Abuso intrafamiliare e trauma sul minore


- Posted by Giacomo Piperno
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*A cura di Silvia Lenzi
Esporre un tema come quello di bambini maltrattati, traumatizzati, e con un’infanzia negata, è sempre difficile e mai scontato, nonostante il tema delle violenze in famiglia sia diventato negli ultimi anni uno dei più trattati a livello internazionale.
Violenza Intrafamiliare: aspetti generali
La famiglia rappresenta un sistema complesso, in cui agiscono individui, ruoli, responsabilità e mansioni. Si tratta di un sistema determinato da vincoli di tipo affettivo, in cui agiscono sia affetti positivi (quali il rispetto, la condivisione, l’amore), sia affetti negativi (quali l’odio, la sopraffazione, la violenza, la prevaricazione e la perversione). La famiglia è per definizione, uno degli ambiti di potenziale protezione per i suoi membri, ma all’occorrenza può diventare anche un ambiente ostile e pericoloso per l’integrità fisica e psichica dei soggetti che ne fanno parte. Le pareti domestiche possono essere il teatro di frequenti violenze, anche perché talvolta la famiglia si trasforma in un sistema di attribuzioni dei ruoli maschili e femminili in cui prevale da un lato il modello di dominanza e dall’altro quello di sottomissione.
La violenza in famiglia, allora, non rappresenta soltanto l’esplosione di un conflitto, ma lo sfogo di insoddisfazioni, tensioni, rabbie, frustrazioni. Gli schemi mentali appresi, le esperienze che hanno caratterizzato la vita prematrimoniale ed i comportamenti della famiglia di provenienza, sono gli elementi caratterizzanti il conflitto di coppia che può riversarsi anche sulla prole. In un ambito di attribuzioni falsate, in quanto non filtrate o non negoziate dai partners, la violenza familiare nasce da spazi di incomprensioni.

L’UNICEF ha calcolato che più del 90% di tutti gli incidenti di violenza intrafamiliare sono crimini commessi contro una donna e che in alcuni paesi metà di tutta la popolazione femminile ha subito violenza fisica per mano del compagno o di un membro della famiglia. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra il 10% e il 69% delle donne (a seconda della nazione) sono soggette a violenza da parte del partner nel corso della vita.
Fino alla metà del ventesimo secolo, in Italia, così come in altri paesi, i soggetti deboli della famiglia (in particolare i minori, gli anziani e le donne) non godevano degli stessi diritti riconosciuti agli altri cittadini, quali il diritto all’istruzione, al voto ed lavoro qualificato (in quanto il lavoro casalingo e quello svolto nell’impresa familiare non veniva riconosciuto). Inoltre tali soggetti avevano diritti fondamentali limitati, in particolare nell’ambito familiare. Ad esempio, il reato di adulterio, ex art. 559 c.p., fu abrogato soltanto nel 1968; fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975, la donna era esclusa dal diritto di potestà sui figli in vita del marito e dall’eredità ex lege del patrimonio del marito.
Fino al 1975, inoltre, era potere del genitore allontanare il figlio minorenne dalla residenza familiare ed assegnargli una nuova residenza, nonché darlo in adozione, impedirgli le nozze negando il consenso o imporgli studi indesiderati.
La famiglia oggi: perché il fenomeno è più visibile?
Il fenomeno della violenza, specialmente quella intrafamiliare, è oggi diventato più visibile, per vari ordini di motivi che brevemente esaminiamo. Non più improntata su un modello patriarcale e non più allargata, ma mononucleare o ricomposta, la famiglia non riesce più a nascondere “i panni sporchi” e a “lavarli in casa”, perché sono venute meno le figure cuscinetto (ad esempio zii, cugini e nonni), che potevano agire per porre rimedio ai conflitti interni alla famiglia. È vero che lo scopo delle azioni di certi membri della famiglia mirava spesso ad impedire che i conflitti trapelassero all’esterno, ma è tuttavia innegabile che la loro azione era di fatto rivolta ad interrompere la spirale della violenza, sottraendo la vittima al familiare violento o predisponendo situazioni familiari idonee a produrne il risanamento.
Anche l’organizzazione dell’apparato amministrativo, finalizzata a garantire l’assistenza alla famiglia ed ai suoi singoli componenti nelle diverse situazioni di un percorso di vita difficile (ragazze madri, conflitti di coppia, giovani con problemi di disintossicazione da alcool o da droga, con disagi psicologici, con disturbi del comportamento, etc.), mette in campo servizi socioassistenziali e sanitari che entrano nella famiglia, attivano le proprie capacità di ascolto e riescono a captare i problemi dove prima sarebbe stato impossibile.

Il diverso approccio culturale degli anni ’80 ha via via smantellato i vecchi archètipi sulla famiglia, la cui sacralità ed inviolabilità, con i suoi ruoli cristallizzati e rigidi, non ammettevano deroghe neanche di fronte a casi disperati, e portavano a diffidare di ogni voce che denunciasse le colpe ed i fallimenti (fino ad annullarla), quasi che ogni denuncia significasse un pericolo di destabilizzazione della famiglia, o una delegittimazione dei ruoli chiave all’interno di quest’ultima. Anche la nascita di una nuova cultura giuridica, sempre più sensibile ai problemi della famiglia e dei minori, ha modificato alcuni assetti normativi introducendo la legge contro la violenza sessuale (n. 66 del 1996), la legge contro la pedofilia (n. 259 del 3 agosto 1998) e le due leggi in tema, rispettivamente di allontanamento dalla casa familiare (n. 149 del 2001) e di ordini di protezione (n. 154 del 2001) ed altre ancora, dando se vogliamo una “certezza” della giustizia e dell’applicazione delle sanzioni nel momento in cui la violenza emerge come denuncia.
Abuso e maltrattamento infantile
L’azione di maltrattare viene così definita dal Vocabolario della Lingua Italiana Zingarelli: “trattar male, con cattive maniere, mortificando e facendo soffrire la moglie e i figli, gli animali, gli inferiori”; il Vocabolario della lingua italiana, G. Devoto, G. Oli, definisce inoltre maltrattamento la “crudele imposizione di prove avvilenti e dolorose; o come i maltrattamenti del marito, del padrone.”
Maltrattamento familiare
Il maltrattamento familiare è la causa che il codice penale individua come insieme di atti lesivi dell’integrità fisica o psichica o della libertà o del decoro della vittima, nei confronti della quale viene posta in atto una condotta di sopraffazione sistematica e programmatica protratti nel tempo.
Tale condotta può essere rivolta contro il coniuge (di entrambi i sessi) o contro i figli (ART. 572 C.P). Nello schema dei delitti di maltrattamento in famiglia non entrano solo le percosse, le minacce e le ingiurie, o le privazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di scherno, di disprezzo, di umiliazione, di vilipendio e di asservimento che cagionano durevole sofferenza morale.

Nel 95% riguarda le donne come vittime e gli uomini (partners o ex-partners) in veste di maltrattatori. Risulta evidente, sia nella definizione giudiziaria che in quella lessicale, che siamo di fronte ad un comportamento, il maltrattare, che si realizza attraverso strategie di mortificazione, attuate tramite il potere ed il controllo esercitato sulle vittime. Tuttavia, alla chiarezza ed inequivocabilità di queste definizioni, ed alla identificazione del comportamento maltrattante come criminale e dunque punibile per legge, si contrappone la difficile percezione dell’illegittimità di alcuni comportamenti violenti tra uomo e donna quando compiuti all’interno della mura domestiche.
Infatti, non è sempre facilmente classificabile il comportamento degli abusanti, onde è difficile tracciare un limite tra ciò che è tollerabile, e viene pertanto tollerato, e ciò che è illecito.
Fattori di rischio dell’Abuso e del Maltrattamento infantile
Di tutti i tipi di violenza, quella che viene esercitata all’interno della famiglia risulta essere, nel pensiero comune, difficilmente nominabile e definibile, in quanto contraddice le fondamenta su cui si basa la nostra immagine di famiglia come luogo di relazioni affettive privilegiate di affidamento, cura e protezione reciproca.
Inoltre, per definire, comprendere la dinamica e combattere tale forma di violenza, occorre prendere in esame alcune rappresentazioni molto radicate del ruolo e dell’identità maschili. Tuttavia la violenza all’interno delle mura domestiche è un fenomeno in crescita, che solo nell’ultimo ventennio si è palesato in tutta la sua gravità, anche perché non è sempre facile da rilevare. È grazie al processo di maturazione storica e culturale, tuttora in atto nella nostra società, che si è resa possibile l’emancipazione della donna e la presa di coscienza dei suoi diritti all’interno della società e della famiglia.
La crescente sensibilizzazione verso il problema ha fatto sì che questo fenomeno, fino a poco tempo fa chiuso all’interno delle mura domestiche, emergesse all’interno della società. Ciò ha portato anche alla nascita di associazioni che si battono contro la violenza nei confronti delle donne e dei minori. Il fenomeno dell’abuso e del maltrattamento infantile si sviluppa dall’interazione di diverse variabili risalenti alla dimensione individuale del bambino, della coppia genitoriale, del contesto socio ambientale e culturale (Bethea,1999), di conseguenza è possibile individuarne i fattori di rischio.
Relativamente alle variabili riferibili al minore sono considerati a rischio di abuso e/o maltrattamento i bambini prematuri, malformati o con malattie che necessitano di particolari assistenza e cure, con problemi di comportamento e di instabilità affettiva e psicomotoria, disturbi di apprendimento, disturbi del sonno, disturbi delle condotte alimentari e/o sfinteriche, inibizione o ipercinesia del bambino. Per quanto riguarda invece le variabili relative alla famiglia ed in modo particolare ai genitori, possono considerarsi fattori di rischio tutte quelle situazioni interne al nucleo familiare che sono in grado di innescare dinamiche relazionali inadeguate o addirittura patologiche.
Si fa riferimento alle possibili patologie genitoriali, quali la depressione materna che può determinare situazioni di abuso psicologico per il minore, spesso si manifesta con insensibilità e inaccessibilità affettiva, in un clima di frequente irritabilità materna nei confronti delle richieste del figlio. La psicosi può essere causa di incidenti e trascuratezze, in relazione al livello di perdita di contatto con la realtà; il rischio fisico per il minore aumenta laddove i deliri coinvolgono il bambino (deliri di persecuzione). Nelle situazioni psicotiche gravi, in cui l’ideazione delirante coinvolge il bambino è possibile anche l’isolamento sociale.
Le patologie legate alla dipendenza e abuso di alcool/sostanze psicotrope agiscono sull’umore, sulle emozioni, sul comportamento e sulle relazioni sociali e possono provocare esperienze di abuso ed essere causa di frequenti incidenti.
Conseguenze a breve e lungo termine del trauma sul minore
Nei casi più gravi, in cui il conflitto esplode in atti di violenza, fino anche all’omicidio del coniuge, il benessere del bambino, è gravemente compromesso, in quanto il minore in questione, non solamente si trova a dover affrontare gli effetti psicologici del lutto improvviso e del trauma, ma anche un cambiamento radicale di vita (casa, scuola, amici, nuovi tutori).
Cos’è un trauma?
Il trauma psicologico viene definito come “una circostanza in cui un evento supera o eccede la capacità di una persona di proteggere il proprio benessere e la propria integrità psichica”, la definizione comprende “sia le caratteristiche dell’evento stesso sia gli aspetti soggettivi della risposta dell’individuo”.
Il DSM V sottolinea questi aspetti e li ricomprende evidenziando come il trauma: “prevede l’esposizione, reale o minacciata, a morte, lesioni gravi o violenza sessuale. L’individuo può essere vittima diretta del trauma; può assistervi in qualità di testimone; può venirne a conoscenza quando la vittima dell’evento traumatico è un membro della famiglia o un amico intimo (purché si sia trattato di un evento inatteso, violento e accidentale); può essere esposto ripetutamente o in modo estremo a dettagli ripugnanti di un evento traumatico”.
Effetti a lungo termine di un trauma
L’esposizione alla violenza e al maltrattamento subito direttamente o indirettamente può provocare trauma psicologico ed è stato definito da autorevoli autori. La Herman (2005) lo ha definito “il dolore degli impotenti”, il trauma acuto, connesso a gravi situazioni di maltrattamento all’infanzia quello che paralizza, toglie la forza di reagire, lascia sopraffatti, “Il bambino intrappolato in un ambiente prevaricante, si trova a dover affrontare un compito di adattamento di grave complessità. Dovrà trovare una strada per conservare un senso di fiducia in gente inaffidabile, sicurezza in un ambiente insidioso, controllo in una situazione di assoluta imprevedibilità, senso di potere in una condizione di mancanza di pote- re” (Herman 2005).
Il maltrattamento in particolare se cronico e continuativo si caratterizza come un evento traumatico connesso ad un’esposizione prolungata a condizioni di stress e può provocare sentimenti di impotenza pregiudicando i legami di attaccamento e influendo sul senso di sicurezza (Van der Kolk,2004) andando ad influire sulla strutturazione della personalità. Dal punto di vista clinico i segni e sintomi nei bambini vittime di abuso sessuale vanno considerati con cautela all’interno di una valutazione diagnostica complessiva. Secondo alcuni autori le conseguenze a breve e a lungo termine di abuso sessuale dipendono da vari fattori: dal contesto dell’abuso, dal tipo di dinamica familiare, dalla gravità dell’abuso, dal grado di vulnerabilità del bambino, dall’intensità della risposta emotiva dello stesso, dalle sensazioni percepite dal bambino e dai suoi sentimenti nei confronti dell’abusante, dalle reazioni del suo entourage familiare e sociale e dal sostegno che riceve dall’ambiente.
Dal punto di vista degli effetti a lungo termine, anche a distanza di anni le vittime possono presentare stati ansiosi, depressione, insicurezza, aumento dell’aggressività, difficoltà scolastiche, complessi di colpa e problemi sessuali. In alcuni casi l’esperienza incestuosa può essere responsabile, a distanza di tempo, di anoressia, bulimia o di una patologia classificabile nel cluster borderline.