Capacità genitoriali e maltrattamento

Capacità genitoriali
Giacomo Piperno

*A cura di Tatiana Corbascio

I comportamenti di cura che il genitore mette in atto nei confronti del figlio sono regolati, secondo la prospettiva biologica, dal sistema di accudimento. Questo sistema si attiva attraverso l’invio di segnali, da parte del figlio, verbali e non verbali di disagio, che indicano pericolo e sofferenza (come il pianto). Attivato nel genitore, il sistema di accudimento, se tutto funziona come dovrebbe, esso opera una elaborazione cognitiva adeguata, mettendo in atto tutta una serie di comportamenti riparativi e di mantenimento della vicinanza, offrendo protezione e cura al bambino. Quando i comportamenti di aiuto e protezione hanno avuto successo, e i bisogni di attaccamento del bambino sono stati soddisfatti, il sistema di accudimento da parte del genitore viene disattivato. Il comportamento di accudimento risente dell’influenza sia di variabili interne al genitore (ormoni, credenze culturali, condizioni fisiche e psicologiche etc.) sia di variabili esterne (caratteristiche dell’ambiente, presenza di altre persone sul luogo di accudimento, caratteristiche del bambino come le condizioni di salute, o il temperamento etc.). Le variabili interne hanno però un ruolo primario e preponderante sul tipo di comportamento finale che il genitore metterà in atto, di fronte al bambino in pericolo, poiché se e come agirà il genitore, dipenderà maggiormente dalla percezione e valutazione che lui fa dell’evento, sulla base dei propri stati mentali.

La funzione genitoriale

La natura e la società spingono i genitori a prendersi cura dei figli per la replicazione dei geni e dei valori della specie umana. Prendersi cura di un figlio significa promuovere e sostenere lo sviluppo psicofisico del bambino affinché si concretizzi un accrescimento sano, armonioso e adeguato all’età. Per rendere questo possibile è necessario che si realizzi un buon adattamento tra stadio di crescita e ambiente, tra esigenze del bambino e opportunità dell’ambiente sociale. Lo sviluppo psicofisico del bambino richiede una serie di capacità e di abilità fisiche e psichiche da parte dei genitori che gli consentono di svolgere innumerevoli compiti (nutrire, proteggere, dare affetto, conforto, sostegno emotivo, educare, promuovere l’indipendenza e l’autonomia etc.), attraverso interventi concreti, altamente specializzati e funzionali alla soddisfazione dei bisogni evolutivi, in linea con l’età del figlio. Tutti questi compiti ed interventi messi in atto dal genitore nei confronti del figlio allo scopo di cura e accudimento possono essere indicati con la denominazione di: funzione genitoriale. Questa è una funzione complessa che implica la capacità di comprendere i bisogni dell’altro, di proteggerlo e accudirlo riconoscendone la soggettività, in molteplici situazioni che richiedono l’attivazione di competenze e di cura a livello fisico e affettivo relazionale, nonché l’attivazione del proprio mondo rappresentazionale. La funzione genitoriale, secondo la prospettiva dinamico-evolutiva, può essere definita come una funzione autonoma e processuale dell’uomo, pre-esistente e parzialmente indipendente dalla generatività biologica.

Le prime manifestazioni di competenze genitoriali compaiono precocemente nel corso dello sviluppo affettivo-relazionale dell’individuo e sono osservabili fin dall’infanzia, nel comportamento del bambino, intorno al primo anno di vita, periodo in cui l’acquisizione delle competenze intersoggettive e della teoria della mente spinge il piccolo a cercare di comprendere i bisogni dell’altro nella relazione e a trovare il modo di soddisfarli. Nel corso dello sviluppo il bambino costruisce con i suoi adulti di riferimento, una molteplicità di schemi d’interazione, gli schemi di “stare con”: sulla base di questi, il bambino costruirà un proprio modello interattivo e relazionale dell’incontro con l’altro significativo che ripeterà nelle relazioni fondamentali nel corso della vita. Le sequenze ripetute di questi scambi interattivi (genitore- bambino) e delle emozioni a esse connesse innescano il processo di sviluppo affettivo- emotivo- cognitivo della funzione genitoriale. Pertanto il percorso evolutivo dell’individuo modifica e determina lo sviluppo delle sue competenze genitoriali. Caratteristiche fondamentali della funzione genitoriale sono l’autonomia, la processualità e l’intersoggettività.

La funzione triadica nella genitorialità

Nello studio delle interazioni precoci, la psicologia dello sviluppo si è sempre concentrata maggiormente sull’interazione diadica come unità primaria. Ovvero, sulla valutazione della componente interattiva della funzione genitoriale come diade madre-bambino, padre-bambino, come oggetti di studio separati, seppur complementari. Oggi, si cerca di studiare oltre alle varie diadi, anche il sistema familiare in senso triadico, questo ha portato all’attenzione e valutazione delle competenze triadiche, prendendo in esame la “famiglia come insieme”. La famiglia viene così studiata come un sistema gerarchicamente strutturato in sottosistemi definiti in base a funzioni diverse quali la coniugalità (rapporto tra partner), la genitorialità (rapporto di ciascun genitore con il figlio) e la co-genitorialità (rapporto tra i partner come genitori).

Lo studio dei modelli interattivi precoci si sposta dall’interesse esclusivo sulle diadi primarie (madre-bambino, padre-bambino) alla triade madre-padre-bambino, considerata a tutti gli effetti un sistema anch’esso primario nello sviluppo delle competenze interattive del primo anno di vita. Il modello evolutivo sottostante è quello dell’intersoggettività di Stern, secondo cui viene elaborato il concetto di schemi dello “stare con” un’altra persona, acquisiti dal bambino: nel corso dello sviluppo esso costruirebbe “schemi di appartenenza a una triade” che implicano l’esperienza ripetuta di interazioni di cui madre, padre, bambino sono protagonisti. La qualità delle interazioni e le competenze interattive triadiche del bambino si evolverebbero parallelamente a quelle diadiche.

Secondo questa visione il sistema familiare è considerato nel suo insieme, le funzioni di co-costruzione degli scambi e di regolazione interattiva vengono rilette in termini triadici, all’interno del concetto di alleanza familiare, ponendo l’accento sulla capacità dei partner di collaborare. La funzione triadica richiama inevitabilmente l’interesse sia per il ruolo del padre sia nel coinvolgimento per le pratiche di accudimento sia come elemento di mediazione della relazione madre-bambino, che come supporto e cooperazione con la partner nello svolgimento della funzione genitoriale.

Gli studi sul ruolo paterno nelle fasi evolutive precoci non sono ancora molti, poiché solo oggi il ruolo paterno sta subendo profonde modificazioni in tal senso, la ricerca dispone maggiormente di studi sul ruolo del padre in fasi di sviluppo successive (età scolare e adolescenza), dato che un tempo il padre esercitava una presenza più preminente in queste fasi. I contributi sulle analisi del ruolo paterno ci suggeriscono che la “presenza” attiva di esso, nelle fasi precoci di sviluppo del bambino, legati alla cura e alla crescita hanno effetti importanti sullo sviluppo affettivo-relazionale, cognitivo-comportamentale e sociale del piccolo.

La transizione alla genitorialità

La decisione di diventare genitori può giungere, nel migliore dei casi, quando la coppia ha raggiunto un proprio equilibrio stabile e si sente pronta ad aprire la propria dualità, predisponendo uno spazio sia fisico sia mentale per l’accoglienza e l’inclusione del terzo ed assumere un nuovo ruolo: il ruolo genitoriale.

La transazione alla genitorialità implica un vero proprio processo riorganizzativo da parte di entrambi i membri della coppia e, come tutti i momenti di transizione e cambiamento, porta un riassestamento e una rielaborazione delle dinamiche sia interne sia esterne agli individui, alla coppia e alla famiglia in senso generazionale. Uno dei primi cambiamenti è il modificarsi dello status sociale, ad esempio si osserva un allontanamento della donna dalla rete sociale di appartenenza, basti pensare alla maternità che la porta negli ultimi mesi di gravidanza a lasciare il luogo di lavoro. Le donne che non possiedono un lavoro si trovano comunque ad affrontare un ritiro sociale conseguente alla soddisfazione dei bisogni del bambino. Questo cambiamento può influire sulla rete dei rapporti sociali della neomamma, molte donne, tendono esclusivamente ad affidarsi al proprio partner, per ricevere sostegno e conforto, che se da un lato può portare ad un maggiore affiatamento al compagno, altre volte può condurre ad un rapporto simbiotico di soffocamento con esso. Altro cambiamento che i neogenitori devono affrontare è un riassestamento delle relazioni con il proprio ambiente di riferimento e una modifica nei ruoli e nelle relazioni intergenerazionali (tra nonni, genitori e nipoti). Questo porta a differenziarsi dalla famiglia d’origine, condividere l’esperienza della genitorialità, rielaborare la propria posizione di figlio e di figlia nella relazione con i propri genitori, requisiti necessari per maturare lo sviluppo di un’idea di sé come genitori.

È a partire dalla gravidanza che i genitori iniziano a delineare e a pensare al proprio ruolo genitoriale e a confrontarsi con l’idea di diventare cogenitori. Ma è solo con la nascita reale del figlio che i coniugi accedono concretamente alla dimensione della cogenitorialità, confrontandosi con le difficoltà e le dinamiche che durante la gravidanza avevano solo immaginato.

La transizione alla genitorialità

Ogni individuo tende a vivere il momento della transizione alla genitorialità in modo unico influenzato sia dalle proprie caratteristiche di personalità che dal proprio retroterra culturale e sociale. Nella fase di transizione alla genitorialità la relazione coniugale subisce profondi cambiamenti in seguito alle nuove esigenze emerse con la nascita del figlio. I coniugi devono fronteggiare: l’adattamento ai mutati ritmi familiari, in linea con bisogni del bambino, la divisione del lavoro intra ed extrafamiliare, la suddivisione dei compiti per il soddisfacimento dei bisogni del piccolo e della gestione domestica. Tutti questi cambiamenti innescano complesse dinamiche di rinegoziazione dello spazio della coppia, sul versante sia affettivo-relazionale sia socio-economico. Con l’arrivo del bambino l’obiettivo comune della coppia genitoriale dovrebbe essere quello di garantire un ambiente familiare sano e protettivo, ove dominano regole di collaborazione e partnership.

La capacità genitoriale

Individuare una definizione di capacità genitoriale unanimemente riconosciuta e condivisa dalla comunità scientifica non è facile, in ambito giuridico ci sono svariati riferimenti che nell’insieme contribuiscono ad identificarla. Idealmente il genitore è “quella persona che conosce l’interesse prevalente del figlio e ne adotta sia gli scopi che gli interessi, cercando di influenzarlo a perseguire degli scopi nel suo interesse, poiché ha “internalizzato” lo scopo tra natura e società di prendersi cura (nutrirlo, proteggerlo, dargli affetto e sostegno emotivo, educarlo, favorirne l’autonomia e l’indipendenza, supervisionarlo etc.) e lo persegue in maniera autonoma attraverso la formulazione autonoma e personale di “sottoscopi interni” contingenti.”

La nozione di capacità genitoriale

Valutando gli aspetti giuridici del concetto di capacità genitoriale, bisogna necessariamente porre la distinzione tra idoneità e capacità. Per idoneità genitoriale si intende un’attitudine generica, costituita da quell’insieme di caratteristiche che rendono quell’individuo “atto”, “adatto”, “in generale” a prendersi cura. Per capacità genitoriale invece si intende il risultato della contestualizzazione, della traduzione in concreto, dal generale al particolare, che prende in considerazione quel genitore, nello specifico contesto con quel particolare figlio. Riportando un esempio pratico, l’idoneità di una coppia candidata all’adozione, formulata in modo generico e a priori, è solo il presupposto della eventuale capacità genitoriale futura che sarà da accertare.

La capacità genitoriale di questa coppia potrà essere stabilita solo quando l’idoneità potrà essere comparata concretamente al caso specifico, ovvero a quel specifico minore dichiarato adottabile e al contesto in cui vivranno. In definitiva, “la nozione di capacità genitoriale” può essere formulata in relazione ad una valutazione, diagnostica e prognostica derivante dall’analisi attenta delle attuali caratteristiche del genitore, del figlio, e del contesto, facendo una previsione verso il futuro, ovvero in rapporto ai possibili cambiamenti di tali caratteristiche, in relazione ai bisogni e degli obiettivi evolutivi del figlio. La valutazione della capacità genitoriale di due determinati genitori non è fissa e immutabile nel tempo ma è legata al contesto particolare, al momento storico e personale e sempre in relazione a quel determinato figlio e/o figli.

Valutazione della capacità genitoriale

La L. 54/2006 sostiene fortemente l’affidamento condiviso. I genitori in questo caso esercitano entrambi la responsabilità genitoriale, i figli potranno mantenere dunque, rapporti diretti con entrambi i genitori e con le relative famiglie d’origine. I figli sono collocati presso un genitore (residenza) anche se il genitore non collocatario ha tempi di visita più ampi rispetto al regime di affidamento esclusivo. Il collocamento può anche essere alternato in relazione all’età dei figli e alla posizione geografica, in modo da passare lo stesso tempo con entrambi i genitori. Nei casi in cui le capacità genitoriali di uno dei due genitori fossero diminuite o compromesse, creando difficoltà ai figli, è ancora previsto dalla legge l’affidamento esclusivo. Per questo il giudice nel caso di separazioni altamente conflittuali, quando deve esprimersi sull’affidamento dei figli, può richiedere al Consulente Tecnico d’Ufficio di valutare le capacità genitoriali. Se il giudice si esprime per l’affidamento esclusivo, il genitore non affidatario dovrà esercitare il diritto di visita e ha il potere-dovere di vigilare sull’operato del genitore affidatario partecipando comunque alle scelte di maggiore importanza nella vita del figlio, vedendo diminuito però i tempi di frequentazione; questo ovviamente qualora non abbia la responsabilità genitoriale sospesa o decaduta.

La valutazione delle capacità genitoriali può essere richiesta anche dal giudice del Tribunale Minorile, generalmente ai servizi socio sanitari territoriali, per quei nuclei considerati a rischio, nell’ambito della tutela minori, o in casi di affidamento e adozione, facendo capo alla L. 149/2001. Nella valutazione delle capacità genitoriali il consulente psicologo, nei vari casi su descritti, dovrà identificare con precisione quali sono le caratteristiche del genitore, del figlio e del contesto, in quanto questi fattori sono in grado di influenzare la quantità e la qualità delle cure parentali e il benessere del bambino.

Le caratteristiche del genitore da esaminare sono: l’età, la personalità, la salute psico-fisica, eventuale uso di sostanze psicoattive e la presenza di comportamenti devianti al fine di stabilire in che grado influiscono concretamente sul corretto esercizio del ruolo parentale. Le caratteristiche del figlio che generalmente devono essere oggetto di attenta valutazione da parte del consulente sono: età, temperamento/personalità, salute fisica e mentale ed eventuali comportamenti problematici, al fine di stabilire quali sono le attitudini abilità e competenze specifiche che quel determinato genitore deve avere per fornire le cure parentali appropriate a quel figlio.

La valutazione del contesto prevede l’esame scrupoloso di tutte quelle caratteristiche che appartengono ad un livello superiore rispetto a quello del singolo individuo, genitore o figlio che sia, in quanto in grado di influenzare la relazione tra il genitore e il figlio, attraverso l’impatto che esercitano su di essi. Le caratteristiche del contesto che possono influenzare la capacità di prendersi cura e garantire il benessere del figlio sono: le condizioni socioeconomiche, il clima familiare, la presenza di figure di supporto. Quest’ultime possono aiutare materialmente e sostenere emotivamente il genitore in modo da compensare le sue abilità parentali e di vicariarlo nell’esercizio del ruolo parentale.

Metodologia d’intervento nella CTU

È necessario chiarire la metodologia d’intervento nella valutazione delle capacità genitoriali all’interno della CTU. Il giudice può avvalersi di uno psicologo, come consulente tecnico, quando incontra un’alta conflittualità, all’interno della coppia genitoriale, per inquadrare meglio la situazione familiare e valutare le capacità genitoriali di entrambi i genitori; al fine di disporre il tipo di affidamento più idoneo per il benessere dei figli minori. Il CTU (consulente tecnico d’ufficio) è chiamato a comprendere quando è possibile che un genitore non agisca direttamente a favore del figlio, ma anzi possa procurargli difficoltà, problemi e disturbi di natura psicopatologica a carico dell’Io. Per fare ciò il professionista dovrebbe utilizzare metodologie scientificamente affidabili e come richiesto implicitamente dalla Carta di Noto art.1 viene richiesto di rendere espliciti i modelli teorici di riferimento utilizzati, per rendere valide le proprie analisi, interpretazioni e diagnosi. È tenuto a rispettare la tecnica peritale, ovvero cerca di ottenere elementi utili per lo scopo della consulenza sia attraverso l’esame di personalità classico individuale, sia attraverso valutazioni dedotte dalle dinamiche di relazione, confrontando ed integrando i risultati ottenuti dalle due tecniche d’osservazione. La metodologia d’intervento deve essere specificata sia per quanto riguarda l’esame di personalità classico: anamnesi, colloqui, test, sia per le valutazioni inerenti le relazioni fra i componenti della famiglia.

Quest’ultime necessitano di una preparazione rispetto le dinamiche familiari e di una approfondita conoscenza della psicologia dell’età evolutiva e adolescenziale per effettuare l’analisi psicologico-evolutiva dei minori. La prassi metodologica per questo tipo di consulenza tecnica prevede l’osservazione completa sia individuale che di gruppo in modo da osservare i comportamenti e vissuti delle figure genitoriali, le capacità affettive e relazionali, l’empatia, ma anche eventuali difficoltà con il minore. Pertanto per rispondere in modo completo e accurato alle richieste del magistrato è necessario in primis lo studio del fascicolo processuale e stabilire un programma d’incontri con i consulenti di parte.

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