Buone prassi e criticità in sede di S.I.T. con il minore

Buone prassi e criticità in sede di S.I.T. con il minore
Giacomo Piperno

*A cura di Silvia Gileno

Sommarie informazioni testimoniali (SIT) – Durante le indagini preliminari la prima “intervista investigativa” con il bambino o l’adolescente presunta vittima e/o testimone di reato rappresenta un momento cruciale, anche perché egli è spesso l’unica, o perlomeno la principale, fonte di prova. Non bisogna dimenticare, però, che il minore è un soggetto particolarmente “vulnerabile” da un punto di vista fisico e mentale e che necessita, quindi, di una particolare tutela. Se ben condotta, l’intervista può favorire l’accertamento in tempi rapidi della verità giudiziaria, se mal gestita può invece compromettere seriamente la ricostruzione dei fatti ed indurre nel minore la cosiddetta “vittimizzazione secondaria”.

L’audizione del minore in sede di Sommarie Informazioni Testimoniali

Il 25/10/2007, in Lanzarote,  il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa adottò una convenzione secondo la quale tutti i Paesi aderenti s’impegnavano a rafforzare la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, adottando criteri e misure comuni sia per la prevenzione del fenomeno, sia per la punizione dei colpevoli e la tutela delle vittime (“Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuali” – c.d. “Convenzione di Lanzarote”). Tale convenzione è stata ratificata anche in Italia il 19/09/2012 ed è divenuta legge (L. 01/10/2012, n. 172 in G.U. n. 235 del 08/10/2012), introducendo modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge sull’ordinamento penitenziario, con l’obiettivo sia di rendere più efficace il perseguimento dei colpevoli sia di tutelare in maniera più adeguata le vittime. La Convenzione di Lanzarote prevede che nella fase investigativa la polizia giudiziaria (P.G.), il pubblico ministero (P.M.) e il difensore, quando ascoltano un minore sia come parte offesa sia come teste, siano affiancati da un esperto in psicologia o in neuropsichiatria infantile.

In ambito penale, quindi, una delle situazioni in cui lo psicologo giuridico è chiamato ad operare è quella dell’audizione protetta di una persona minorenne che entra in contatto con il sistema penale in qualità di vittima o testimone di reato. In ambito di presunti maltrattamenti o abusi sessuali su minorenni la prima audizione rappresenta in assoluto il momento più delicato e nel contempo più significativo per la ricostruzione della verità processuale. Ogni eventuale approfondimento successivo non potrà prescindere dalla valutazione di quel primo colloquio-audizione che nel corso delle indagini svolte dalla Polizia Giudiziaria viene codificato in un atto denominato SIT (Sommarie Informazioni Testimoniali).

Bisogna però anche tener conto che il minore è un soggetto bisognoso di protezione che viene chiamato a testimoniare dopo aver assistito a fatti traumatici o dopo essere stato lui stesso vittima. La partecipazione al processo rischia di rappresentare per il minore un’ulteriore fonte di sofferenza e di influire negativamente sullo sviluppo della sua personalità e anche sulla sua capacità di rendere una testimonianza coerente ed attendibile. 

audizione del minore

Principi generali di conduzione dell’audizione

L’audizione del minore dovrebbe avvenire secondo una modalità ben strutturata, seguendo linee guida chiare ed un’organizzazione dei tempi e degli spazi pianificati prima dell’arrivo del minore, evitando inutili improvvisazioni. Si dovrebbe soprattutto evitare di incontrare il minore troppe volte, ridurre il numero di incontri comporta un minor rischio di inquinare l’originaria traccia mnestica, di vittimizzazione secondaria, di ritrattazione delle dichiarazioni già rese e il ritiro della disponibilità del minore a collaborare nelle fasi successive dell’accertamento. Un altro imprescindibile obiettivo dell’audizione è ottenere dalla presunta vittima informazioni utili (per quantità e qualità) a ricostruire quanto accaduto, ma che siano anche fruibili in ambito giudiziario al fine di disporre le indagini opportune (intercettazioni, perquisizioni, raccolta di informazioni da parte di altri soggetti).

È innanzitutto fondamentale ottenere una contestualizzazione temporale, spaziale e relazionale dell’episodio riferito, il suo concatenamento causale con altri fatti, nonché un numero sufficiente e specifico di dettagli che consentano al magistrato di accertare quali eventi si siano o meno concretizzati e di quale fattispecie e gravità. Le dichiarazioni dovranno essere raccolte nell’ambito di un colloquio che garantisca, per quanto possibile, attendibilità, completezza e genuinità della deposizione e che eviti suggestioni, intimidazioni, condizionamenti, pressioni, incomprensioni, etc.

L’esperto deve tenere sempre ben distinti la “realtà giudiziaria” dalla “realtà clinica”, ciò che conta è ricostruire i fatti così come si sono svolti, riducendo al minimo lo spazio per l’interpretazione. È necessario quindi ottenere dal minore quante più informazioni possibili che permettano di ricostruire quanto si presume sia avvenuto.

La vittimizzazione secondaria

Se la prassi giudiziaria non presta particolare attenzione alla condizione psicologica del bambino o dell’adolescente presunto vittima, la testimonianza può indurgli un’ulteriore sofferenza emotiva anche molto severa. Un’inadeguata pianificazione degli interventi di supporto e un’insufficiente attenzione del sistema giudiziario verso gli stati emotivi del minore, può portare molti di essi a fare esperienza di ciò che viene definito “vittimizzazione secondaria”, vale a dire quella condizione di ulteriore sofferenza sperimentata dalla vittima derivata dal contatto con l’ambiente giudiziario. Si dovrebbe inoltre evitare di incontrare il minore troppe volte perché sottoporlo a ripetuti incontri e ripetute interviste, ancor più se condotti da operatori non adeguatamente preparati sul piano delle tecniche di ascolto, della psico-traumatologia e della gestione delle emozioni, può interferire negativamente sul già fragile stato emotivo del minore. La non completa uniformità circa la disciplina attinente la raccolta delle dichiarazioni e l’utilizzo di pratiche e modalità non sempre corrette, possono portare a minare la serenità del minore e possono pregiudicare l’attendibilità delle sue dichiarazioni, ripercuotendosi negativamente sui risultati delle indagini.

Le fasi preliminari dell’audizione

Prima di procedere all’audizione del minore sarebbe opportuno un contatto preliminare tra PM o PG ed esperto per creare le migliori modalità di collaborazione tra i professionisti e definire quale sarà il ruolo dell’esperto nel corso dell’audizione stessa, le eventuali modalità dell’audizione, le modalità di ascolto più opportune e adeguate all’età del soggetto coinvolto, stabilire i tempi e le informazioni che si vogliono ottenere e chi condurrà l’intervista. Inoltre è necessario che l’esperto abbia conoscenza dei dettagli della “notitia criminis” per avere le informazioni necessarie per poter orientare l’intervista. A tal proposito possono essere d’aiuto alcuni criteri del “Memorandum di Ney”, uno strumento di generale utilità quando si deve valutare una situazione di abuso sessuale.

Il setting

Considerati i risvolti psicologici che può avere sul minore è importante che la prima audizione avvenga in un ambiente (setting) non ansiogeno, un luogo accogliente, silenzioso, tranquillo e appositamente predisposto ed attrezzato per gli ascolti testimoniali di bambini e adolescenti. Sarebbe opportuno che durante il colloquio di fronte al minore si sedesse una sola persona e, in assenza di uno specchio unidirezionale, dovrebbero rimanere nella stanza dell’audizione oltre a chi conduce il colloquio solo il verbalizzante. È altamente sconsigliabile la presenza in stanza di familiari e altri accompagnatori del minore, sebbene i bambini molto piccoli potrebbero chiedere la loro presenza. In questi casi potrebbero rimanere in stanza solo nella prima parte del colloquio e va concordata la loro uscita prima che si inizi a parlare dei fatti per cui si procede. Gli ambienti in cui avviene l’audizione dovrebbero avere caratteristiche tali da mettere a loro agio le presunte vittime, dovrebbero garantire loro la necessaria privacy e l’assenza di interferenze come per esempio la vista di poliziotti in divisa che accompagnano persone in stato di arresto, oppure personale che in quel momento sta svolgendo altre attività, telefoni che squillano, voci alte nelle stanze vicine etc. Sarebbe opportuno anche prevedere la registrazione audiovisiva o almeno fonica dell’intervista anche se è una forma di documentazione non obbligatoria durante l’audizione del minore nella fase delle indagini preliminari. Dell’interrogatorio è redatto verbale in forma riassuntiva mentre la trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti.

Criticità che possono emergere in sede di SIT con il minore

  • Per quanto riguarda il termine di esperto in psicologia o in psichiatria infantile, indicato dall’art. 351 comma 1-ter c.p.p., può lasciare adito a svariate e spesso fuorvianti interpretazioni, per esempio potrebbe far intendere che potrebbe essere anche un soggetto appartenente alla polizia giudiziaria, o il PM stesso, fornito di particolare competenza e specializzazioni, ma è utile chiarire che le figure preposte come esperte all’ascolto del minore dovrebbero essere lo psicologo o il neuropsichiatra infantile. Va però evidenziato come a volte anche gli psicologi e i neuropsichiatri infantili chiamati a svolgere questo compito non siano specificamente formati per esempio in psicologia della testimonianza minorile, e non utilizzino metodologie ed approcci teorici condivisi.
  • Questo può comportare il rischio di non riuscire ad aiutare il minore poiché non si tengono in debito conto le competenze testimoniali legate al suo specifico sviluppo cognitivo. Oppure si può rischiare di inquinare i ricordi e quindi l’attendibilità della testimonianza attraverso domande suggestive ed induttive. Inoltre, la formazione degli esperti, dovrebbe essere specificatamente “giuridica e forense”, altrimenti si rischia di creare indebite confusioni tra interventi di natura diagnosticoterapeutica e le finalità esclusivamente giuridiche dell’intervento tecnico richiesto. Mancano inoltre criteri orientativi che stabiliscano quando sia meglio ricorrere alla figura dello psicologo piuttosto che a quella del neuropsichiatra infantile, valutazioni che sono lasciate alla discrezionalità degli operatori.
  • Un’altra considerazione critica riguarda l’art. 351 comma 1-ter c.p.p. che si limita a prevedere la presenza dell’esperto ma non chiarisce a quale titolo tale soggetto debba partecipare, l’espressione “… la polizia giudiziaria … “si avvale” dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile …” non chiarisce quale sia il suo ruolo e la sua funzione, e quale relazione debba avere con l’autorità investigante. La nostra normativa quindi non precisa quali siano le regole per lo svolgimento del colloquio con il minore, informato o vittima, che devono essere seguite durante la fase delle indagini preliminari dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria con la presenza dell’esperto. Il legislatore non ha fornito indicazioni precise circa le modalità dell’affiancamento: chi deve condurre l’intervista, cosa deve fare esattamente l’esperto ed in che modo, qual è la sua funzione e cosa ci si aspetta da lui, qual è la sua qualifica processuale, quali poteri e quali limiti ha. Inoltre il legislatore non ha specificato le conseguenze processuali di un’audizione effettuata in assenza dell’esperto. Ciò che manca è una previsione legislativa che individui un modello guida, unico e valido per tutti.
  • Un’altra riflessione riguarda l’utilizzo della videoregistrazione per documentare la raccolta delle dichiarazioni in sede di SIT con il minore. Malgrado la Convenzione di Lanzarote all’art. 35 comma 2 preveda espressamente l’utilizzo della videoregistrazione individuandola come la forma di documentazione da privilegiare quando si assumono le dichiarazioni di un minore, essa è prevista come modalità obbligatoria solo per l’audizione del minore vittima di “reati sessuali” in incidente probatorio (art. 398 comma 5-bis c.p.p.: “… Le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di produzione fonografica o audiovisiva…”), mentre rimane una modalità facoltativa per l’audizione dibattimentale (art. 498 comma 4-bis c.p.p.: “Si applicano se una parte lo richiede ovvero se il presidente lo ritiene necessario, le modalità di cui all’art. 398, comma 5-bis”). Nessuna forma di videoregistrazione è prevista come obbligatoria per l’audizione del minore durante la fase delle indagini preliminari, momento delicatissimo e spesso determinante per l’esito del processo, ove viene lasciata all’assoluta discrezionalità o sensibilità del singolo pubblico ministero o della polizia giudiziaria la scelta della modalità di documentazione dell’audizione. Questa mancanza è stata dalla dottrina molto criticata, poiché si ritiene che, dalla visione della videoregistrazione dell’esame del minore, sia comunque possibile pervenire ad un giudizio circa le modalità, corrette o suggestive, con cui è stato condotto l’esame.

In conclusione

I minori sono considerati soggetti “vulnerabili” come conseguenza della loro età e delle loro condizioni psico-fisiche, dunque vanno tutelati sia dalle situazioni di violenza di cui possono essere vittime sia dalla possibile “vittimizzazione secondaria” che si può realizzare quando il minore entra a contatto con l’ambiente giudiziario. Nella fase delle indagini preliminari, la raccolta delle prime dichiarazioni rese in sede di SIT è fondamentale, ma, allo stesso tempo, delicatissima. Se non gestita in modo appropriato, se compiuta con domande suggestive che presuppongono o contengono la risposta, o con domande che sollecitino, soprattutto nei minori più piccoli, il desiderio di accontentare l’adulto interlocutore, oppure con domande aggressive o colpevolizzanti, essa può compromettere definitivamente la valenza probatoria delle dichiarazioni del minore nonché l’esito dell’intero processo.

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