Capacità genitoriali e stili di attaccamento


- Posted by Giacomo Piperno
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*A cura di Valentina Celano
La moderna evoluzione del sistema familiare nella cultura occidentale ha contribuito notevolmente a modificare il concetto stesso di genitorialità: oggi il genitore è colui che esercita il parenting, ovvero quell`insieme di comportamenti che attiene alle capacità di proteggere il bambino e sostenerlo nello sviluppo (C.Patrizi).
La genitorialità, quindi, si esprime nella capacità di portare avanti il ruolo genitoriale attraverso comportamenti finalizzati a nutrire, accudire, proteggere, sostenere e promuovere l`autonomia e l’indipendenza della prole. L`essere genitori è un impegno tutt`altro che statico, in quanto occorre rispondere a bisogni diversi a seconda dell’età e delle diverse esigenze dei figli. La coppia genitoriale deve dimostrarsi estremamente dinamica all’interno della triade (madre, padre, figlio), per quel che riguarda il proprio stile educativo, in modo da poter affrontare in maniera funzionale i cambiamenti relativi alle varie fasi della vita. La transizione alla genitorialità rappresenta uno degli eventi critici della routine familiare. L’evento nascita di un figlio, può essere considerato come fattore destabilizzante della relazione coniugale, in quanto può causare un progressivo declino della soddisfazione di coppia e un conseguente incremento della complessità che rischia di portare a galla conflitti o problemi latenti e mai affrontati dai partner. Fattori questi che, sommati tra loro, possono portare alla perdita della qualità e della stabilità della relazione coniugale.
Sia la natura che la società, per ragioni connesse all’adattamento e alla sopravvivenza della specie, spingono i genitori ad occuparsi dei figli. Prendersi cura di un figlio costituisce un complesso di attività finalizzate a promuovere e sostenere lo sviluppo psicofisico del bambino.
Essere genitori
Per poter garantire un accrescimento sano, armonioso ed adeguato all’età, è necessario che si realizzi un buon adattamento tra fasi evolutive e risposte ambientali, ovvero tra le esigenze e i bisogni del bambino e le opportunità offerte dal contesto in cui si trova. Il modo in cui i genitori elaborano e gestiscono la transizione alla genitorialità e svolgono i compiti di cura funzionali ai bisogni e agli obiettivi evolutivi del figlio, è influenzato dalla personalità del genitore e dagli schemi relazionali associati alla relazione genitore-figlio che essi hanno introiettato.

Aspetti psicologici e strategie parentali
La personalità del genitore, intesa come organizzazione complessa, dinamica e coerente di variabili psicologiche (attributi, dimensioni, categorie, tratti, …) possedute da un individuo, influenza in modo diretto e indiretto la condotta parentale. Tutti i genitori possiedono delle personali credenze, più o meno consapevoli, sulle tematiche connesse alla genitorialità che influenzano le strategie parentali.
Queste fondano le loro basi sia sulle esperienze vissute all’interno delle proprie famiglie d’origine, sia sulle esperienze quotidiane di confronto con il contesto sociale di riferimento, oltre ad essere influenzate dalle specifiche caratteristiche dei figli. Si strutturano come una sorta di “psicologia ingenua” capace di influenzare il modo in cui i genitori interpretano lo sviluppo del figlio e il comportamento da mettere in atto nei suoi confronti.
Quando le credenze diventano troppo rigide o estreme possono portare a strategie parentali disfunzionali. L’esercizio del ruolo parentale presuppone necessariamente una buona capacità metacognitiva che permetta al genitore di padroneggiare gli stati mentali (credenze, scopi, aspettative, emozioni, …) propri e del figlio, spiegare e prevedere le azioni proprie e altrui, nonché di svolgere compiti e risolvere problemi connessi all’esercizio del ruolo parentale. In tal modo i genitori riescono a riconoscere, regolare e monitorare gli stati mentali propri e del bambino (teoria della mente), percepire i suoi strumenti ed identificarsi con essi (empatia) ed essere costantemente sintonizzati sui loro bisogni e obiettivi evolutivi interagendo in modo sensibile e responsivo (Fonagy, 1991; Main, 1991).
Rappresentazioni generalizzate
Oltre alle variabili di personalità, nella definizione della genitorialità è importante considerare anche gli schemi relazionali che il genitore ha interiorizzato, ovvero il modo in cui la relazione è rappresentata nella mente. La condotta parentale infatti, è influenzata dalla rappresentazione mentale che il genitore ha del proprio bambino e della relazione con lui.
Si tratta di rappresentazioni “generalizzate” e gerarchicamente organizzate circa sé stesso e l`altro con cui egli si relaziona, in cui la rappresentazione di sé è intrinsecamente associata alla rappresentazione dell’altro. In particolare, sono rappresentate nella mente del genitore, le modalità attraverso le quali prendersi cura del figlio e della mente del figlio, fornisce delle previsioni sulle modalità con cui il genitore si prenderà cura di lui. Sulla base delle variabili di personalità descritte, nonché degli stili relazionali e dei cicli interpersonali, derivano diversi profili psicologici dei genitori.
La capacità genitoriale
La “capacità genitoriale” è un concetto complesso e di difficile definizione, che si declina in ambito giuridico, ma che si deve porre in un’ottica multidisciplinare comprendendo il contributo della psicologia clinica e dello sviluppo, della neuropsichiatria infantile, della psicologia delle relazioni familiari.

Nello specifico in area giuridica, tale costrutto assume una rilevanza particolare all’interno delle decisioni in materia di affidamento dei figli, nei casi di separazione e divorzio conflittuale, nei casi di minori in stato di abbandono o temporaneamente privi di ambiente familiare idoneo, o ancora nelle situazioni di condotta pregiudizievole del genitore nei confronti dei minori stessi.
Un punto di svolta in materia di affidamento è rappresentato dalla legge n. 54/2006, la quale ha introdotto il principio della cosiddetta bigenitorialità e dell’affidamento condiviso, da preferire sempre a quello esclusivo tranne nei casi in cui ciò sia contrario all interesse dei minori. L’introduzione della legge ha permesso di porre sotto la lente di ingrandimento il diritto del minore ad avere garantita la presenza di entrambi i genitori attraverso un “rapporto equilibrato e continuativo, con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” e il Giudice “adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”.
Secondo la letteratura di riferimento, la capacità genitoriale è quell’insieme di capacità e attitudini che i genitori devono possedere al fine di offrire cure adeguate ai bisogni dei minori, di riconoscere i loro bisogni affettivi, di offrire contenimento e regolazione dei loro stati d’animo, ma anche di dare dei limiti e delle regole.
Valutazione della capacità genitoriale
Haller (2000), sostiene che la “capacità genitoriale” non è riducibile in modo esclusivo alle qualità personali ed individuali del singolo genitore, ma deve comprende anche un’adeguata competenza relazionale e sociale. Corrisponde pertanto ad un costrutto complesso, che deve necessariamente considerare una dinamicità delle caratteristiche del genitore che, nell’offrire protezione e presenza ai figli, deve modulare il proprio intervento sulla base dei bisogni e delle necessità di questi ultimi, garantendo loro un adeguato sviluppo psichico, affettivo, relazionale e fisico. Nella letteratura esistono molti autori che, da prospettive teoriche diverse, hanno validamente definito le capacità genitoriali attraverso un elenco di funzioni psichiche, abilità, competenze e comportamenti spesso sovrapponibili tra loro.
Dunque la valutazione delle competenze genitoriali non si può ridurre alla semplice analisi del profilo di personalità dei genitori ma deve articolarsi in modo più complesso prendendo in considerazione molteplici elementi legati al funzionamento psicologico e sociale degli stessi, oltre che delle dinamiche razionali presenti nel nucleo familiare. In tale complesso lavoro di valutazione, emerge in modo rilevante l’importanza di considerare la valutazione dell’attaccamento dei genitori a fine di poter comprendere le eventuali ripercussioni nell’assunzione del loro ruolo genitoriale rispetto ai figli.
L’attaccamento
La teoria dell’attaccamento dello psicoanalista britannico John Bowlby, è stata avvalorata da rigorose ricerche, confermate poi sperimentalmente, ed afferma che lo sviluppo emotivo della persona dipenda dalle caratteristiche del legame che si instaura fra caregiver e bambino. Nei suoi primi lavori, condotti con ragazzi che avevano commesso dei reati, egli notò che tutti loro avevano sofferto esperienze di perdita o di abbandono da parte dei genitori nei primi anni di vita (Bowlby, 1944).

Coerentemente con gli studi etologici sull’imprinting di Lorenz, Bowlby, interpretò questo dato come una prova del fatto che ogni essere umano è caratterizzato da un bisogno biologico e da una predisposizione innata a formare e mantenere relazioni di attaccamento, al fine di ricevere sostegno e protezione, e quindi di sopravvivere. La perdita precoce della figura che fornisce le cure, o un fallimento dei legami di attaccamento, produce dolore psichico e può condurre alla psicopatologia. Gli studi portarono l’autore ad indagare quali potessero essere i differenti tipi di questo legame e da questi studi nacque la cosiddetta teoria dell’attaccamento. Il concetto centrale della teoria dell’attaccamento di Bowlby è che gli individui sviluppano rappresentazioni mentali, chiamate dall’autore Internal Working Model (IWM), che consistono in una serie di aspettative che l’individuo ha nei confronti di sé stesso, delle figure significative della sua esistenza, e del rapporto tra sé e queste figure. Le strategie adattive messe in atto dal bambino nel primo anno di vita, saranno le stesse che in seguito utilizzerà con il partner nella sua relazione amorosa, inconsapevolmente convinto che l’unica maniera per mantenere la vicinanza della persona amata sia quella di adottare le strategie infantili che a suo tempo gli garantirono la presenza della madre.
Stili di attaccamento
Secondo Bowlby esistono quattro tipologie di attaccamento che legano la madre, o la figura principale di accudimento, e il bambino ovvero:
- Stile sicuro: Il bambino in situazioni di stress è in grado esprimere il suo disagio, sicuro che l’adulto di riferimento sarà in grado di fornirgli aiuto e porsi come una base sicura per l’esplorazione. Quando la madre esce e rimane con uno sconosciuto, il bambino è visibilmente turbato, ma al ritorno della madre, il bambino si tranquillizza e si lascia consolare. Le relazioni interpersonali future del bambino, in generale, saranno improntate sul rispetto di sé e dell’altro, sulla stima e sulla fiducia e nelle relazioni amorose sarà portato a ricercare partner che abbiano la sua stessa sicurezza;
- Stile insicuro/evitante: il bambino si focalizza su sé stesso, non manifesta le sue emozioni negative perché sa che non saranno tollerate dal genitore, lo scopo è evitare il dolore di essere rifiutato nel momento in cui avrà più bisogno di aiuto. Il bambino percepisce la figura di accudimento come qualcuno a cui non chiedere aiuto nel momento del bisogno, poiché tale figura si dimostra inaffidabile, poco presente e spesso rifiutante. Le relazioni interpersonali future saranno caratterizzate da freddezza emotiva. Le relazioni amorose saranno sempre prive di un totale coinvolgimento, inoltre tenderà a non mostrare affetto nelle relazioni.
- Stile ansioso/ambivalente: il bambino percepisce la figura di riferimento come disponibile in maniera discontinua in quanto, a volte la madre è presente, ma spesso è assente. Ragion per cui l’esplorazione del mondo risulterà insicura, connotata da ansia. Il bambino ha comportamenti contraddittori nei confronti della madre, a tratti la ignora, a tratti cerca il contatto. Quando la madre se ne va e poi ritorna, il bambino risulta inconsolabile. Il bambino si percepirà come persona da amare in maniera discontinua. Il sentimento che lo caratterizzerà sarà la colpa. Nelle relazioni interpersonali sociali e amorose il soggetto sarà in balia spesso dell’impulso, della passione e talvolta mostrerà grande gelosia, possessività e ossessione.
- Stile disorientato/disorganizzato: la figura di riferimento risulta spaventata/spaventante, e diviene per il bambino allo stesso tempo fonte di conforto e di allarme, evocando contemporaneamente risposte contraddittorie. Il bambino può avere reazioni completamente opposte, ad esempio, può apparire apprensivo, piange e si butta sul pavimento o porta le mani alla bocca con le spalle curve in risposta al ritorno dei genitori dopo una breve separazione. Altri bambini disorganizzati, invece, manifestano comportamenti conflittuali come girare in tondo mentre simultaneamente si avvicinano ai genitori. Sono anche da considerarsi casi di attaccamento disorganizzato quelli in cui i bambini si muovono verso la figura di attaccamento con la testa girata in altra direzione, in modo da evitarne lo sguardo. Il soggetto lamenterà solitudine e paura di non piacere se non riesce a trovare una persona con cui stare. Quando instaurerà una relazione di coppia, assumerà un ruolo passivo, colpevolizzandosi eccessivamente per i problemi interni allá coppia stessa.
Adult Attachement Interview
L’Adult Attachment Interview (AAI, George, Kaplan e Main 1985; Main, Goldwin e Hesse 2002) è un’intervista semistrutturata che esplora le esperienze vissute dal soggetto durante la sua infanzia in relazione alle sue figure di accudimento primarie (caregiver) e attraverso l’analisi qualitativa delle narrazioni relative a tali esperienze, consente di classificare gli stati della mente relativi all’attaccamento (Steele e Steele 2008). L’AAI è stata sviluppata da M. Main, G. Kaplan e J. Cassidy (1985) con l’intento di approfondire il tipo di rappresentazioni mentali di attaccamento delle madri di bambini sottoposti alla procedura di Strange Situation. Numerosi studi hanno infatti dimostrato la correlazione presente tra le modalità con cui i genitori narrano le proprie esperienze di accudimento durante l’infanzia e lo stile di attaccamento dei figli (Main, Kaplan e Cassidy 1985).
L’intervista, della durata di circa un’ora, è composta da venti domande che approfondiscono le esperienze vissute con le figure di accudimento durante l’infanzia: a tale scopo, all’intervistato vengono chiesti cinque aggettivi che descrivono la qualità della relazione con ciascun genitore, successivamente si chiede di supportare tali aggettivi con specifici ricordi ed esperienze che hanno condotto alla selezione del termine prescelto; vengono quindi esplorate le esperienze di separazione con le figure di accudimento, i lutti e i traumi vissuti nel corso della vita ed infine la parte conclusiva dell’intervista indaga la relazione attuale dell’intervistato con i propri figli o, in caso di un individuo senza figli, come quest’ultimo immagina che si delineerebbe tale relazione. La descrizione delle esperienze infantili viene analizzata in modo approfondito rispetto allo stile narrativo del soggetto, alle sue reazioni agli episodi descritti, al cambiamento nel corso del tempo dei sentimenti che riguardano gli eventi raccontati, agli effetti percepiti delle esperienze di accudimento e di altre eventuali esperienze significative rispetto allo sviluppo della personalità adulta.
La classificazione finale dell’AAI si basa sull’interpretazione dei contenuti narrativi e della forma in cui sono espressi, in termini di organizzazione e coerenza delle rappresentazioni mentali concernenti l’attaccamento. L’obiettivo applicativo di un’intervista come l’AAI, soprattutto nel contesto del lavoro clinico o peritale, non è primariamente quello di individuare i correlati psicologici e comportamentali dell’attaccamento, ma quello di identificare le dinamiche costitutive dei modelli operativi interni e il loro modo di organizzarsi e declinarsi nella costruzione della rappresentazione del mondo.