno venga interrotto totalmente.

È inoltre necessario verificare se non vi sia alcuna ragionevole probabilità di prevedere per il futuro un miglioramento delle capacità della famiglia, tale da renderla idonea a svolgere il suo ruolo). Nel momento in cui l’accertamento di tale presupposto (solitamente attraverso una C.T.U. per la verifica dello stato di abbandono) dia esito negativo, la situazione rappresenta una ulteriore premessa per l’applicazione dell’adozione “mite”, come la circostanza in cui il minore risulti sostanzialmente abbandonato e si trovi ancora in affidamento familiare. Se a tale circostanza si accompagna un’impossibilità di rientrare nella famiglia di origine per il perdurare dello stato di difficoltà e di disagio iniziali, la situazione che si presenta non pare corrispondere ad alcuna specifica previsione normativa, se non interpretando in modo più elastico ed estensivo la legge vigente, al fine di realizzare una concreta tutela del minore. Pertanto, da un punto di vista giuridico, l’adozione “mite” viene qualificata come una variante dell’adozione in casi particolari, alla quale si avvicina più di ogni altro istituto.

La giurisprudenza dell’Adozione in casi particolari

Il termine adozione indica, tanto nel linguaggio comune, quanto in quello giuridico, un istituto complesso e di antica tradizione. Il concetto di adozione rimanda a quello di legame giuridico: l’istituto sancisce e riconosce da un punto di vista legale (con modi e forme diverse tra loro) un rapporto, non necessariamente affettivo, tra soggetti che generalmente non sono legati da vincoli di sangue. Come tale, accompagna la storia dell’umanità rappresentando la complessità dei rapporti sociali, sin dagli albori della civiltà.

La giurisprudenza dell’Adozione in casi particolari

L’odierno istituto dell’adozione affonda le sue radici giuridiche nella configurazione che tale istituto ha avuto nel corso dei secoli, in particolar modo nel diritto tardo medioevale ed ancor prima in quello romano. Dal punto di vista giuridico l’adozione mite altro non è che una variante dell’adozione “in casi particolari” espressamente prevista e disciplinata dall’art. 44 della L. n. 184/1983 che, alla lett. d), che consente questa particolare forma di adozione “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”. Quest’ultima espressione viene ormai da tempo intesa dalla giurisprudenza di legittimità non solo come una impossibilità di fatto in cui il minore, pur in stato di abbandono, non riesce ad essere affidato alle cure di una famiglia adottiva, ma anche come impossibilità giuridica di disporre l’affidamento preadottivo in ragione della insussistenza di una situazione di abbandono, con conseguente impossibilità di pronunciare una dichiarazione di adottabilità del minore (Cass. Civ. 27/09/2013 n. 22292).

Come precisa la sentenza della Corte d’Appello di Roma (20/03/2018) “[…] Ed anche a voler condividere quella parte di giurisprudenza che, al fine anche di garantire il diritto alla continuità affettiva (che ha recentemente trovato tutela nella L. n. 173/15, sia pure con riguardo al diritto alla continuità affettiva dei minori in affido familiare), e dunque il diritto del genitore biologico a non interrompere in via definitiva il legame filiale, ha dato ingresso, interpretando estensivamente l’art. 44 lett. d) della L.n. 184/83, alla cosiddetta adozione mite, che si caratterizza per la permanenza dei rapporti del minore con la sua famiglia originaria […]. Invero, l’adozione mite, seguendo questa linea interpretativa, presuppone uno stato di semiabbandono, presente quando la famiglia originaria, pur essendo inadeguata a prendersi cura del minore, ha un ruolo attivo e positivo, anche e soprattutto da un punto di vista affettivo, che non è confacente all’interesse del minore cancellare. La ratio di tale istituto è dunque quello di salvaguardare legami significativi e positivi”.

Aspetti psicologici del minore in stato di abbandono

Il bambino in stato di abbandono porta con sé un bagaglio di esperienze che lo hanno formato e che ne condizioneranno lo sviluppo futuro. Egli ha infatti vissuto uno dei traumi più importanti che un bambino possa sperimentare: la perdita delle figure primarie di accudimento che avrebbero dovuto costituire per lui, per diritto biologico, la garanzia di sicurezza e di protezione.

Questa perdita può essere stata primaria (il bambino è stato abbandonato alla nascita e non ha avuto la possibilità di sviluppare una relazione di attaccamento con il caregiver) o secondaria (il bambino ha vissuto per un certo periodo con il caregiver e ne è stato, in seguito, allontanato). Ogni situazione è diversa dalle altre e le conseguenze di tali avvenimenti saranno più o meno gravi a seconda che il bambino abbia avuto o meno la possibilità di instaurare un legame di attaccamento e fiducia con le figure primarie di accudimento.

Aspetti psicologici del minore in stato di abbandono

La teoria dell’attaccamento rappresenta una chiave interpretativa esaustiva poiché premette di interpretare i processi di sviluppo attraverso i sistemi di rappresentazione mentale, di memoria di espressione, di regolazione emotiva e dei comportamenti in essi implicati. I bambini in stato di abbandono costituiscono un gruppo tipicamente a rischio in cui si rilevano stili di attaccamento disorganizzato (Chisholm, 1998; O’Connor, Bredenkamp, e Rutter, 1999; O’Connor, Rutter, e The English and Romanian Adoptees Study Team, 2000; van IJzendoorn, Schuengel, e Bakermans-Kranenburg, 1999). Questi bambini possono infatti aver sperimentato “la paura senza una soluzione” (Main, 1999) risultante dalle mancate risposte ai propri bisogni o, appunto, da una severa mancanza di responsività genitoriale.

Adozione e legame con la famiglia d’origine

In uno studio del 2011 ad opera di von Korff e Grotevant, gli autori hanno indagato la dimensione dell’identità adottiva. La ricerca, condotta negli Stati Uniti, ha dimostrato come persone che avevano avuto contatti con i loro genitori biologici durante la loro crescita attraverso la Openess Adoption –istituto regolato dalla normativa statunitense che consente contatti tra i genitori biologici e figli in adozione (ove non siano presenti gravi rischi per il minore; associabile almeno in parte alla legge italiana art.44/183, Adozione in casi particolari), sviluppavano una più coerente identità adottiva.

Il beneficio dell’adozione aperta sancita dalla legge americana, si riscontra in una vasta letteratura al riguardo: sembra che il venire a contatto con i propri genitori biologici permetta al bambino di integrare la propria storia, di eliminare – anche solo in parte – i dubbi relativi al proprio abbandono e sembra limitare notevolmente eventuali fughe atte alla ricerca delle proprie origini.

Adozione e legame con la famiglia d’origine

Nel contesto italiano invece, una ricerca promossa in seguito alla sperimentazione dell’adozione mite (che preserva i contatti del minore adottato con la famiglia d’origine) presso il Tribunale per i minorenni di Bari (Balenzano, Cassibba, Moro, Costantini, Vergatti, e Godelli, 2003), ha coinvolto 50 adolescenti suddivisi in due gruppi: ragazzi adottati con formula mite e ragazzi in adozione legittimante. Gli autori dello studio però, precisano che rimangono ancora poco chiare le cause dei risultati ottenuti nel confronto tra le due forme di adozione. Molti dei ragazzi in adozione mite hanno infatti sperimentato pregresse esperienze di istituzionalizzazione, nonché un numero maggiore di esperienze negative per un tempo più prolungato, rispetto ai coetanei in adozione legittimante.

“La CTU per il supremo interesse del minore”

Il Codice inquadra il Consulente Tecnico di Ufficio tra gli ausiliari del giudice; regola la sua funzione dall’art. 61 c.p.c.: “Quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica”, che, secondo le disposizioni dello stesso art. 61 c.p.c., al comma 2, e dell’art. 13 e ss. disp. att. c.p.c., devono essere normalmente scelti tra le persone iscritte in albi speciali. La funzione del C.T.U., quando nominato, è quindi quella di assistere il giudice nella risoluzione di problematiche di natura tecnica, che si presentino al giudice stesso laddove le domande formulate dalle parti non consistano e non siano esauribili in questioni giuridiche. In tali circostanze, quando il giudice ne ritiene necessaria la nomina, la funzione del C.T.U. è quella di dare risposta, utilizzando la propria specifica competenza tecnica, ai quesiti che il giudice gli pone nello stesso provvedimento di nomina (art.191, comma 1, c.p.c.).

La consulenza per il minore

La nozione di abbandono costituisce una clausola generale che il giudice integra tenendo conto delle circostanze del caso concreto, in modo da realizzare in ciascuna fattispecie della vita il preminente interesse del minore (Cass., 11 ottobre 2006, n. 21817). La giurisprudenza sottolinea che l’adozione non ha intenti sanzionatori verso i genitori, ma si concentra sulla situazione oggettiva in cui il minore si trova, indipendentemente dalle cause che l’hanno provocata (Ferrando). Ciò che rileva è esclusivamente il pregiudizio che la situazione in cui si trova a vivere provoca al minore (Cass., 18 febbraio 2005, n. 3389). Il giudicante deve dunque considerare l’interesse di ciascun minore in relazione al caso concreto. Tra i casi più facili da risolvere si ritrovano quelli in cui il minore non è stato riconosciuto dai genitori o è stato completamente abbandonato, mentre più difficile è la soluzione di casi in cui tra minore e genitori biologici sussiste ancora una qualche forma di relazione: il giudice è chiamato a valutare che 43 impatto abbia questa relazione sull’esperienza esistenziale del minore. Al fine di effettuare detta valutazione il giudicante può avvalersi di un consulente tecnico. La consulenza tecnica per il preminente interesse del minore rispetto alla sussistenza o meno di un legame affettivo e relazionale da preservare, deve essere condotta includendo le tre parti coinvolte (la famiglia adottiva, la famiglia d’origine ed il minore) e deve necessariamente completarsi seguendo una strutturazione precisa.

La famiglia d’origine

All’interno di una Consulenza per accertare il supremo interesse del minore rispetto al legame con la famiglia d’origine, è sicuramente necessario valutare la personalità ed il funzionamento della famiglia d’origine. Dopo aver studiato gli atti ed aver analizzato i motivi per cui il minore è stato allontanato e dichiarato in stato di abbandono, il Consulente dovrà incontrare i genitori biologici del bambino e ripercorrere con loro la storia familiare, le fasi che hanno determinato l’allontanamento del figlio e le reali motivazioni che hanno spinto questi genitori a non recidere il legame con lui.

La famiglia adottiva

I percorsi giuridici che arrivano all’adozione mite possono essere sostanzialmente due:

  • Il primo, in cui il Tribunale per i minorenni, effettuate le valutazioni del caso e chiuso il procedimento per lo stato di abbandono, apre un fascicolo di Volontaria Giurisdizione ai fini di un affido etero-familiare; nel caso dell’affido la futura famiglia 56 adottiva ha già intrapreso un percorso caratterizzato da rapporti con la famiglia d’origine del minore che ha in affido.
  • Secondo, in cui l’iter giuridico è più complesso e la possibilità dell’adozione mite arriva in un secondo momento. È necessario ricordare che la coppia adottiva è stata ampiamente valutata sotto il profilo individuale e genitoriale (idoneità adottiva).
La famiglia adottiva

Anche se giuridicamente poco rilevante, è auspicabile che il Consulente indaghi la disponibilità della famiglia adottiva al cambiamento dell’assetto familiare che si era prefigurata: se è vero che la quasi totalità delle coppie che fanno istanza di adozione accetta il “rischio giuridico” dei minori adottabili, è altrettanto vero che, data anche la durata dei processi per i due o addirittura tre gradi di giudizio (Tribunale per i minorenni-Corte d’Appello- Corte di Cassazione) la fantasia dei futuri genitori circa la “famiglia adottiva piena” diventi sempre più concreta. Ciò che preoccupa la famiglia adottiva in questa fase è il cambiamento di prospettiva e come sostenere il bambino in una eventuale nuova configurazione familiare.

Il minore

Dopo aver effettuato una precisa raccolta dei dati anamnestici del minore, il Consulente è chiamato ad incontrare e conoscere il minore. A seconda dell’età cronologica e mentale del bambino e delle tappe evolutive raggiunte, lo psicologo giuridico dovrà modellare il proprio metodo di indagine.

La crescente cultura dei diritti dell’infanzia promuove attenzione e impegno costante da parte della società nel riconoscere le diverse forme di disagio dei bambini. Nonostante le concettualizzazioni riguardanti le connessioni e le interdipendenze del diritto con la psicologia, è tuttavia presente uno scarso riscontro di tali connessioni nella pratica forense. Un approccio inadeguato può coinvolgere la salute psichica, l’educazione e lo sviluppo comportamentale del bambino. È infatti necessario tenere presente che il contatto del bambino con la struttura giudiziaria avviene, in genere, quando ha già vissuto una situazione traumatica, nel contesto familiare o in altri tipi di contesti. In questa situazione di instabilità emotiva del minore, il dovere di una società è farsi carico di questo dolore e rispondere prontamente ai suoi bisogni.

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