Codice Rosso e Violenza Assistita


- Posted by Giacomo Piperno
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*A cura di Sandra Bertelli
Il maltrattamento e l’abuso sui minori sono definiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), come forme di cattivo trattamento fisico e/o affettivo, abuso sessuale, incuria o trattamento negligente nonché sfruttamento sessuale o di altro genere che provocano un danno reale o potenziale alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del bambino, nell’ambito di una relazione di responsabilità, fiducia o potere (OMS, 2002).
Tipologie di abuso e maltrattamento a danno dei minorenni
L’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, nella seconda indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia del 2021, individua le seguenti forme di violenza a danno di minorenni:
- Maltrattamento fisico
- Maltrattamento psicologico
- Trascuratezza, patologia delle cure
- Violenza sessuale subita, prostituzione, tratta, pedopornografia
- Violenza assistita
Maltrattamento Fisico
Per maltrattamento fisico si intende la presenza di un danno fisico che può essere causato da aggressioni fisiche, punizioni corporali, maltrattamenti, gravi attentati all’integrità fisica e alla vita.
Una figura adulta provoca nel bambino una lesione fisica di grado lieve, in cui non è necessario il ricovero, fino alle forme moderate (è previsto il ricovero) e quelle severe (estreme) in quanto comportano anche il decesso della vittima. Elemento principale in questa forma di abuso è la produzione di lesioni volontarie e difficilmente riconducibili a eventi accidentali; sono compresi i morsi, graffi, schiaffi violenti, ustioni con sigarette o con immersione forzata in acqua bollente (palmi delle mani, piante dei piedi, natiche e perineo), presenza sul corpo di fratture costali e/o lesioni addominali, strappare i capelli, traumi all’occhio e all’orecchio per torcimento.
Nell’abuso fisico è presente una carenza di cure delle quali il minore necessita, non solo a livello fisico, bensì anche a livello psichico. Di solito nelle forme di maltrattamento si evidenzia la presenza basilare della violenza psicologica, e a volte la conseguente manifestazione di danni psichici come esito delle condizioni alle quali il minore è stato sottoposto.
Abuso Psicologico
L’abuso psicologico consiste invece in un comportamento attivo o omissivo verso il bambino con compromissione dello sviluppo a livello irreparabile. Sono compresi atteggiamenti di scarsa vigilanza sul bambino per quanto riguarda le proprie azioni e frequentazioni, oppure eccessivi e non necessari comportamenti restrittivi. Vi appartengono anche gli atteggiamenti di disprezzo, svalutazione, rifiuto e critiche ripetute sull’aspetto o comportamento del minore; l’abuso si manifesta continuativamente nel corso del tempo e compromette la sfera relazionale tra bambino e figura di riferimento, o comunque una persona che si trova in una posizione di potere rispetto alla vittima. Chi dovrebbe occuparsi del minorenne non riconosce i suoi bisogni degenerando anche in condotte passive come le situazioni di incuria, fino all’abbandono del minore. Può esservi il coinvolgimento del figlio nelle controversie legali di separazione, nelle quali i genitori espongono volontariamente il minore a situazioni stressanti quali per esempio l’avanzamento di false accuse di maltrattamento verso il coniuge.

Patologia delle cure
Con patologie delle cure sono comprese l’incuria, discuria e ipercura del bambino.
L’incuria consiste in una intenzionale negazione di cure al minore, in termini materiali ed affettivi, per quanto attiene la nutrizione, igiene (carente), abbigliamento (inadeguato alle esigenze atmosferiche), abitazione, protezione da pericoli fisici e sociali, assistenza medica carente, prolassi non eseguita. Il bambino può anche essere sottoposto a cure dolorose come ripetuti episodi di avvelenamento o annegamento (Mastronardi, 2012).
La discuria corrisponde alla somministrazione di cure non appropriate rispetto ai bisogni del bambino. Tale patologia della cura si concretizza nell’assenza di vigilanza sulle azioni e frequentazioni del minore, o al contrario sotto forma di limitazione eccessiva dell’autonomia in situazioni dove non è realmente necessario un atteggiamento controllante. Tale comportamento è attuato con la convinzione di agire per il benessere della vittima, quindi nel suo interesse. Un atteggiamento di discuria può essere la presenza di aspettative superiori alle reali capacità dei figli, così come l’imposizione di acquisizione precoce di una certa autonomia nei ritmi alimentari ed altre richieste che non rispettano le tempistiche e i bisogni del bambino, quindi la mancanza di adeguamento degli impegni dei genitori alle necessità del bambino.
L’ipercura si caratterizza invece per la presenza di cure eccessive verso il minore. Comprende la Sindrome di Munchausen per procura, che, nell’ultima versione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5) rientra tra i Disturbi Fittizi, nello specifico viene rinominato Disturbo Fittizio provocato da altri. Segni e sintomi fisici predominanti sono prodotti intenzionalmente o simulati in un’altra persona affidato alle cure del soggetto, sottoposto ad inutili accertamenti clinici e cure non necessarie. La motivazione alla base del comportamento di chi presenta questa patologia è l’assunzione del ruolo di malato per interposta persona, in assenza di incentivi esterni. Le conseguenze di questa forma di abuso, che solitamente si manifesta quando la vittima è ospedalizzata e determina la generazione di un disturbo o il peggioramento di un quadro clinico già presente, sono gravi perché possono portare a danni irreversibili, patologie croniche e il decesso del bambino.
Abuso sessuale
Un’altra forma di maltrattamento del minore corrisponde all’abuso sessuale. Finkelhor la considera in un’accezione ampia che comprende l’abuso sessuale con e senza contatto, comprendendo come abuso sessuale effettivo i rapporti sessuali, masturbazioni, esposizione a organi genitali, visione di filmati pornografici, trattazione di temi sessuali in modo erotico. Il contatto fisico non è considerato un requisito affinché un adulto possa abusare sessualmente di un minore, anzi, il bambino può essere sottoposto ad un vero e proprio rapporto sessuale, ma anche costretto ad assistere ad un atto sessuale. E’ possibile includere l’incesto, lo sfruttamento pornografico, la violenza da parte di un adulto affetto da parafilia, come nei casi di pedofilia ed esibizionismo. Kempe considera invece l’abuso sessuale come “coinvolgimento in qualsiasi attività sessuale di un minorenne, non maturo, dipendente, e quindi incapace di un libero e cosciente consenso, o in atti che violano il tabù sociale di una persona nel ruolo familiare“. Sono considerate condizioni di abuso sessuale l’incesto, la sodomia, la manipolazione dei genitali, le carezze capziose, lo sfruttamento della prostituzione minorile.
Violenza assistita
La prima definizione in Italia di tale fenomeno deriva dal lavoro del Coordinamento Italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso dell’infanzia (CISMAI) e risale al 2003.
“Per violenza assistita da minori in ambito familiare si intende il fare esperienza da parte del/della bambino/bambina di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte e minori.
Si includono le violenze messe in atto da minori su minori e/o su altri membri della famiglia, gli abbandoni e i maltrattamenti ai danni di animali domestici. Il bambino può fare esperienza di tali atti:
– direttamente: quando avvengono nel suo campo percettivo
– indirettamente: quando ne è a conoscenza e/o ne percepisce gli effetti”.
E’ importante sottolineare che il minorenne vittima di violenza assistita potrebbe non necessariamente vedere il maltrattante compiere il maltrattamento nei confronti della madre, bensì è sufficiente che sia presente in casa in un’altra stanza ed ascolti quanto accade ai genitori, o addirittura non abbia esperito quanto accaduto, ma gli venga raccontato dalla madre o da altri, o veda le conseguenze della violenza sulla madre, venendo ugualmente a conoscenza di quanto la vittima diretta ha subito. Dalla definizione del fenomeno emerge una forte correlazione tra violenza di genere e violenza assistita. La prima infatti è un importante fattore di rischio per la manifestazione della seconda.

La violenza assistita attualmente risulta essere sottostimata e di difficile rilevazione, poiché caratterizzata da maltrattamento psicologico, conosciuto come tipologia di violenza, ma meno visibile rispetto ad altre forme di maltrattamento. Quasi sempre nell’ambiente domestico nel quale viene agita violenza di genere, la prima forma di violenza alla quale la donna viene sottoposta è psicologica; da questa possono poi derivare le altre tipologie di maltrattamento. Il minore, di conseguenza, viene esposto ad una relazione emotiva caratterizzata da ripetute e continue pressioni psicologiche, violenza verbale reiterata, ricatti affettivi, indifferenza, rifiuto, denigrazione e svalutazione. Possono essere presenti forme di omissione o ritiro psicologico da parte dell’adulto nei confronti del bambino. I sintomi di tale esposizione sono aspecifici e possono passare inosservati. Il maltrattamento psicologico danneggia lo sviluppo del minore in diverse aree, dalla cognitiva alla socio emotiva, fisica, psicologica, comportamentale. Un esempio può essere l’assunzione di comportamenti adultizzati, bassa autostima, competenze nei rapporti sociali deteriorate e compromesse.
Indipendentemente dall’età, tutte le situazioni di violenza, diretta o assistita, possono comportare cambiamenti peggiorativi di vita con esiti a volte fatali.
Codice rosso e violenza di genere
Attraverso la legge n.69/2019, c.d. Codice Rosso, al minore viene attribuito in modo indiscutibile il ruolo di persona offesa dal reato, in quanto vittima indiretta dei maltrattamenti intrafamiliari.
L’ordinamento giuridico italiano non prevede un reato autonomo di violenza assistita, tuttavia, in attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (c.d. Convenzione di Istanbul, aperta alla firma l’11 maggio del 2011 e ratificata dall’Italia con la legge n.77/2013) la giurisprudenza ha riconosciuto che la condotta di chi costringa in modo reiterato il minore a presenziare alle manifestazioni di violenza, fisica o morale, contro un genitore all’interno delle mura domestiche configura il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art.572 c.p.(Pezzini B., Lorenzetti A., 2020).
Il decreto-legge 14 agosto 2013 n.93 introduce inoltre come circostanza aggravante comune per i delitti contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché per i maltrattamenti in famiglia, l’aver commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto (art 61 co.1 n.11-quinquies c.p.). Fino all’entrata in vigore della legge n. 69 del 2019, la tutela approntata nelle ipotesi di maltrattamenti posti in essere in presenza del minore, era duplice sussistendo da un lato, la condotta maltrattante cui il minore semplicemente presenziasse senza ricavarne (si fa per dire) uno stato di sofferenza psicofisica, di per sé integrante l’aggravante di cui all’art. 61, comma 1,n. 11-quinquies, c.p., dall’altro, la condotta vessatoria posta in essere nei confronti dell’altro genitore, cagionante al minore ripercussioni negative sul suo sviluppo psicofisico, integrante invece il reato di maltrattamenti di cui all’art.572 c.p. nella forma della c.d. violenza assistita.
La conseguenza della distinzione comportava, tra l’altro, che, nel primo caso, a differenza del secondo il minore non poteva essere considerato persona offesa (Corte Suprema Di Cassazione, Ufficio del Massimario e del ruolo, 2019). Con la legge 19 luglio 2019 n.69 “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, c.d. “Codice Rosso” vengono introdotte significative modificazioni sia all’art. 61, n.11-quinquies c.p., sia all’architettura dell’art.572 c.p.
Questi risultati sono solo punti di partenza per garantire per i bambini vittime o testimoni di violenza il diritto alla protezione e alla cura, ancora di difficile accesso. Fondamentale la continua formazione degli psicologi giuridici e degli operatori che intervengono nei casi di violenza assistita.